Allegoria dell'elemento del Fuoco

dipinto,

La scena è ambientata nella fucina del dio Vulcano. Qui una frotta di amorini, chiassosi e giocherellanti, opera alle attività di fusione e forgiatura. Sulla sinistra è Vulcano che assiste sdraiato alla discesa improvvisa di Giove, fluttuante al centro della composizione con dei fulmini stretti nel pugno destro. All'estrema sinistra giace Semele. La figura nuda è colpita dal fuoco sprigionato da Giove. Al sommo della scena appare il carro trainato da due colombe e guidato da Venere, la quale porta una grande torcia accesa da cui attinge il fuoco dell'amore che distribuisce agli amorini

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Albani Francesco (attribuito): pittore
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 8, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera fa parte della serie con gli Elementi, commissionato all'Albani nel 1625 dal Cardinal Maurizio di Savoia che a Roma era rimasto incantato dalle celebri 'Storie di Venere e Diana' di commissione Borghese. Fu dipinto a Bologna al ritorno del pittore nella città felsinea dopo il suo soggiorno romano. Benché finito già dal 1628 il ciclo giunse a Torino per via d'acqua, risalendo il Po da Ferrara, solo nel 1633. Tale ritardo è attribuito al fatto che il cardinal Maurizio mancava di liquidare al pittore i 200 scudi pattuiti per ogni tela e se quanto riportato dal Vesme è corretto il pittore minacciò addirittura di vendere il ciclo a un altro cliente. Nel 1635, al saldo del dovuto, il committente si premurò di omaggiare l'Albani di un anello con un diamante incastonato del valore di 340 lire (Vesme 1963-1982; Puglisi 1999). Giunte in terra sabauda le quattro tele furono collocate nella 'Stanza delle Rose' del castello del Valentino e solo nel 1692, quando cioè venne a mancare l'ereditiera di Maurizio di Savoia, la figlia di Madama Reale principessa Ludovica, confluirono nella collezione del duca Vittorio Amedeo II. Dal punto di vista dello stile i quattro tondi guardano direttamente all'insegnamento di Annibale Carracci, a cui l'Albani unì il lirismo e la preziosità pittorica a lui tipici. Con la serie degli Elementi il pittore raggiunse un livello artistico che dal Seicento in poi suscitò grande entusiasmo nei biografi e dei viaggiatori settecenteschi del 'Grand Tour' in soggiorno a Torino. In realtà la serie suscitò grande ammirazione già tra i contemporanei: nel 1635 Bernardino Marescotti, letterato bolognese vicino al cenacolo romano di Maurizio di Savoia, pubblicava una canzone in onore dei quattro elementi; nello stesso anno Orazio Zamboni sosteneva una simbologia politica dei dipinti a favore della dinastia dei Savoia. In qualche misura lo stesso Albani aveva contribuito alla fama di questa serie con una lettera indirizzata all'erudito committente nella quale spiegava il significato di quelle 'poesie in pittura', per dirla con la Di Macco, con forma ed argomentazioni degne di un letterato. A seguito di questa serie il pittore ebbe altre due prestigiose commissioni eseguite nel corso del terzo decennio. Si tratta delle serie similari eseguite per Ferdinando Gonzaga e per Jacques le Veneur, conte di Caronge, la cui serie, secondo quanto riferito dal Malvasia, non ebbe l'ultima scena per via del poco apprezzamento espresso del conte per i nudi maschili dell'Albani. Alla fine del Settecento la serie fu interessata dai trasferimenti napoleonici, nel 1796 venne difatti prelevata ed esposta al Louvre. Nel 1814 venne restituita ai Savoia e nel 1832 fu musealizzata in Sabauda. Secondo la Griseri, che ricupera una considerazione già avanzata dal Lanzi, il ciclo dei Quattro elementi influenzò fortemente la pittura decorativa piemontese successiva, tanto da diventarne il 'riferimento arcadico' (Griseri 1963). Sono riferiti dalle fonti gli invasivi e rovinosi interventi di restauro cui il ciclo degli Elementi dell'Albani fu sottoposto nel tardo Settecento e nell'Ottocento. Le discutibili operazioni perpetrate dal Tamburini ed in seguito dai francesi hanno fatto perdere per sempre alcune velature e materia pittorica (D'Azeglio 1846; Bernardi 1969). Più oculati interventi conservativi sono stati eseguiti nel 1988 e poi per la recente mostra sul collezionismo sabaudo del 2012. Il primo restauro ha messo alla luce come gli interventi passati avessero abbassato a brillantezza dei colori, soprattutto nel cielo, che ora presenta tracce di un blu profondo (Nicola 1982)
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350861-1
  • NUMERO D'INVENTARIO 478
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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