San Bernardo da Chiaravalle

dipinto su tavola, (?) 1485 - (?) 1485

Il Santo è raffigurato stante di tre quarti su fondo oro con lo sguardo rivolto all’osservatore. Con la destra trattiene un pastorale dalle forme goticizzanti, mentre dalla sinistra si srotola un cartiglio con iscrizione in latino. Il volto, dall’incarnato bronzeo, è nimbato da un’aureola a rilievo in pastiglia dorata con fascia centrale ad “S” gotiche contrapposte. L’abate cistercense indossa l’abito bianco dell’ordine, completo di una cocolla che copre, all’altezza delle spalle, un prezioso piviale damascato finemente decorato a motivi fogliacei dorati su fondo scuro realizzati con sottili incisioni a bulino ad imitazione della trama a fili d’oro del tessuto creando un effetto tridimensionale di rara efficacia, e bordato da un largo orlo dorato ricamato. Il pavimento, su cui si frange in rigide pieghe la tunica, è appena distinguibile e prende, piuttosto, forma di pedana grazie ad una incisione parallela al bordo inferiore della tavola che sembra delinearne lo spigolo

  • OGGETTO dipinto su tavola
  • MATERIA E TECNICA legno di pioppo/ pittura a olio, doratura a bolo
  • MISURE Altezza: 154 cm
    Spessore: 3,5 cm
    Larghezza: 67 cm
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Museo Interdisciplinare Regionale di Messina
  • LOCALIZZAZIONE Museo Interdisciplinare Regionale di Messina
  • INDIRIZZO Viale della Libertà, 465, Messina (ME)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Nel panorama figurativo messinese della seconda metà del ‘400 questa tavola presenta molteplici aspetti di interesse. Un dato certo è l’identità del Santo. Oltre all’esplicito riferimento a San Bernardo nel verbale di consegna del dipinto al Museo Civico Peloritano, l’identificazione col santo cistercense ci viene confermata dalla lettura, una volta sciolte le abbreviazioni presenti, dell’iscrizione del cartiglio: «NON QUI INCEPERIT SED QUI PERSEVERAVERIT» [salvus erit]. Tale passo, tratto dal vangelo di Matteo (10,22), sintetizza uno dei concetti fondamentali della dottrina di Bernardo ovvero l’importanza della perseveranza per il cammino spirituale dell’uomo. Altro dato certo è la provenienza dell’opera. Essa fu recuperata tra le macerie del Museo Civico Peloritano in cui era entrata nel settembre del 1902 proveniente dalla sagrestia della chiesa dello Spirito Santo, come riferisce il La Corte Cailler (La Corte Cailler, 1998, p. 284), dove già era stata segnalata a partire dal secolo XIX (Grosso Cacopardo,1826, p. 6; La Farina, 1840, p. 42). Un ulteriore conferma proviene dal citato verbale di consegna conservato presso il Museo in cui si legge: «San Bernardo, tavola di m. 1,54 x 0,65, fiancheggiata da dieci quadretti situati in due strisce uguali lavorate tutte ad intaglio. Ogni striscia misura m. 1,58 x 0,18. Questo quadro era nella Sagrestia allo Spirito Santo». Di questi quadretti laterali non esiste più traccia già nell’ Elenco quadri recuperati tra le macerie del Museo Civico, redatto poco tempo dopo il sisma. Da un’accurata analisi autoptica della tavola emergono alcuni elementi di specifico interesse. Guardando la superficie dipinta si nota sul fondo oro un alone arcuato che circonda l’immagine del Santo all’altezza delle spalle. Tale impressione visiva è confermata da un dettaglio tecnico significativo: mentre la preparazione del fondo oro della parte inferiore all’arco testimonia l’utilizzo del bolo rosso, quella della zona superiore ne è priva e la doratura in alcuni punti lascia affiorare tracce di una colorazione azzurra sottostante. Si ritiene, dunque, che originariamente gli angoli superiori del dipinto fossero coperti da una cornice intagliata, con parti forse a giorno, soprammessa alla tavola, rendendo centinato il dipinto e raccordandosi, probabilmente, alle due strisce laterali con i famosi “quadretti”; successivamente una volta deteriorata