dipinto della Natività. Natività

dipinto,

La scena raffigura il sacro evento della Natività di Gesù Bambino ed è ripartita in due parti. Da un lato sono disposti tre pastori rappresentati in ordine scalare con allusione alle tre età dell’uomo: il primo in alto è delineato con il volto di un vecchio barbuto che poggia la mano sulla spalla nuda di un giovane, dai folti capelli, il quale trattiene sotto il braccio forse un drappo arrotolato. A seguire un uomo maturo con calvizie, in abiti popolari, con le braccia protese e palmi aperti in segno di gioiosa reverenza. Dall’altro lato, in posizione simmetrica a questa figura è San Giuseppe con il suo bastone, due angeli oranti, l’asino e il bue. Al centro il piccolo Bambino disteso nella mangiatoia su di un panno bianco, svelato dalla Santa Madre. In alto un coro di angioletti tra le nuvole di un Dio nascosto

  • OGGETTO dipinto
  • AMBITO CULTURALE Ambito Messinese
  • ATTRIBUZIONI Tancredi Filippo (attribuito)
  • LOCALIZZAZIONE Museo Interdisciplinare Regionale di Messina
  • INDIRIZZO Indirizzo Viale della Libertà, 465, Messina (ME)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L’opera, ricondotta dal Grosso Cacopardo a Filippo Tancredi nella biografia del pittore, fu realizzata per la chiesa di San Gioacchino. Il dipinto risulta dalla documentazione museale tra le opere d’arte recuperate dal sacro edificio a seguito del terremoto del 1908, insieme all’altro quadro dello stesso autore, raffigurante l’adorazione dei Magi. Purtroppo quest’ultimo fu trafugato dai depositi del Museo Regionale di Messina nel 1959. Le due tele, collocate in pendant nella tribuna dell’altare maggiore, facevano parte presumibilmente di un progetto tematico che metteva in evidenza l’adorazione del Cristo Bambino, voluta dal procuratore e cappellano della chiesa di San Gioacchino Domenico Fabris. Il sacerdote, per la grande devozione verso il culto della Natività, a partire dal 1707 aggiunse al titolo originario anche quello di “Sagra Betlemme”. Il Fabris a seguito della miracolosa lacrimazione nel 1712 di un seicentesco Bambinello in cera di sua proprietà, destinato ad una momentanea esposizione presepiale nella attigua sagrestia, effettuò una radicale trasformazione del tempio ampliandolo e arricchendolo di arredi, affreschi e opere pittoriche di illustri maestri messinesi. E’ presumibile che i dipinti del Tancredi possano inserirsi in questa fervente attività di rinnovamento, resa possibile anche grazie alle cospicue elargizioni dovute agli eventi prodigiosi della lacrimazione della statua in cera che si manifestarono nella chiesa in diverse occasioni per circa un decennio. L’opera presenta caratteri di una esperienza maturata dall’autore attraverso la cultura artistica seicentesca messinese, con riferimenti a Domenico Marolì per la simmetria delle figure e soprattutto ai modi di Agostino Scilla, come nel particolare della “testa di vecchio” del pastore in alto. La sua formazione tra Napoli e Roma, entrando in contatto con Carlo Maratta, trapela nella composizione e pose dei soggetti, nelle coloriture smaltate degli abiti, nella luminosità dei volti dalle espressioni delicate, negli incarnati eburnei del Bambino e della Vergine. L’artista dopo un periodo di numerose commissioni a Palermo, dove si trasferì nel 1693, ritornato ormai famoso a Messina nel 1707 vi resterà sino alla sua morte nel 1722. La devozione verso il culto del divino Redentore è palesata nel dipinto attraverso la gestualità dei soggetti rappresentati: di saggezza per la posa sulla spalla che consola e sostiene, di gioiosa accoglienza a palmi ravvicinati, di preghiera a nocche intrecciate, di impugnatura di un bastone per la responsabilità operosa investita dal compito di vigilare, di amorevole presentazione a mani aperte, di accettazione del dolore per la condivisione del progetto di Redenzione, comunicato con estrema delicatezza tra le punte delle dita che sollevano quel velo sottile della pura Verità, che dalla vita alla morte ritorna a rivivere per l’eternità. Personaggi, tutti ritratti a mezza figura, disposti a semicerchio intorno alla mangiatoia, dove presenze angeliche condividono lo stesso spazio ristretto con quelle umane e animali. Così il muso dell’asino dalle grandi narici spunta compresso tra un angelo in venerazione e San Giuseppe, mentre la testa del bue si destreggia tra ali celestiali. Il sentimento di adorazione, manifesto in cielo e in terra, esordisce nel silenzio della preghiera e nella riflessione meditativa degli astanti. Esso si rivela attraverso il trasporto gioioso del pastore, il quale assume nella posizione simmetrica con il padre putativo, una funzione metaforica di guida per la trasmissione di valori di carità, umiltà e servizio assunti dalla confraternita dei “Servi Umili del Santo Bambino Gesù”, attiva nella chiesa di San Gioacchino. A tal fine si potrebbe pertanto ipotizzare che nelle figure dei tre umili pastori siano stati ritratti alcuni confrati, presumibili committenti dell’opera e protesi a sigillare il loro impegno di fede con un dono devozionale. La creatività artistica del Tancredi dunque si fa carico di trasmettere la fervente devozione verso il culto della Natività, così tanto professato dalla comunità messinese, dipingendo Gesù Bambino che con la sua disarmante nudità è il faro che irradia di luce i volti degli spettatori. Il Dio che si fa carne e che dispensa amore con le piccole braccia strette sul cuore e con l’espressione intenerita e commossa
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1900382926
  • NUMERO D'INVENTARIO 1204
  • ENTE SCHEDATORE Museo regionale
  • DATA DI COMPILAZIONE 2024
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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