San Pietro

dipinto, ca 1272 - ca 1272

La tavola, con venatura orizzontale, si trovava sul lato tergale del dossale a due facce, che presentava una teoria di apostoli entro archeggiature dipinte continue, con colonnine in finto porfido e capitelli fogliati azzurri. Nei pennacchi sopra i capitelli erano incastonati vetri colorati oggi perduti. Sulla fronte dell’arco era contenuta un’iscrizione esegetica non più leggibile. Il nimbo, come negli altri elementi della serie, presenta delicati girali incisi a mano libera e sulla fascia esterna due punzoni diversi (cfr. Garibaldi, 2015, pp. 133-134)

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a tempera
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Nazionale dell'Umbria
  • INDIRIZZO Piazza Giordano Bruno, 10, Perugia (PG)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La tavola, insieme alle altre quattro (inv. nn. 21, 22, 23, 1393), faceva parte di un paliotto dipinto su due facce, smembrato prima del 1793, proveniente dall’altare maggiore della chiesa di san Francesco al Prato e non dalla basilica di Assisi. Oltre ai dipinti conservati in questa Galleria, facevano parte del complesso: la tavola con san Simone e Bartolomeo nella collezione Lehman al Metropolitan Museum di New York, il san Giacomo minore e il san Giovanni evangelista della collezione Kress alla National Gallery di Washington e l'Isaia, conservato nel Museo del Tesoro della Basilica di san Francesco ad Assisi. La chiesa perugina di san Francesco al Prato assunse nel settimo decennio del XIII secolo una notevole importanza nel panorama artistico locale soprattutto a seguito della traslazione nel 1262 da san Francesco al Monte delle spoglie del beato Egidio, terzo compagno di san Francesco, accolte nell’antico sarcofago paleocristiano con le storie di Giona. A seguito di quell’evento, nel corso dei decenni successivi la grande chiesa conventuale fu arricchita di opere d'arte straordinarie, prima fra tutte la grande croce dipinta dal Maestro di san Francesco, anch’essa conservata in Galleria Nazionale dell’Umbria, che dall’inizio dell’ottavo decennio del XIII risultava ancorata ad un tramezzo a due terzi della navata. Sebbene non ci siano notizie certe sulla commissione del dossale è assai probabile che poco dopo la traslazione delle spoglie del compagno di san Francesco, questo venisse commissionato per ornare l’altare maggiore della chiesa e che qui sia rimasto fino alla sua rimozione avvenuta nel 1403 quando, a seguito di un complesso progetto di rinnovamento, venne posto sull’altare maggiore il grandioso polittico di Taddeo di Bartolo. La produzione pittorica convenzionalmente riunita sotto il nome di Maestro di san Francesco, non fu frutto di un'unica personalità, piuttosto di una bottega, che formatasi nello stimolante cantiere assisiate, esportò successivamente la propria cifra stilistica in altre chiese umbre, tra cui quella dei conventuali perugini. Qui la evidente derivazione dagli affreschi di Assisi (sia nel paliotto, che nella Croce del 1272) sembra suggellare "artisticamente" il legame spirituale tra due importanti chiese francescane della regione. Essendo stato smembrato e disperso, oggi non è facile ricostruire la forma originaria del dipinto bifacciale, proposta tuttavia recentemente da M. Pierini in Arti del Medioevo, 2022. E’ probabile che il dossale potesse essere così composto: nel verso, rivolto verso il coro, gli apostoli (San Pietro, San Francesco, San Simone e San Bartolomeo, San Giacomo minore, San Giovanni evangelista, Sant'Andrea, San Paolo e altri apostoli perduti), inseriti in un’architettura dipinta continua, con archi impostati su colonnine di finto porfido e capitello a fogliami ai lati di un Cristo in trono, anch’esso perduto; mentre sul lato rivolto verso l’assemblea doveva trovarsi la Madonna in trono e le storie della Passione di Cristo e, ai lati, Sant'Antonio da Padova e il profeta Isaia. E’ probabile, infine, che da questo lato ci fossero altre due tavole con la Spoliazione di Cristo e l’Andata al Calvario. La resa pittorica fluida, anche se ancora memore dello stile bizantino, lo stile narrativo vivace, la preziosità e la raffinatezza di alcune soluzioni decorative, l’accentuato, ma mai scomposto, pathos faranno di questa opera uno dei capisaldi dell’arte locale (cfr. Garibaldi, 2015, pp. 128-134 e Marco Pierini in Arti del Medioevo, con bibliografia precedente)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1000077772
  • NUMERO D'INVENTARIO 1393
  • DATA DI COMPILAZIONE 2003
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
    2016
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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