cacciata di Eliodoro dal tempio

dipinto

La scena si svolge all'interno del tempio di Gerusalemme, rappresentato come una grandiosa struttura colonnata. Nella parte sinistra irrompe il cavaliere divino su un cavallo bianco, riducendo Eliodoro a terra. Due angeli inveiscono contro il profittatore. Scendono per la scalinata in basso i seguaci di Eliodoro che portano con loro il bottino scontrandosi con i cadaveri dei compagni e gruppi di donne spaventate. Sulla destra, all'interno e di fronte un tabernacolo, Onia appare in preghiera; un altro sacerdote tra le due colonne binate rende grazie a Dio per quanto sta accadendo

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Solimena Francesco (attribuito): pittore
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto fa parte della serie con le quattro storie bibliche commissionata da Vittorio Amedeo II al Solimena nel 1720 per il gabinetto dell'Appartamento d'Inverno di palazzo Reale. Di tale commissione si hanno certezze documentali ad iniziare dal 6 marzo 1720 con il rapporto epistolare tra il ministro Del Borgo e il delegato di Vittorio Amedeo II a Napoli, La Perosa, dal quale si evince che il sovrano sabaudo aveva ordinato al Solimena almeno due dipinti. Esistono inoltre alcune lettere del sovrano indirizzate al pittore in cui Vittorio Amedeo II sollecitava l'invio del quadro raffigurante 'La cacciata di Eliodoro dal tempio', il terzo ordinato dal sovrano al pittore dopo il Davide vincitore degli Amaleciti e la Regina di Saba (Bologna 1958, pp. 193-194). Da un pagamento del 25 agosto 1721 a favore di certo G. Pasquali per la doratura di "due grandi cornici tutte intagliate per due quadri del pittore Solimene" deriva inoltre che a quella data due dipinti commissionati dal sovrano sabaudo si trovavano già a Torino; tali notizie possono essere incrociate con alcuni pagamenti certificati dai Conti della Real Casa del 1723 che, insieme ad alla lettera di Vittorio Amedeo II inviata al pittore il 13 novembre 1723, informano della presenza a Torino del "Davide vincitore degli Amaleciti" e la "Regina di Saba" già dal 1721 (Baudi di Vesme 1968, pp. 995-996; Bologna 1958, pp. 193-194). La particolare ammirazione che queste opere suscitarono alla corte torinese è testimoniata dal De Dominici il quale narra di una lettera inviata dal Principe sabaudo al Solimena in cui il regnante esprimeva il suo entusiasmo per i quadri ricevuti, di fronte ai quali "egli non potea far a meno di non fermarsi, forzato dalla bellezza di essi, per riguardargli di nuovo" (De Dominici 1742, vol. III, p. 602: ristampa anastatica Bologna 1971). Tale entusiasmo espresso dal biografo campano non si ritroverà così vivo negli scritti successivi degli illustri visitatori della Galleria, da Cochin al Callery, i quali esprimono pareri più critici. Le quattro opere sono menzionate negli inventari del 1754 e del 1777: entrambi li indicano nel Gabinetto Primo di Palazzo Reale, insieme ad altri dipinti di soggetto veterotestamentale richiesti da Filippo Juvarra al Conca, al Masucci, a Giovanni Battista Pittoni e Francesco Monti. Nell'inventario del 1822 la serie è indicata invece nella parete a ponente della Camera che li conteneva e che prende appunto il nome "del Solimena". Rivalutata in tempi più recenti la serie è considerata una validissima testimonianza della migliore pittura napoletana settecentesca arrivata fino alla Corte di Torino. Tra gli studi specialistici ha un posto fondamentale la monografia di Ferdinando Bologna. Secondo lo studioso le quattro tele stringono forti legami con le opere realizzate dal Solimena intorno agli stessi anni per Palazzo Durazzo a Genova. Bologna ha precisato inoltre che, rispetto ai due dipinti genovesi, la serie sabauda è informata da un differente modo di condurre la composizione, basato sulla modulazione di zone d'ombra e di luce. Tale espediente sortisce secondo Bologna "un altro e più inerte senso della forma e della luce" capace di dare grandiosità ad una scena popolata da figure di ridotte dimensioni, tramite l'allargamento dello spazio e delle architetture. Trattando la vicenda relativa all'esecuzione del noto affresco con 'La cacciata di Eliodoro dal tempio' realizzato dal Solimena nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli nel 1725, il Bologna ha incluso il dipinto torinese tra le diverse varianti da mettere in relazione al dipinto murale, ipotizzando una sua derivazione da un disegno ora custodito al Louvre (n. 9819, questo a sua volta è stato tratto dal più grande modello per l'affresco ora conservato al Museum of Art di Toledo (Ohio), eseguito all'indomani della commissione, tra il 1722 e il 1723). Quasi contemporaneamente il pittore ne realizzò una replica ora nella Galleria Corsini di Roma, ritenuta da Bologna di più alta qualità rispetto all'opera in Galleria Sabauda (Bologna 1979). Le successive mostre che hanno ospitato le quattro tele hanno offerto altre occasioni per ulteriori pronunciamenti critici: la Griseri ha riferito dell'apprezzamento del regnante sabaudo per il Solimena il quale aveva già sancito il ruolo di interprete di rilievo di quella "retorica intensa che procede in chiave barocca", cara alle corti del '700, inanellando prestigiose commissioni in ambito europeo (Griseri 1963, vol. II, p. 72, n. 106). (continua in OSS)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350850-4
  • NUMERO D'INVENTARIO 381
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2005
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2012
  • ISCRIZIONI bordo della pietra pavimentale al centro - F. Solimena - a pennello -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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