Sant'Antonio da Padova

dipinto,

La tavola ha una cornice a rilievo costituita da un archetto trilobo. Il recente restauro (1992) ha dimostrato che la colonnina di destra era frutto di integrazione, pertanto la tavola doveva avere dimensioni maggiori rispetto alle attuali. Il pannello è composto di un’unica asse con venatura orizzontale. Sul retro e sullo spessore sono presenti tracce dell’assemblaggio originario (colla e chiodi lignei). Sulla superficie anteriore sono inoltre presenti alveoli destinati a contenere paste vitree. La cornice, autentica, fu intagliata a parte e solo successivamente incollata alla tavola. Per mezzo della riflettografia è stato individuato un accurato disegno a pennello sottostante. Le aree da dipingere e quelle da decorare con l’oro sono delimitate da incisioni e l’aureola è tracciata a compasso. La lamina d’oro è stesa a guazzo su bolo rosso per il fondo e a missione sulle lettere. Le decorazioni della cornice sono eseguite a lamina di stagno dorata a mecca e laccata. Il nimbo di Sant’Antonio e degli altri santi presenta eleganti decorazioni a mano libera e sulla circonferenza due punzoni diversi

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Maestro Di San Francesco (attribuito): esecutore
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Margaritone D'arezzo
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Nazionale dell'Umbria
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo dei Priori
  • INDIRIZZO Corso Pietro Vannucci, 19, Perugia (PG)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La tavola, insieme alle altre quattro (inv. nn. 21, 22, 23, 1393), faceva parte di un paliotto dipinto su due facce, smembrato prima del 1793, proveniente dall’altare maggiore della chiesa di san Francesco al Prato e non dalla basilica di Assisi. Oltre ai dipinti conservati in questa Galleria, facevano parte del complesso: la tavola con san Simone e Bartolomeo nella collezione Lehman al Metropolitan Museum di New York, il san Giacomo minore e il san Giovanni evangelista della collezione Kress alla National Gallery di Washington e l'Isaia, conservato nel Museo del Tesoro della Basilica di san Francesco ad Assisi. La chiesa perugina di san Francesco al Prato assunse nel settimo decennio del XIII secolo una notevole importanza nel panorama artistico locale soprattutto a seguito della traslazione nel 1262 da san Francesco al Monte delle spoglie del beato Egidio, terzo compagno di san Francesco, accolte nell’antico sarcofago paleocristiano con le storie di Giona. A seguito di quell’evento, nel corso dei decenni successivi la grande chiesa conventuale fu arricchita di opere d'arte straordinarie, prima fra tutte la grande croce dipinta dal Maestro di san Francesco, anch’essa conservata in Galleria Nazionale dell’Umbria, che dall’inizio dell’ottavo decennio del XIII risultava ancorata ad un tramezzo a due terzi della navata. Sebbene non ci siano notizie certe sulla commissione del dossale è assai probabile che poco dopo la traslazione delle spoglie del compagno di san Francesco, questo venisse commissionato per ornare l’altare maggiore della chiesa e che qui sia rimasto fino alla sua rimozione avvenuta nel 1403 quando, a seguito di un complesso progetto di rinnovamento, venne posto sull’altare maggiore il grandioso polittico di Taddeo di Bartolo. La produzione pittorica convenzionalmente riunita sotto il nome di Maestro di san Francesco, non fu frutto di un'unica personalità, piuttosto di una bottega, che formatasi nello stimolante cantiere assisiate, esportò successivamente la propria cifra stilistica in altre chiese umbre, tra cui quella dei conventuali perugini. Qui la evidente derivazione dagli affreschi di Assisi (sia nel paliotto, che nella Croce del 1272) sembra suggellare "artisticamente" il legame spirituale tra due importanti chiese francescane della regione. Essendo stato smembrato e disperso, oggi non è facile ricostruire la forma originaria del dipinto bifacciale, proposta tuttavia recentemente da M. Pierini in Arti del Medioevo, 2022. E’ probabile che il dossale potesse essere così composto: nel verso, rivolto verso il coro, gli apostoli (San Pietro, San Francesco, San Simone e San Bartolomeo, San Giacomo minore, San Giovanni evangelista, Sant'Andrea, San Paolo e altri apostoli perduti), inseriti in un’architettura dipinta continua, con archi impostati su colonnine di finto porfido e capitello a fogliami ai lati di un Cristo in trono, anch’esso perduto; mentre sul lato rivolto verso l’assemblea doveva trovarsi la Madonna in trono e le storie della Passione di Cristo e, ai lati, Sant'Antonio da Padova e il profeta Isaia. E’ probabile, infine, che da questo lato ci fossero altre due tavole con la Spoliazione di Cristo e l’Andata al Calvario. La resa pittorica fluida, anche se ancora memore dello stile bizantino, lo stile narrativo vivace, la preziosità e la raffinatezza di alcune soluzioni decorative, l’accentuato, ma mai scomposto, pathos faranno di questa opera uno dei capisaldi dell’arte locale (cfr. Garibaldi, 2015, pp. 128-134 e Marco Pierini in Arti del Medioevo, con bibliografia precedente). Riguardo alla provenienza, è stato recentemente proposta l'identificazione della tavoletta con quella acquistata, per conto del Comune di Perugia, da Luigi Carattoli che la rinvenne nella collezione dell'antiquario-rigattiere Agostino Bonamancia, nota figura di fornitore del Museo dell'Università (nelle sue articolazioni archeologiche e medioevali) e della Pinacoteca (Delogu, G.F. 2002, pp. 590-600)
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1000016082
  • NUMERO D'INVENTARIO 21
  • ENTE SCHEDATORE Galleria Nazionale dell'Umbria
  • DATA DI COMPILAZIONE 1996
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2006
    2016
    2022
  • ISCRIZIONI nel libro - INVOCA/VI ET VE(N)IT / IN ME SP(I)R(ITUS) / SAPIENTE / ET INTEL/LECTUS - a pennello - latino
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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