Vendere la Grande Guerra. La produzione artistica di Torquato Tamagnini in Abruzzo

a cura di Piera Cipriani, pubblicato il 11/05/2016

«Vuoi vendere dei monumenti ai caduti?” Sì. Proprio così. Èdouard è contento della sua trovata [...] Albert non riesce a capire come si possa aver voglia di costruire dei monumenti, in compenso, la cifra di trecento milioni di franchi, inizia a farsi strada nella sua immaginazione: vuol dire “casa”, [...] “limousine” e anche “albergo di lusso” [...].

Legge le poche righe che seguono, si tratta di pubblicità scritta in maiuscoletto, tracciata con una cura tale che si direbbe stampata: “... E VOI SENTITE DOLOROSAMENTE IL BISOGNO DI PERPETUARE IL RICORDO DEI FIGLI DELLA VOSTRA CITTÀ, DEL VOSTRO PAESE, CHE HANNO FATTO DEL PROPRIO PETTO UNO SCUDO VIVENTE CONTRO L’INVASORE”. Capisce meglio perché i disegni lo hanno deluso tanto, non sono fatti per rappresentare una sensibilità, ma per esprimere un sentimento collettivo, per piacere a un vasto pubblico che ha bisogno di emozioni, che vuole eroismo.»

 

La potenza evocativa che traspare dalle parole dei protagonisti del Romanzo di Pierre Lemaitre interpreta il dramma dell’emarginazione di due giovani francesi sopravvissuti alla carneficina della Grande Guerra. I due reduci sono chiamati ad inventare il proprio futuro dal momento che il Paese per il quale avevano combattuto non si preoccupa di reinserirli nella società. Èdouard ed Albert progettano così una truffa ai danni dello Stato commercializzando monumenti ai caduti e sfruttando, in maniera quasi cinica, l’orgoglio patriottico francese. Sarà la loro vendetta nei confronti di una politica egoista e irriconoscente. Non è questa la sede per approfondire il sentimento di critica sociale veicolato dal romanzo. A destare il nostro interesse è l’appropriazione, da parte dei protagonisti, del culto dei caduti che, sviluppatosi nell’immediato dopoguerra come un’iniziativa spontanea, si trasforma in un movimento architettonico coinvolgendo scultori, professionisti, dilettanti la cui attività per anni diviene sinonimo di partecipazione, dietro l’esibizione di bozzetti e progetti, a concorsi banditi da comuni e/o comitati pro-monumento per immortalare il ricordo della Grande Guerra. La scelta artistica della committenza varia in base alle risorse finanziarie disponibili, in presenza di dotazioni cospicue ci si rivolge a personaggi illustri, di consolidata formazione culturale e artistica; nel caso di scarse disponibilità economiche si ricorre, invece, a modesti plastificatori e scalpellatori, finanche a mestieranti estemporanei. La realizzazione dei monumenti ai caduti consente lo sviluppo di una vera e propria industria funeraria, come testimoniano i cataloghi che, viaggiando da un comune all’altro della penisola, si impongono all’attenzione delle istituzioni municipali chiamate ad onorare la memoria dei caduti per la Patria. Ne sono un esempio i cataloghi degli scultori Giuseppe Ciocchetti e Torquato Tamagnini. Questi cataloghi rispondono all’esigenza, avvertita da molti comuni italiani nell’impossibilità di investire su un lavoro in fusione a regola d’arte, di coniugare la carenza di risorse economiche con il desiderio rendere omaggio ai propri caduti. Nell’ambito del progetto Indagine a scala nazionale su progettisti, artisti e ditte esecutrici dei monumenti ai caduti è stato effettuato il censimento delle schede di catalogo della regione Abruzzo dal quale è emersa l’importanza dell’artista perugino Torquato Tamagnini (Perugia, 1886 – Roma, 1965) per la consistenza della produzione artistica.

