Trasformazione da animale a cibo

a cura di Simone Gliottone, pubblicato il 21/06/2021

Diretta conseguenza dell’allevamento e dell’uccisione del maiale è l’arte della trasformazione dell’animale in cibo per l’uomo. Le competenze che permettono la conservazione delle carni suine sono ad oggi appannaggio di pochissime persone che annualmente ritualizzano questo avvenimento. L’esistenza di schede demoetnoantropologiche inserite all’interno del Catalogo Generale dei Beni Culturali, descrittive di oggetti e accessori funzionali a tale attività, mostra l’importanza di un ben più grande patrimonio immateriale.


dal Catalogo

Ai tempi dei Romani esistevano due corporazioni di macellai: una che si occupava dei buoi e l’altra esclusivamente dei maiali (questi ultimi sono paragonabili ai pizzicagnoli di inizio Novecento). Dopo il V secolo la professione del salsamentario incontra un netto declino tanto che l’uccidere il maiale e venderne le carni ancora crude divennero attività proprie dei macellai, mentre agli arrostitori, o venditori d’oche arrostite, fu concesso di gestire il mercato delle carni porcine cotte. Per circa dieci secoli, il mestiere del salsamentario non ebbe più un suo ruolo definito nella società così come lo ebbe durante l’epoca gallica, tanto che, verso la metà del Trecento, anche i pasticceri si accaparrarono parte delle carni suine destinate alla vendita al dettaglio.

Nel tempo, chi adoperava le carni suine, osservando i colori che affioravano una volta smembrata la carcassa, era in grado di intendere se quel maiale avesse vissuto alimentandosi con un tipo particolare di vegetale, con una varietà di semi piuttosto che di un’altra, se fosse stato ingrassato con ghiande, leguminose o tuberi, oppure se fosse stato nutrito con il latte. Tra le capacità invidiate a tali artigiani della carne vi erano sia il saper gestire la salatura così da preservare il gusto e non far deteriorare i prodotti, sia il corretto uso delle spezie e, in generale, di saper ben conservare, anche grazie a celle frigorifere ricavate nei luoghi più adatti, conducendo in modo impeccabile un'essicazione o un affumicamento. 

Una delle particolarità culinarie del maiale è il fatto di avere due tipologie di grasso da poter utilizzare: il lardo e la sugna. Il primo è lo strato adiposo più o meno ampio sotto la cotenna, mentre il secondo è il grasso che ricopre gli intestini che una volta fuso e purificato prende il nome di strutto. La stessa attenzione nell’osservare le caratteristiche del grasso fa capire, a chi abbia esperienza, se l’animale al momento della macellazione fosse in condizioni di buona salute, se fosse stato o meno castrato e anche se le ore antecedenti all’uccisione fossero state particolarmente stressanti.

Oggi, l'arte della trasformazione del suino in alimento, così come la quasi totalità dei prodotti agroalimentari, ha nettamente lasciato il posto ad una più cruda e meccanicizzata produzione che, rispondendo a logiche capitalistiche svilenti il cibo, lo considerano esclusivamente come merce, una merce senza storia. Sul territorio italiano si possono identificare alcuni centri culturali vogliosi di resistere a questa deriva gastronomica: sono i Musei del cibo, sono gli istituti che mirano a valorizzare le eccellenze locali ponendole all'interno di una vera tradizione alimentare.



Bibliografia

Giuseppe Lancia, Manuale pratico del salsamentario e del macellaio : preparazione e conservazione delle carni, del prosciutto, dei sanguinacci o bodini, dei salami, Torino, 1902

Bibliografia in rete

A. Lavoit, Manuale del salumiere e dell’allevatore di maiali. Milano, Romeo Mangoni, 1897, (LINK)