Madonna in trono col Bambino e due committenti

dipinto, (?) 1514 - (?) 1514

Affresco strappato, privo di cornice, montato su alveolare. Sul parapetto si legge anche la scritta che permette di datare l’affresco: l'ultima “I” della data è tuttavia di restauro. La sagoma delle figure e l’andamento dei panneggi sono direttamente incisi sull'intonaco

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA intonaco/ pittura a fresco
  • AMBITO CULTURALE Ambito Mantovano Ambito Veronese
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Caroto Giovan Francesco
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo Ducale di Mantova
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Ducale
  • INDIRIZZO Piazza Sordello, 40, Mantova (MN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE A descrivere l’affresco è, per primo, lo storico e religioso Ippolito Donesmondi, nel 1616, discutendo di un ampliamento della fabbrica di Santa Maria della Vittoria avvenuto nel 1514 (di due braccia verso la strada: ASMn, Corporazioni Religiose Soppresse, b. 97, c. 7); egli afferma “fu dipinta su’l muro fuori della Chiesa l’imagine della gloriosa Vergine, con alcuni inginocchiati avanti, c’hanno in mano una tavola con danari sopra, e l’inscrittione, ò motto tale; Debellata Iudeorum perfidia.” (Donesmondi 1612-1616, II, p. 119). Verso la metà del Settecento lo storico Federico Amadei assegna il già malconcio affresco al Mantegna – che allora si credeva morto nel 1516; interpreta anch’egli l’oggetto posto ai piedi della Vergine come “una tavola con del danajo sopra” (Amadei 1954-1957, II, p. 422). Ai primi dell’Ottocento l’affresco è notato da Pungileoni “in un angolo della soppressa chiesa di s. Maria della vittoria” (Pungileoni 1817-1821, II (1818), p. 20). Già nel 1816 l’Antoldi (p. 4) segnala la necessità di un restauro. Nel 1831 si propone di adottare all’uopo il “metodo Gallizzioli”; nel 1833 è il Vergani a sollecitare l’intervento; il 17 luglio 1834 Carlo d’Arco scrive una relazione sull’opera, supponendo che l’autore sia uno scolaro del Mantegna, forse fra Girolamo Bonsignori “come ne sembra dallo stile largo e facile che presenta”, e sostenendo la necessità del distacco. Questo viene eseguito, dal capomastro Pietro Dovati, alla fine del 1852 (ASCMn, titolo X-3-4, 1830-1853). Nel Museo di palazzo d’Arco si conservano due disegni (cartelle B 8, n. 2, e B 2, n. 13, più abbozzato il primo, più preciso il secondo, e colle figure in basso tagliate all’altezza del busto) del murale con le sue misure, forse in vista dello strappo. L’affresco è quindi portato nel Museo Patrio, poi Civico, e rimane nel Palazzo Accademico fino al 1915, quando è depositato in Palazzo Ducale (Tamassia 1996, p. 58), dove è sino al 2004, per essere trasferito in Palazzo San Sebastiano. Attribuito da Amadei al Mantegna, l’affresco è ritenuto da Pungileoni opera di valente artefice “che alcuni pretendono essere Francesco [Mantegna], sebbene non manchi chi crede di scorgervi il fare d’Allegri ancor giovinetto” (Pungileoni 1817-1821, II (1818), p. 20). D’Arco lo giudica dapprima opera giovanile del Correggio (1853, pp. 21-24), poi probabile opera dei fratelli pittori Costantino e Gian Luigi de’ Medici: egli ipotizza infatti che l’Amadei abbia frainteso la “tavola coi denari” per lo stemma con le palle medicee, che il Donesmondi abbia riferito la scritta su menzionata per errore al nostro affresco, pertinente invece un dipinto già nella sagrestia della chiesa della Vittoria e ora nella cappella di San Sebastiano in Sant’Andrea. Ritiene quindi che lo stemma mediceo sia quello di una famiglia cui appartengono alcuni artisti attivi a Mantova dalla metà del Quattrocento e ai primi del Cinquecento, tra i quali i fratelli Costantino e Gian Luigi. La famiglia Medici di artisti attivi a Mantova ha però origini milanesi (Agosti 2001, p. 30 nota 83; L’Occaso 2005, pp. 76-78). Zupellari (1865) descrive l’affresco come di stile mantegnesco, ma gli studiosi mantovani sembrano accettare l’idea che spetti ai fratelli Medici. Berenson (1907, p. 189) invece lo assegna a Gian Francesco Caroto, mentre Pacchioni, screditando le attribuzioni proposte dal d’Arco, scrive che deve trattarsi di opera di un tardo mantegnesco, probabilmente veronese (Pacchioni 1916, pp. 159-160). Con la notevole eccezione di Ragghianti, che dubitativamente assegna il dipinto a Gian Francesco Bembo, si rimane per lo più in bilico tra l’attribuzione al Caroto, accettata dalla maggioranza degli studiosi (Fiocco 1915, II, pp. 15 e 74; C. Bertelli 2005, p. 114; M. Danieli, in Mantegna a Mantova 2006, p. 200; Bazzotti 2006, p. 215), talvolta con riserve (Franco Fiorio 1971, p. 38 nota 1; P. Marchiori, in Brugnoli 1974, p. 170), e un più generico riferimento a un maestro anonimo (Agosti 2005, p. 240 nota 37). Ozzola (1949, n. 80; 1953, n. 80) e qualche altro studioso locale mantengono invece la proposta di d’Arco a favore dei fratelli Medici; Ragghianti (1962, p. 38) invece propende per Gian Francesco Bembo. Il Caroto alla data 1514 quasi certamente non era più a Mantova da anni, e in ogni caso l’affresco non è facilmente accostabile alle opere dell’artista del secondo decennio. Il nitore del suo segno e la saturazione cromatica della sua tavolozza sono qui del tutto assenti: ben arduo è il confronto con la Deposizione della collezione Fontana a Torino (1515), dipinta con figure di ben altra forza plastica e cromatica; veneta è invece l'impostazione del trono, sormontato da due palle. Dubito pertanto dell’attribuzione corrente, chiarendo che a mio avviso l’opera potrebbe spettare a qualche abile artista locale, vicino al Leonbruno. CONTINUA NEL CAMPO OSS
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0300151967
  • NUMERO D'INVENTARIO Gen. 11522
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Palazzo Ducale di Mantova
  • ENTE SCHEDATORE Palazzo Ducale di Mantova
  • DATA DI COMPILAZIONE 2010
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2009
    2013
    2023
  • ISCRIZIONI nel bordo superiore del parapetto - A DI ULTIMO DE MARÇO MDXIII[I] - lettere capitali -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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