Mosè salvato dalle acque. le schiave tirano fuori Mosè dall'acqua

dipinto, ca 1582 - ante 1598

Cornice moderna

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Caliari Paolo Detto Paolo Veronese (attribuito): inventore
    Caliari Paolo Detto Paolo Veronese (bottega): pittore
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Caliari, Benedetto E Carletto
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto è menzionato nella Sala del Giardino del Palazzo Ducale di Torino in una nota compilata da Carlo Emanuele I tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento (Bava, 1995). Il Riposo di Borghini (1584) non lo cita con le altre tele veronesiane presenti nelle collezioni sabaude ma l’omissione è probabilmente imputabile a una semplice svista per Coutts (1985), mentre per Cocke (1984) costituirebbe un indizio della sua provenienza dalla collezione del Duca di Mantova smembrata nei primi anni trenta del Seicento. Sulla base di alcuni disegni pare tuttavia che la genesi della composizione debba datarsi a ridosso dell’autunno del 1582, vale a dire contestualmente ad altre commissioni conferite al pittore da Carlo Emanuele I di Savoia e comprensive della Regina di Saba della Galleria Sabauda; di una perduta Adorazione dei Magi; un David con la testa di Golia, oggi forse riflesso in un pannello di piccolo formato attribuito ad Alvise del Friso conservato ad Hampton Court (cfr. Cocke, 1984, pp. 231-234 n. 99; Rearick, 1988, pp. 148-149 n. 77; Pignatti Pedrocco, 1991) e infine una Giuditta e Oloferne, riconoscibile per Rearick (Ibid.) nella frammentaria Giuditta del Kunsthistorisches di Vienna che però non coincide al dettaglio ed è in controparte rispetto alla versione anch’essa tramandata da Del Friso di Hampton Court. Tale ipotesi cronologica si basa sull’esistenza di alcuni schizzi rinvenuti su una lettera scritta al pittore dal trevigiano Marcantonio Gandini il 18 settembre 1582 (Washington, National Gallery of Art, inv. 1987.24-4) e ritenuti preparatori per la Giuditta e Oloferne, il David e Golia e l’ancella aggrappata al ramo e protesa in avanti del Ritrovamento di Mosè, collocata sul foglio della missiva in alto a destra (Cocke, 1984, pp. 231-234 n. 99). La prova grafica del Fitzwilliam Museum di Cambridge (inv. PD 21 1977) contiene invece uno studio preliminare del gruppo principale e di altre figure inserite nel dipinto sabaudo e attesta che la paternità dell’idea è imputabile allo stesso Paolo Caliari (Pallucchini, 1939; Cocke, 1984; Coutts, 1985), sebbene l’esecuzione sia in parte ascrivibile all’ausilio della sua bottega. Più specificamente Baudi di Vesme (1899; 1909) supponeva sia l’intervento del fratello Benedetto che del figlio Carletto, Pallucchini (1963-1964; 1939) sottolineava l’andamento grandioso e movimentato ma anche frammentato della composizione, a suo giudizio ideata da Paolo ma realizzata per lo più da Benedetto e altri anonimi collaboratori sotto la supervisione del maestro. A eccezione di Cocke (1984, 2001), convito sostenitore della paternità di Veronese anche sull’aspetto esecutivo, in generale la critica moderna circoscrive l’intervento di un aiuto alle parti secondarie del dipinto. Viceversa la Crosato Larcher (1969) riconosce a Benedetto i due gruppi di personaggi in primo piano e a Paolo il resto, oltre alla regia formale e cromatica dell’insieme. Come già sottolineato da Pignatti (1976) del soggetto furono eseguite diverse redazioni, tutte collocabili in una fase tarda del catalogo veronesiano e divisibili in due gruppi a seconda dell’andamento verticale od orizzontale della scena rappresentata. Alla prima categoria appartiene il piccolo formato del Prado di Madrid (Pignatti, Pedrocco, 1995, II, pp. 394-395 n. 282), replicato nella versione di Washington (Pignatti, Pedrocco, 1995, II, pp. 394-395 n. 282), in quella di collezione privata passata in asta a San Francisco nel 1998 (Gisolfi, 2007, p. 81) e del Musée des Beaux Arts di Lione (Rearick, 1988, pp. 143-144 n. 74); alla seconda fanno riferimento l’esemplare di Dresda (Pignatti, Pedrocco, 1995, II, pp. 196-197 n. 284) e la copia di scuola veronesiana dell’Art Institute di Chicago (Pignatti, 1976, I, p. 47). Ulteriori varianti di bottega sono note nei musei di Digione e di Liverpool, ma per Pallucchini (1984) la redazione torinese offre un esempio del tutto autonomo in rapporto alle altre e per Pignatti (1976) quello più lontano dal tema originariamente concepito. In effetti l’enfasi scenografica e la traduzione dell’episodio in chiave contemporanea si direbbe derivata dai precedenti elaborati attorno alla metà del Cinquecento da Bonifacio de’ Pitati e dalla sua bottega, primo fra tutti il festoso Ritrovamento di Mosè della Pinacoteca di Brera (cfr. anche Rearick 1988, pp. 142, 144), mentre per Coutts (1985) l’impaginazione scelta costituirebbe un aperto omaggio del maestro alle Logge di Raffaello. Inoltre la presenza di un possibile ritratto riconoscibile nell’uomo vestito di nero con gorgiera chiara, così come gli abiti aggiornati sugli esiti della moda cinquecentesca e l’inserimento nello sfondo a sinistra di una carrozza moderna, non palesano soltanto una generica omissione dell’ambientazione egiziana prevista a cornice del racconto biblico ma a rigor di logica indicano un nesso tra l’interpretazione del soggetto e le richieste avanzate dalla committenza. [Continua nel campo OSS]
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350734
  • NUMERO D'INVENTARIO 458
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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