La festa di Sant'Antonio Abate a Fara Filiorum Petri (CH): le farchie
Su gentile concessione dell'autore dell'immagine
Roberto Monasterio, La festa sotto le farchie accese, 2009, fotografia digitale
Il pomeriggio del 16 gennaio a Fara Filiorum Petri (CH) tutte le contrade del paese portano in corteo la propria farchia, già in precedenza preparata, raggiungendo il piazzale della chiesa di Sant’Antonio Abate; la farchia è un enorme fascio di canne, legate con grande perizia costruttiva per mezzo di corde ottenute da rami giovani di salice rosso. Un recente regolamento comunale impone oggi che ogni farchia non superi gli otto-nove metri d’altezza e gli ottanta centimetri di diametro. L’operazione di innalzamento delle farchie è lunga e delicata; dopo esser state sollevate con delle funi e messe in piedi con grande dispiego di forze, le farchie vengono accese con un innesco di paglia posto sulla cima, attivato da fuochi pirotecnici accesi dal basso, e lasciate bruciare.
La festa vera e propria inizia all’imbrunire, dopo l’arrivo della statua del santo e la benedizione delle farchie accese: il piazzale della chiesa viene aperto al pubblico e numerosi gruppi di cantori intonano – accompagnati all’organetto – un canto in onore di Sant’Antonio Abate; il brano ripercorre, adattandola al dialetto locale, una leggenda riconducibile alla Historia Sancti Antoni, uno dei principali testi di origine altomedievale sul santo eremita. Oggi, oltre al brano devozionale, vengono eseguiti anche numerosi altri esempi del repertorio tradizionale, per lo più di derivazione revivalistica e commerciale.
In serata, dopo che le farchie hanno bruciato fino ad oltre la metà del loro fusto, ogni fascio di canne viene spinto a terra e segato per eliminarne la parte in combustione; in questo modo la farchia viene ricondotta nella contrada di provenienza, dove sarà nuovamente accesa per poter dare seguito alla festa.
L’incendio delle farchie, secondo una leggenda locale, rievocherebbe un miracolo fatto dal santo a Fara Filiorum Petri nel 1799: i soldati francesi intenzionati a occupare il paese furono respinti e messi in fuga con l’intervento di Sant’Antonio, che trasformò un boschetto di querce nei pressi del paese in gigantesche torce.
Nel 1890 Gennaro Finamore descrive la festa come una semplice processione di contadini che portano con sé delle fiaccole (“fàrchie, formate da fasci di canne”), poi gettate davanti la chiesa a formare un falò; da un documentario dell’Istituto Luce realizzato nel gennaio 1929 è invece possibile verificare come l’allestimento attuale delle farchie e il rituale festivo odierno siano condotti sul modello cerimoniale degli anni Venti. Non è troppo difficile ipotizzare che la trasformazione delle piccole farchie del Finamore nelle grandi farchie novecentesche abbia avuto la sua origine in quell’opera di spettacolarizzazione del folklore e di costruzione di stereotipi identitari propagandata dalle politiche culturali del ventennio fascista.
BibliografiaGennaro Finamore, Giuseppe Pitrè (a cura di), Usi e costumi abruzzesi, Curiosità popolari tradizionali, Vol. VII, Palermo, 1890 , pp. 97 - 98
Emiliano Giancristofaro, Il mangiafavole, inchiesta diretta sul folklore abruzzese, Firenze, 1971 , pp. 141 - 148
Emiliano Giancristofaro, Totemàjje, viaggio nella cultura popolare abruzzese, Lanciano, 197894 - 97 , p.
Emiliano Giancristofaro, Tradizioni popolari d'Abruzzo, Roma, 1985 , pp. 183 - 189
Giuseppe Iammarrone, Le farchie, Pescara, 2002 , p.
Roberto Monasterio - Omerita Ranalli, Abruzzo in festa, Pescara, 2019 , pp. 26 - 31