Tocco Casauria - Monumento ai caduti in guerra Archivi fotografici ICCD
Tocco Casauria - Monumento ai caduti in guerra

dal Catalogo

Lo scultore Torquato Tamagnini è tra gli artisti più celebri nella realizzazione dei monumenti ai caduti della Grande Guerra. La sua attività investe diverse regioni del territorio nazionale quali Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Molise, Marche, Campania, Puglia, Calabria. Il suo nome si annovera tra i cosiddetti «lavoratori della gloria», espressione riferita ad artisti provenienti da grandi botteghe che hanno dato corso ad un commercio di opere d’arte promuovendo e pubblicizzando i prodotti del loro ingegno. Torquato Tamagnini fonda a Roma, all’inizio del secolo XIX, la Casa d’arte Corinthia che si specializza nella produzione di monumenti ai caduti in collaborazione con fonderie napoletane e romane elaborando un catalogo, inviato ai comuni italiani, in cui sono presentate diverse tipologie di monumento così da agevolarne la scelta e l’ordinazione. Le immagini in esso racchiuse restano un concentrato di storia che oggi, nei luoghi in cui sono stati eretti monumenti e/o lapidi, sprigiona prepotentemente la sua forza evocativa. Il catalogo di questa Casa d’arte si iscrive all’interno di una esaltazione dell’arte fascista, celebrando la rinascita dell’Impero di Roma. Si legge, infatti, nella prefazione:

«Sollecitata da più parti da Enti, da Associazioni, da Comuni - la Casa d’Arte Corinthia raccoglie in una quarta di pubblicazione alcune delle opere più recenti del suo Direttore - lo scultore T. Tamagnini – che esaltano nel clima nuovissimo dell’Impero di Roma la volontà diritta e incrollabile del DUCE, la bellezza dell’eroismo Italico, il mito del legionario, la difesa del focolare domestico, il valore della nostra fulgidissima vittoria, i segni della profonda rinascita nazionale. In un periodo in cui una folla di scultori noti e ignoti in nome della pura immortalità dei nostri eroici caduti per la grande guerra, alzò su le piazze d’Italia certe deformazioni statutarie che sono una brutale offesa all’arte, i monumenti dello scultore Tamagnini, nati da un gusto originale e improntati alla più nobile e nuova tradizione della scultura italiana, portarono nelle città in cui furono innalzati, un gesto luminoso di bellezza e raccolsero il plauso e il consenso incondizionato della critica. Le opere che con la presente pubblicazione la Casa d’Arte Corinthia porta a conoscenza dei suoi innumerevoli amici e ammiratori sparsi in ogni regione della penisola, dicono la parola nuovissima di questa nuovissima storia d’Italia che, culminata ieri nella rinascita dell’Impero, è gloriosamente degna di essere tramandata, nel marmo e nella pietra, alle generazioni che verranno.»

 

Il catalogo mostra i prototipi dei soggetti protagonisti dei monumenti ai caduti accompagnati da stralci di lettere di stima e/o ringraziamento ricevute da Torquato Tamagnini:

- l’immagine della donna guerriera personificante la vittoria è enfatizzata dalle parole di ammirazione del maresciallo Diaz che scrive a Tamagnini per «poterle dire quanto io apprezzi in Lei il forte artista ed il cuore italianamente vibrante» in quanto la sua arte «eterna il sentimento di fede e fierezza che tutti ci ha così saldamente uniti nella lotta e nella vittoria»;

- l’immagine della vittoria veicolata da una donna alata con lo stralcio di una lettera sottoscritta da Mascaretti, presidente del Comitato pro monumento di Pescara, il quale si compiace di rilevare come l’opera sia stata «accolta da tutti con sincera soddisfazione per la finezza della sua concezione, per la perfezione delle figure e per lo stupendo complesso tecnico ed artistico dell’intero monumento»;

- il mito del legionario, singolo oppure ritratto insieme alla vittoria o ancora la rappresentazione del soldato che stringe un compagno caduto;

- la difesa della famiglia, proposta con le immagini del fante in primo piano e di una donna china alla sua destra mentre tiene tra le braccia un neonato. A conferire efficacia a questa scena le parole dello scrittore Vincenzo Fraschetti che presiede uno dei comitati italiani pro monumento:

«Carissimo Tamagnini, [...] la tua magnifica opera ha dato al paese una impronta nuova, ha creato nella linea della piazza una tonalità armoniosa, una immagine di bellezza, che ha il suo fascino. Come apparisce meschina tanta scultura di guerra davanti a questo tuo gruppo statuario che è veramente degno della più bella tradizione dell’arte italiana.»

