Cristo in Mandorla e un angelo

leggio, 1300 - 1349

Frammento di leggio con Cristo in mandorla e un angelo

  • OGGETTO leggio
  • MATERIA E TECNICA Marmo
  • AMBITO CULTURALE Bottega Pisana
  • LOCALIZZAZIONE Pisa (PI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Prelevata tra 1812 (DA MORRONA) e 1825 dal Lasinio dai magazzini dell'Opera del Duomo (LASINIO1814-25), l'opera fu murata all'inizio della parete nord, sotto l'affresco con la "Cosmografia"(LASINIO 1833), dove rimase fino al 1935, quando con la costituzione del primo Museo Dell'Opera, venne in esso spostata. Smantellato quest'ultimo rimase nei magazzini fino al trasferimento nell'ex convento di S. Matteo in occasione della Mostra sulla Scultura pisana del Trecento nel 1947 ed ivi rimase entrando a far parte del le raccolte del nuovo Museo Nazionale di S. Matteo. Il bassorilievo è frammentario: manca infatti la parte destra della composizione, presumibilmente simmetrica, articolata sullo sfondo di un riquadro che si intravede dietro la testa perduta dell'angelo rimasto, e che presenta il Cristo benedicente al centro di una mandorla assai incavata (con tracce di colore azzurro) retta in origine da due angeli in piedi. Il Lasinio (1814-25) classificò semplicemente il bassorilievo come opera di scuola pisana, mentre il Papini fu il primo che identificò l'opera come frammento di un pergamo, lo stesso, a suo avviso, cui appartenne il leggio analogamente frammentari o raffigurante un Cristo in pietà, oggi attribuito a Giovanni (09/00235643). Infatti ritiene che i due leggii siano della stessa mano e che il loro esecutore sia da identificare con lo scultore che eseguì il pulpito di S. Michele in Borgo, seguendo l'attribuzione indicata per il secondo leggio d al Venturi (1906). Poco dopo tuttavia lo stesso Papini (1915) modifica leggermente il giudizio, rifiutando l'attribuzione del Venturi a favore di un a semplice parentela stilistica. Più che allo scultore del pulpito di S. Michele in Borgo egli lega i due leggii, che continua a ritenere della stessa mano, alla formella di pulpito incompiuta, oggi riconosciuta unanimemente come opera di Tino (09/00235644). Nelle tre opere nota un'accentuazione delle caratteristiche di Giovanni. Successivamente le tre opere hanno avuto una storia critica diversa e quella in questione fu giustamente ritenuta dal Carli (1935) molto più fine del pulpito di S. Michele in Borgo e da riferire ad un esperto seguace del più tardo Giovanni con rapporti col pergamo del duomo di Pisa. Apparso senza notazioni critiche alla mostra de l 1947, il leggio è stato successivamente classificato dal Caleca (1978) come opera dello stesso Giovanni forse ritenendolo, in un primo momento, uno dei due leggii del pergamo del duomo di Pisa. Di recente tuttavia lo stesso studioso ha accolto l'ipotesi più corrente che il secondo dei leggii di quel pergamo sia invece quello già citato col Cristo in pietà, caratterizzato da una drammaticità assai intensa. Di certo resta l'alta qualità di entrambi: pur nella meno concitata soluzione compositiva, legata anche a l diverso tema iconografico, anche il leggio in esame si caratterizza infatti per una forte presenza giovannesca, tanto che anch'io non ritengo possibile accostarlo al pulpito di S. Michele in Borgo, in cui i panneggi e i volti dei personaggi hanno una struttura morfologica del tutto diversa. L'intenso volto del Cristo sembra modellarsi invece , ad esempio, su quello di Giovanni del Cristo Apocalittico del pergamo del duomo e a molte figurine delle sue lastre si lega la sintetica struttura dell'angelo e la sicurezza del suo movimento. Anche la sommarietà con cui sono trattate le mani trova riscontri nella rapidità narrativa degli specchi del pergamo del duomo ossia, come è già stato notato, nel fare più inoltrato di Giovanni. Non risultando nota la presenza di altri complessi autografi di Giovanni cui il leggio possa collegarsi e consapevoli della notevole capacità di mimesi che nella sua taglia si raggiunge rispetto ai suoi modelli, non resta che collocare l'esecuzione dell'opera nell'ambito della parte più ortodossa di essa. Tra le ipotesi si deve comunque proporre anche quella (che potrebbe, se non altro, trovare qualche sostegno nella provenienza del pezzo dai depositi dell'Opera, analogamente al citato leggio con il Cristo in Pietà riferito al pergamo di Giovanni) che possa trattarsi di quanto resta, dopo l'incendio del 1595, del pulpito minore dello stesso duomo di Pisa, e seguito da Lupo di Francesco. Mi pare inoltre che la particolare ortodossi a rispetto a modelli giovanneschi che caratterizza la formella, si riscontri anche nel piccolo Crocifisso ligneo della chiesa dei Cappuccini e in numerosi elementi scultorei del fianco meridionale della chiesa di S. Mari a della Spina, sia, ad esempio, nella parte di più alta qualità della seri e degli Apostoli, sia in alcune delle statuette che decoravano le guglie della galleria (09/00235666, 09/00235660, 09/00235657, 09/00235658, 09/00235659): una parte dell'edificio che può essere stata realizzata nel decennio successivo alla perizia sui lavori di ampliamento dell'oratorio cui partecipò anche Lupo di Francesco (BURRESI 1990). L'opera è stata presente nella mostra di Pisa del 1947
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900235642
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Museo Nazionale di San Matteo - Pisa
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio, per il patrimonio storico artistico e demoetnoantropologico di Pisa, Livorno, Lucca e Massa Carrara
  • DATA DI COMPILAZIONE 1989
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 1993
    2006
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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