Il recupero dei modelli classici nei monumenti ai caduti: l’iconografia della Vittoria alata. La Vittoria su globo

a cura di Valentina Santoro, pubblicato il 01/01/2016

L’immagine della Vittoria ha rappresentato uno degli elementi portanti del linguaggio celebrativo e simbolico impiegato nei monumenti ai caduti italiani della Prima Guerra Mondiale. Raffigurata come una giovane donna alata vestita all’antica, tesa a spiccare il volo o riversa sui corpi dei soldati feriti o morenti, essa rispondeva all’esigenza di adoperare un messaggio formale e al contempo immediato che parlasse direttamente al popolo, col duplice obiettivo di confortare quanti stessero affrontando il dolore del lutto e costruire una memoria pubblica della guerra. Gli Italiani erano abituati alla sua immagine: già presente nei monumenti pubblici risorgimentali ed ampiamente utilizzata a partire dalle celebrazioni del cinquantenario dell’Unità d’Italia, nel 1911 (Fig. 1), la Vittoria alata era modellata secondo canoni stilistici tramandati da secoli, retaggio di una raffigurazione classica ben radicata e dunque familiare a gran parte della popolazione. Per questo motivo, un numero considerevole di lapidi e monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale presentano all’interno del proprio apparato iconografico almeno un’immagine di Vittoria alata: ad oggi se ne possono contare ben 476 esempi tra sculture, rilievi, mosaici e incisioni relativi ai monumenti schedati sul Sistema Informativo Generale del Catalogo (SIGECweb) in occasione della campagna di catalogazione del 2014. Dall’analisi di tutte le raffigurazioni censite, è stato possibile trarre numerose conclusioni in merito all’impiego dell’immagine della Vittoria sui monumenti ai caduti italiani. Per prima cosa, si è potuto notare come gli artisti si ispirarono frequentemente alle rappresentazioni greche e romane.

Questi tipi, ben noti e tradizionalmente riconosciuti come simbolo di successo, conquista e trionfo, furono spesso riprodotti senza alcuna rielaborazione o originalità. Per l’urgenza di lenire il dolore causato dalle perdite umane e l’esigenza di rinsaldare la coscienza nazionale intorno al culto dei caduti, infatti, la maggior parte delle Vittorie fu realizzata secondo una produzione seriale che rispondeva alle pressanti richieste di un mercato vivace e molto redditizio. Tale fenomeno venne definito dagli stessi contemporanei “monumentomania” e fu causa di accesi dibattiti e grandi polemiche che riguardarono non solo questioni estetiche e stilistiche, ma anche la complessa questione dell’affidamento diretto delle opere, che spesso avveniva senza concorso pubblico (Fig. 2). Nel corso di questo studio saranno presi in considerazione i modelli di Vittorie classiche che hanno maggiormente ispirato gli artisti italiani della metà del Novecento. La prima ad essere analizzata sarà la Vittoria alata più riprodotta in assoluto sui monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale: la Vittoria su globo del Museo Nazionale di Napoli. Il modello originale a cui si sono ispirati gli artisti moderni è un bronzetto di prima età imperiale romana alto 40 cm, rinvenuto negli scavi di Pompei e conservato a Napoli, nel Museo Archeologico Nazionale (Fig. 3).

Si tratta di una figura femminile frontale, avanzante con il piede sinistro su un piccolo globo e il piede destro arretrato. La dea ha grandi ali aperte e indossa il peplo, la cui stoffa si dispone a campana per effetto del movimento impresso al ritmo della figura, aderendo alla gamba portante e provocando l’effetto del tessuto cosiddetto “bagnato” caratteristico di molte figure femminili antiche. L’acconciatura è rigonfia con diadema tra i capelli. Il braccio destro proteso e quello sinistro piegato sostenevano presumibilmente una corona e un vessillo (Fig. 4). In realtà, l’esemplare pompeiano era a sua volta la copia in dimensioni ridotte di un originale greco molto famoso e frequentemente riprodotto nell’antichità: la statua in bronzo dorato (ormai perduta) sottratta dai Romani a Taranto dopo il trionfo su Pirro nel 272 a.C., che i Tarantini avevano eretto in seguito alla vittoria conseguita su Roma a Eraclea otto anni prima.


Lo storico Cassio Dione racconta che nel 29 a.C. Ottaviano Augusto volle che la Nike di Taranto fosse collocata su un altare al centro della Curia Iulia, la nuova sede del Senato progettata da Cesare e da lui inaugurata nel Foro Romano. Con l’aggiunta di attributi quale la corona d’alloro, il globo e lo stendardo, essa avrebbe simboleggiato la vittoria di Ottaviano su Antonio e Cleopatra e l’affermazione di Roma sull’Oriente dopo la battaglia di Azio del 31 a.C., assumendo un ruolo di assoluta centralità nelle ritualità ufficiali del Senato. Presso l’ara della Vittoria, infatti, tutti i Senatori di

