La profetessa Debora. scena biblica
dipinto
Solimena Francesco (attribuito)
1657/1747
Nella popolata scena spicca la profetessa Debora con un seguito di ancelle, soldati ed anziani. È vestita di bianco e di azzurro e con un gesto imperativo si rivolge a Barak, ordinandogli di adunare i soldati per la liberazione d'Israele. Egli si mostra già abbigliato per la battaglia, così come il suo seguito. In basso a destra un uomo si appresta a raccogliere armi e armatura. Sui gradini vicini stanno due cani, mentre tra le nubi in alto compaiono angeli in volo
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Solimena Francesco (attribuito): pittore
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
- LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
- INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto fa parte di una serie con quattro storie bibliche commissionata da Vittorio Amedeo II al Solimena per il gabinetto dell'Appartamento d'Inverno di palazzo Reale. Di tali commissione si hanno certezze documentali ad iniziare dal 6 marzo 1720 con il rapporto epistolare tra il ministro Del Borgo e il delegato di Vittorio Amedeo II a Napoli, La Perosa, dal quale si evince che il sovrano sabaudo aveva ordinato al Solimena almeno due dipinti. Esistono inoltre alcune lettere del sovrano indirizzate al Solimena, in cui Vittorio Amedeo II sollecitava l'invio dei dipinti, che partirono da Napoli a Torino con spedizioni scaglionate fino al 1725 (Bologna 1958, pp. 193-194). Ad iniziare dal 1723 tra i Conti della Real Casa si hanno inoltre certificazioni di vari pagamenti che, insieme ad un'altra lettera di Vittorio Amedeo II inviata al pittore il 13 novembre 1723, ci informano di un'iniziale commissione per due tele raffiguranti il "Davide vincitore degli Amaleciti" e la "Regina di Saba", cui fece seguito l'ordinazione di altre due tele con le storie di Eliodoro e la profetessa Debora (Baudi di Vesme, 1968, pp. 995-996; Bologna 1958, pp. 193-194). Uno tra questi pagamenti risale al 24 settembre 1725 col quale si saldava al pittore la somma dei 700 ducati di Napoli pattuita per l'ultimo quadro, con la profetessa Debora appunto che "dava le leggi al popolo d'Israele". Il pagamento prevedeva poi altri 100 ducati come donativo. La tela giunse a Torino prima del 24 settembre di quell'anno. La particolare ammirazione che queste opere suscitarono alla corte torinese è testimoniata dal De Dominici il quale narra di una lettera inviata dal Principe sabaudo al Solimena in cui il regnante esprimeva il suo entusiasmo per i quadri ricevuti, di fronte ai quali "egli non potea far a meno di non fermarsi, forzato dalla bellezza di essi, per riguardargli di nuovo" (De Dominici 1742, vol. III, p. 602: rist. anast. 1971). Tale entusiasmo espresso dal biografo campano non si ritrova così vivo negli scritti successivi degli illustri visitatori della Galleria, da Cochin al Callery, i quali esprimono pareri talvolta più critici. Le quattro opere sono menzionate negli inventari del 1754 e del 1777: entrambi li indicano nel Gabinetto Primo di Palazzo Reale insieme ad altri dipinti di soggetto veterotestamentale richiesti da Filippo Juvarra a vari pittori tra cui il Conca, il Masucci, Giovanni Battista Pittoni e Francesco Monti. Nell'inventario del 1822 la serie è indicata invece nella parete a ponente della Camera che li conteneva e che prende appunto il nome "del Solimena". Rivalutata in tempi più recenti la serie è considerata dalla critica una validissima testimonianza della migliore pittura napoletana settecentesca arrivata fino alla Corte di Torino. Tra gli studi specialistici ha un posto fondamentale la monografia di Ferdinando Bologna. Per lo studioso le quattro tele di Torino stringono forti legami con le opere realizzate dal Solimena negli stessi anni per Palazzo Durazzo a Genova. Bologna precisa che rispetto ai due dipinti genovesi la serie sabauda esprime un differente modo di condurre la composizione, basato sulla modulazione di zone d'ombra e di luce, un espediente che sortisce "un altro e più inerte senso della forma e della luce" capace di dare grandiosità ad una scena popolata da figure di ridotte dimensioni tramite l'allargamento dello spazio e delle architetture. Le successive mostre che hanno ospitato le quattro tele hanno offerto altre occasioni per ulteriori pronunciamenti critici: la Griseri riferisce dell'apprezzamento del regnante sabaudo per il Solimena il quale aveva già sancito il ruolo di interprete di rilievo di quella "retorica intensa che procede in chiave barocca" cara alle corti del '700, inanellando prestigiose commissioni in ambito europeo (Griseri 1963). Circa un ventennio più tardi nel suo scritto sulla pittura napoletana del '700 Nicola Spinosa puntualizzava che il dipinto di Torino costituisce una variante della tela di medesimo soggetto già di proprietà del Conte Alois Thomas Raimund von Harrach, viceré di Napoli dal 1728 al 1732, a cui fu donata da Joseph de Aguirre, conte di Massot, insieme alla Rebecca al pozzo, dopo aver promesso entrambe le opere a Filippo V di Spagna. Del dipinto Harrac esiste, oltre alla redazione di Cornigliano, una copia nel Museo Nazionale di Budapest e un disegno preparatorio agli Uffizi (Spinosa 1986, p. 115, n. 46). (continua in OSS)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350850-1
- NUMERO D'INVENTARIO 377
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
- DATA DI COMPILAZIONE 2012
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0