la cornice o estrapolata la tavola da un ipotetico polittico, si pensò di renderla autonoma dorando la parte originariamente nascosta ed aggiungendo, forse, due strisce laterali «lavorate tutte ad intaglio». Questa seconda ipotesi è avvalorata dal giudizio del Cavalcaselle che vide il quadro nel marzo del 1860 datando i quadretti intorno al ‘700, mentre lodava il dipinto giudicandolo paragonabile a quelli dei migliori artisti fiorentini del primo ‘400 (De Gennaro, 1992, pp.80-81). A favore di una datazione alta (metà del sec. XV circa) era anche Stefano Bottari (Bottari, 1935, p.97 e tav.65 fig.5; Bottari, 1939, pp. 54-55, 130 e tav. XVII). Nel 1986 Giovanni Molonia pubblicava brevemente (Molonia, 1986, pp. 36-37, nota 3) la notizia del contratto di committenza a Domenico Pilli per la realizzazione di un dipinto raffigurante S. Bernardo per il monastero dello Spirito Santo di Messina. Il documento, datato 9 aprile 1485, era stato rintracciato da Gaetano La Corte Cailler tra le carte del notaio Antonino Azzarello presso l’Archivio Provinciale di Stato, e ne dava notizia nel 1909 sul quotidiano palermitano “L’Ora” (La Corte Cailler, 1909). Molteplici risultano, comunque, le differenze tra le indicazioni contrattuali accennate dal La Corte ed il dipinto giunto sino a noi. Innanzitutto le misure erano ben più ampie: cm. 258 di altezza per 155 circa di larghezza, compresa la cornice opera di “mastro Giovanni l’intagliatore” identificabile, secondo La Corte Cailler, con Giovanni de Saliba. Il quadro prevedeva centralmente la figura intera di San Bernardo raffigurato con abiti “pontificali”, con ai lati otto quadretti (non dieci) con scene di miracoli del Santo, mentre nella parte superiore avrebbe trovato posto l’immagine dell’Annunziata. Il procuratore del monastero dello Spirito Santo, Giovanni Cardi, si riservava, comunque, il diritto di modificare nei suoi particolari il dipinto. Questo, pagato nove onze d’oro più tre salme di mosto, sarebbe stato consegnato il giorno di Natale del 1485 e collocato sull’altare maggiore della chiesa dove, a detta del La Corte Cailler che non specifica la fonte, rimase sino al 1720 quando fu spostato in sacrestia. La notizia della committenza, ripresa da Francesca Campagna Cicala (Campagna Cicala, 1990, pp.14-16), apre una finestra importante sulla produzione artistica dei Pilli, famiglia di artisti-decoratori attivi a Messina e dintorni tra la seconda metà del sec. XV e la prima metà del successivo, particolarmente apprezzati per l’esecuzione di crocefissi in legno e mistura, doratura di gonfaloni e di altre opere lignee intagliate, ma anche per la realizzazione di icone e polittici, in particolar modo relativamente al nostro Domenico (Di Giacomo, 1993) che viene definito nei documenti d’archivio “discretus magister pictor” (Di Marzo, 1899, p.8; Alibrandi, 1980, pp. 257-264; Militi, 1984, pp.559-634). Anche se è impossibile verificare il documento ritrovato dal La Corte Cailler per la distruzione dell’Archivio Notarile messinese durante l’ultimo conflitto bellico, presupponendo che le differenze tra gli accordi contrattuali e ciò che è giunto a noi del dipinto siano dovute a modifiche, alcune originali e altre successive, dall’analisi degli aspetti decorativi presenti che corredano (e corredavano) la tavola è, tuttavia, possibile avvalorare l’assegnazione al Pilli che senz’altro possedeva tutte le competenze tecniche per realizzare un’opera con tali caratteristiche
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1900382135
  • NUMERO D'INVENTARIO A.974
  • DATA DI COMPILAZIONE 2020
  • ISCRIZIONI sul cartiglio - NON / Qi. INC / EPERI / T. SED. Qi. PSE / VERAV / ERIT. (Non qui inceperit sed qui perseveraverit) - Citazione da: Vangelo di Matteo (10,22) - capitale - a pennello - latino
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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