strage dei figli di Niobe

dipinto, ca 1670 - ca 1670

Cornice in legno intagliato e dorato

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • MISURE Altezza: 213 cm
    Larghezza: 350 cm
  • ATTRIBUZIONI Dauphin Charles-claude (1620/ 1677)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Cesari Giuseppe detto il Cavalier d'Arpino
    Perrier François
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L’opera illustra l'episodio narrato nel XXIV canto dell'Iliade: Niobe, figlia di Tantalo, dopo aver sposato Anfione, diventa madre di sette figli maschi e di sette figlie femmine. Fiera della sua numerosa prole, Niobe afferma la sua superiorità sulla dea Latona, madre soltanto di due bambini, Apollo e Artemide. Per vendicarsi dell’affronto, Latona ordina ai suoi figli di uccidere tutti i bambini di Niobe, che, impazzita per l’immenso dolore, si trasforma in una delle sorgenti del monte Sipilo in Asia minore, patria di suo padre. Il primo documento che attesta la presenza in Piemonte del dipinto di Charles Dauphin è l’inventario del Castello Ducale del Valentino, redatto nel 1677: “quadro della Favola di Niobe, con diverse figure d'homini, e donne alcune delle quali sono nude ed altre vestite con cornice a goderoni, ed indorata” (Di Macco in Di Macco, Michela/ Romano, Giovanni (a cura di), 1989, p. 118). Nello “Stato descrittivo de' Quadri esistenti negli Appartamenti del Regio Palazzo di Torino”, redatto nel 1822, l’opera è esposta nella Camera da letto come un “Apollo e Diana che saettano la famiglia di Niobe” di mano del “Delfino, francese” (Astrua in [Romano, Giovanni] (a cura di), 1982, s.p.). Tuttavia, l’attribuzione del dipinto a Charles Dauphin si perde nei decenni successivi, a favore di quella al Cavalier d’Arpino. Dal 1938 e fino al 1989, il quadro è depositato a Roma, a Villa Madama, presso l’Ufficio del Cerimoniale. Proprio a Roma l’opera attira l’attenzione di Eric Schleier, che lo pubblica nel 1972, proponendo di attribuirlo a François Perrier e giudicandolo come “une oeuvre capitale de la peinture romaine des année 35-45” del XVII secolo (Schleier, 1972, p. 41). Schleier stesso, tuttavia, nota l’assenza di elementi cortoneschi nel dipinto e, avanzando con cautela il nome di Perrier, segnala la sorprendente vicinanza dell’opera allo stile di Pier Francesco Mola e di Andrea Camassei. Nel 1979, Michela Di Macco reintegra, su segnalazione di Giovanni Romano, il dipinto nel catalogo di Charles Dauphin, ma ne segnala anche il timbro particolarmente “classicista”, immaginando un ipotetico soggiorno a Roma di Dauphin (Di Macco, 1979, p. 39). In parallelo con Di Macco, anche Robert Fohr restituisce l’opera a Dauphin nel 1982 (Fohr, 1982, pp. 990-992). Fohr segnala inoltre l’originalità del dipinto, molto diverso dalle altre composizioni di stesso soggetto dipinte negli stessi anni da altri pittori, come Perrier e Luca Giordano, che si ispirano al gruppo antico degli Uffizi (allora conservato a Villa Medici). Sulla base di questa analisi, Fohr data l’opera tra la fine del sesto e l'inizio del settimo decennio del Seicento. Michela Di Macco accetta la proposta di datazione di Fohr, confrontando l’opera con altri dipinti eseguiti intorno al 1670, come il “Baccanale” (Torino, Palazzo della Provincia) e l'“Elia rapito sul carro di fuoco” (Torino, chiesa di Santa Teresa) (Di Macco in Di Macco, Michela/ Romano, Giovanni (a cura di), 1989, p. 118)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100351231
  • NUMERO D'INVENTARIO 931
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2013
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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