 

Il catalogo dedica, inoltre, alcune immagini alla ritrattistica che incarna «la bellezza dell’eroismo italico» raffigurando i volti di Ulisse Igliori, medaglia d’oro al valor militare e del generale Umberto Ernesto Testafochi. Il catalogo diffonde, tramite la figura maschile del fante o del soldato, anche l’immagine dell’uomo nuovo propugnata dal fascismo: ne è un chiaro esempio la raffigurazione del soldato tornato a casa, che veste i pantaloni da lavoro, a dorso nudo e con in testa l’elmetto mentre stringe nella mano destra la pala. Accanto a lui si vede una figura femminile, colta nell’atto di baciare sulla fronte il neonato, che rinvia alla concezione fascista della donna custode del focolare. Nel complesso, si affida all’immagine di questa famiglia la trasmissione dell’idea di un popolo laborioso e guerriero. Se il catalogo di Torquato Tamagnini è più attento ad iscrivere le proposte artistiche nella retorica di esaltazione fascista, quello di Giuseppe Ciocchetti, pur collocandosi nel medesimo contesto, tende ad offrire alla potenziale committenza una variegata tipologia di soggetti e monumenti e per questo accoglie un numero più consistente di immagini. Non vi è spazio per i commenti in modo tale da consentire all’osservatore di concentrarsi esclusivamente sulle figure rappresentate.

Basta sfogliare questi cataloghi per farsi un’idea della varietà di tipologie monumentali ideate da questa sorta di industria commemorativa che tenta di catturare l’attenzione di comuni e comitati civici offrendo «monumenti di pregiata bellezza artistica da L. 5000 in su e lapidi finemente lavorate da L. 500 in poi» facendo appello, sia pure in modo rapido e succinto, al «magistero di un’arte disinteressata», la sola capace di omaggiare degnamente i caduti. L’arte si pone al servizio della memoria e le immagini rappresentate sui cataloghi vendono, in modo standardizzato e relativamente a buon mercato, la memoria della guerra. Desta curiosità la condanna riservata alla scelta dei monumenti da cataloghi di questo tipo, in quanto ritenuta una sorta di profanazione della sacralità ad essi strettamente connessa che avrebbe dovuto tradursi in un’opera unica e immutabile nel suo genere. Il dibattito sulla qualità della produzione artistica fa notizia e compare sulle pagine di riviste specializzate quali “L’Architettura italiana”, “Emporium”, nonché su testate di più largo respiro come per esempio il “Corriere della sera”, “L’Illustrazione italiana”.

Si muovono critiche agli scultori: «categoria di lavoratori, i lavoratori della gloria, che non corre il rischio di soffrire i disagi della disoccupazione. Cento Comitati sono costituti in ufficio di collocamento per gli scultori che hanno marmo da avvivare e da sciupare.»

Si rivolge appello alla Soprintendenza delle Belle Arti affinché vigili sulla qualità artistica della produzione scultorea facendosi garante della regolarità dei concorsi. Il giornalista Otello Cavara ammoniva nel 1922: «La selva delle colonnine romane, delle steli, delle targhe, delle croci ricopre ormai la penisola. Da punto di vista artistico, il fenomeno non è raggiante. La qualità risulta straordinariamente inferiore alla quantità. Lo sparpagliamento delle iniziative pregiudica la sintesi… alimenta il crescendo dei brutti, dei mediocri e dei discreti monumenti.»