Roma dovevano sacrificare e prestare giuramento. Lo storico greco Erodiano racconta che Elagabalo, assurto al potere nel 218 d.C., volle che il suo ritratto in veste di sacerdote fosse appeso sopra l’altare, in modo che i senatori si trovassero nella situazione di sacrificare anche all’imperatore ogni volta che offrissero incenso e vino alla Vittoria (Erodiano V, 5, 6-7 e VII, 11, 3-4). La Nike rimase dove l’aveva voluta Augusto fino a quando, con l’avvento del Cristianesimo, l’altare e la statua si trovarono al centro di un’accesa disputa religiosa, per cui dal 357 d.C. furono più volte rimossi e riposizionati nella Curia, per essere infine distrutti nel 402 d.C. Un’affascinante ipotesi è stata proposta in merito al ritrovamento avvenuto negli anni Trenta nel Foro d’Augusto di un piede destro in bronzo dorato sollevato sulle dita, pertinente ad una statua di dimensioni maggiori del vero (Fig. 6): il piede, ora conservato nel Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano, poggia su un grosso tenone parallelepipedo; ipotizzando che questo fosse inserito nel globo, l’archeologo Eugenio La Rocca propose che si trattasse di un frammento pertinente proprio alla scomparsa Nike tarantina. Questa teoria è stata confutata da studi più recenti secondo cui il piede sarebbe databile all’età augustea e pertinente ad una Vittoria acroteriale del Tempio di Marte Ultore o alla Vittoria che incoronava Augusto sulla quadriga. Pur essendo andato perduto il prototipo originale, la figura della Vittoria su globo è ben nota oggi poiché fu tramandata attraverso i secoli su monete e in statue, specialmente di bronzo e di dimensioni di ridotte, simboleggiando la supremazia di Roma e portando il messaggio di pacificazione universale voluta da Augusto. Non una raffigurazione dei vinti, ma la bella immagine del trionfo e del benessere che essa porta con sé. L’iconografia del modello augusteo si era imposta già alla fine dell’Ottocento nelle sporadiche rappresentazioni della Vittoria nella monumentalistica pubblica (si veda ad esempio la colonna di Porta Pia del 1895, Fig. 7, e il monumento ossario di Santa Maria Capua Vetere del 1905).

Fu in concomitanza con le celebrazioni per il cinquantenario dell’Unità d’Italia nel 1911, però, che si assistette ad una vera e propria esplosione del tema della Vittoria: ben 15 se ne contano sul monumento in onore a Vittorio Emanuele II inaugurato per l’occasione (che dal 1921 sarà acclamato Vittoriano in virtù dell’assonanza Vittorio/a). Il modello delle vittorie che adornano le colonne trionfali poste di fronte ai propilei del monumento è proprio quello augusteo: di fronte al propileo di sinistra sono situate la colonna dell’artista Nicola Cantalamessa Papotti, con palma e serpente (a sinistra), e quella di Adolfo Apolloni, con spada (a destra); di fronte al propileo di destra sono situate le colonne di Mario Rutelli (a sinistra, Fig. 8) e quella di Arnaldo Zocchi (a destra), entrambe reggenti corone d’alloro. Seppur con diversi attributi, l’iconografia della Nike di Taranto fu largamente impiegata nel famoso monumento in cui si concentrarono i simboli e i repertori iconografici da cui gli artisti italiani attinsero incessantemente negli anni a venire. Il modello della Vittoria augustea era dunque già familiare agli artisti che alla fine del primo conflitto mondiale scelsero proprio questo esempio per i monumenti ai caduti. Tuttavia, l’avvincente e complessa storia della Vittoria di Taranto, per secoli esposta in uno dei luoghi più importanti dell’Impero Romano, era probabilmente ignota agli artisti che si accinsero a riprodurre in serie la statuetta bronzea di Pompei. La scelta del modello sembra essere avvenuta più per motivi pratici che ideologici: dal 1870 la partenopea Fonderia Chiurazzi aveva avuto l’autorizzazione a eseguire calchi di statue, utensili e arredi in bronzo conservati al Museo Nazionale di Napoli. Dopo aver realizzato il calco del bronzetto pompeiano, che faceva parte della collezione del museo, la ditta aveva avviato una intensa produzione in serie: solo in Campania questo modello si ritrova in almeno 20 repliche di varie dimensioni (vd. Figg. 9-10-11). Riprodotta in numerosi esemplari per i monumenti ai caduti anche di molti altri comuni italiani, essa venne impiegata il più delle volte in copie del tutto uguali al modello. Qualche piccola variante si può identificare solo nella scelta degli attributi stretti tra le mani (la ghirlanda, la palma, la fiaccola, vd. Fig. 12, la spada, ecc.) e nella posizione delle braccia, a volte portate entrambe al cielo. Raramente la resa stilistica della figura (in particolar modo, delle ali e del panneggio) differiva dall’originale. 

La Vittoria veniva rappresentata da sola sulla fronte o in cima a monumenti di diversa tipologia (a colonna, a obelisco, ad ara, a cippo, ecc.) oppure all’interno di un gruppo statuario, il più delle volte come simulacro nelle mani di un soldato o della personificazione della Patria, protesa al cielo e messa in evidenza per il suo valore simbolico inequivocabile (Fig. 13). In conclusione, per quanto la scelta del modello augusteo sembra essere stato del tutto casuale, non bisogna dimenticare che il tema della Vittoria su globo fu trattato così frequentemente nell’arte ufficiale romana da entrare ben presto a far parte del repertorio figurativo corrente. Seppur si assista ad un proliferare della sua raffigurazione ormai svuotata dell’originario significato cultualepolitico in favore di quello meramente decorativo,11 è chiaro che questo tipo iconografico fu non solo ben noto agli artisti delle epoche a venire ma venne sempre riprodotto come simbolo forte e universalmente riconosciuto.