Eppure a prescindere dalle questioni di originalità del manufatto, queste pietre di guerra, parafrasando lo studio di Nicola Labanca, raccontano, riflettono tensioni e contrapposizioni nel quadro di una competizione per la memoria operante allora come oggi e volta ad affermare la propria lettura contro altri possibili modelli. È quanto emerge dal censimento dei monumenti ai caduti condotto a livello regionale che mostra le variegate e multiformi modalità in cui la memoria è stata declinata, a partire dalla scelta dei soggetti a cui è affidato il compito di perpetuarla nel tempo. Nella produzione scultorea di Tamagnini a scala nazionale sicuramente prevalgono i soggetti femminili, preferibilmente di gusto liberty, e le figure di fante il cui modello influenza diverse realizzazioni monumentali regionali.

Rilevante, almeno per la sua singolarità, la citazione dell’epigrafe apposta sul monumento ai caduti di Ceprano (Fr), il cui testo recita «...essi gittarono la loro giovinezza alla morte e i loro nomi all’immortalità...», rinvenuta in un libretto del 1924 «opera della “Corinthia” casa d’arte per la scultura», oggi conservato presso l’Archivio storico comunale di Canosa di Puglia. L’epigrafe è uno spunto interessante di riflessione sul ruolo rivestito dalla lingua nei testi scritti a corredo di monumenti e lapidi. In genere si predilige una forma italiana nobilitata con artifici retorici, guizzi arcaizzanti o aulici, intrisa di suggestioni letterarie ed oratorie capace di parlare all’intera collettività. L’episodio è, inoltre, indicativo di quanto lo scambio e la circolazione di opere e artisti abbia influito nel processo di unificazione della simbologia del lutto. I monumenti ai caduti inaugurano il cosiddetto “turismo della memoria” che, nel corso tempo, ha trasformato i suoi connotati: da testimonianza di un sentimento nazionale scolpito nella pietra quale indelebile verità storica nel primo dopoguerra a riscoperta, oggi, di radici comuni, storie composite, memorie condivise che hanno unito l’Italia nella sua interezza.

A proposito del monumento di Pescara è interessante notare che, rispetto alla sua conformazione originaria, durante la campagna fascista di requisizione del bronzo, nel 1942, fu privato delle figure della Vittoria e del soldato morente legando le sue sorti al monumento di Castellammare Adriatica, opera dello scultore Costanzo Guido, completamente rimosso. Nel 1927, infatti, era stata istituita la provincia di Pescara e il comune di Castellammare era stato unificato con quello dell’omonima provincia. Le immagini del monumento di Castellammare Adriatica rivivono nelle cartoline storiche del Fondo Ferro-Candilera sopra richiamato Montazzoli (1927).

Bibliografia

G. Ciocchetti, Cav. Giuseppe Ciocchetti scultore. Direttore proprietario degli stabilimenti "L'Arte funeraria", 1928

A. Rezzonico, "Vendere la guerra". L'uso della memoria. I monumenti ai caduti tra lutto privato, celebrazione nazionalistica e sfruttamento attuale in chiave commerciale, La Grande Guerra. Tra fili spinati e trincee "l'inutile strage" che contrassegnò il Novecento, 2014

F. Lombardi, Lutto pubblico e lutto privato nell'Italia della Guerra, monumenti ai caduti ed opuscoli di necrologio, Piacenza e la guerra '15 - '18: atti del convegno, Piacenza, 2014

N. Labanca (a cura di), Pietre di guerra. Ricerche su monumenti e lapidi in memoria del primo conflitto mondiale, Milano, 2010

Pierre Lemaitre, Ci rivediamo lassù, Milano, 2015

Maria Rosaria Nappi (a cura di), La Campania e la Grande Guerra. I monumenti ai caduti di Napoli e provincia, Roma, 2011

Torquato Tamagnini, Corinthia. Casa d'arte per la scultura, 1920