Erodiade con la testa del Battista
dipinto,
Cairo Francesco (attribuito)
1607/ 1665
La figura di Erodiate è rappresentata con il capo tirato all'indietro, quasi nell'atto di svenire. Di fronte a lei un tavolo con la testa decapitata del Battista la cui lingua è trafitta da uno spillone. A sinistra una cassetta ed una chiave
- OGGETTO dipinto
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ATTRIBUZIONI
Cairo Francesco (attribuito): pittore
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ALTRE ATTRIBUZIONI
Mazzucchelli Pier Francesco detto il Morazzone
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
- LOCALIZZAZIONE Palazzo Reale, Manica Nuova
- INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera è menzionata per la prima volta nel catalogo delle opere del duca Vittorio Amedeo I di Savoia redatto dal Della Cornia nel 1635, qui viene indicata tra e opere del Gabinetto dorato in Palazzo ducale. Nel 1832 è elencata tra le opere della nuova Reale Galleria e quindi trasferita a Palazzo Madama. Dal 1865 è posta nella sede storica della Galleria Sabauda. Dalle vicende attributive molto articolate la tela è attualmente data a Francesco Cairo, paternità del resto già indicata dal Della Cornia che scriveva in anni poco successivi la sua realizzazione. La medesima attribuzione viene mantenuta nell'inventario della Galleria del Re di Sardegna redatto nel 1822. Come per altre due tele conservate alla Sabauda, la Lucrezia ed il Martirio di Sant'Agnese, tra le composizioni torinesi le più aderenti al gusto pittorico lombardo della fine del terzo decennio del Seicento, anche per questo dipinto l'attribuzione originaria è stata rettificata a favore di Pier Francesco Mazzucchelli dai diversi cataloghi delle raccolte sabaude redatti dal D'Azeglio (1836 e poi 1846), dal Callery (1859) e dal Baudi di Vesme (1897 e poi 1899) il quale tuttavia riporta l'originale attribuzione a Francesco Cairo e la superata interpretazione del soggetto qual'era Fulvia o Publilia di fronte la testa recisa di Cicerone. La paternità della tela resta la medesima in occasione della mostra sui dipinti italiani tra Sei e Settecento tenuta a Firenze nel 1922. Fu il Longhi, nel medesimo anno, a riproporne l'attribuzione corretta, tanto che nella seconda edizione del catalogo della mostra la tela compare come opera di Francesco Cairo. Su tale posizione stette la critica successiva sino a Nicodemi (1927), il quale rispolverò il nome del Morazzone, ipotesi accantonata qualche anno dopo dalla Matalon (1929-1930, 1930) che ha riaffidato in via definitiva l'opera al Cairo, evidenziando come la raffinatezza e la delicatezza dei volti siano poco affini alle composizioni del Morazzone. Mina Gegori in un suo puntuale intervento del 1983 ritrova nella composizione suggestioni reniane che si palesano nella 'rattenuta, idealizzata (per quanto poteva il Cairo), tragicità', e che avvicinano il soggetto femminile del milanese ad alcune mezze figure di eroine di Guido, databili alla seconda metà del terzo decennio del Seicento. Esistono altre due repliche dell'Erodiade, con il medesimo impianto compositivo, conservate a Boston e Vicenza, rispetto le quali, secondo Testori (1952, 1955), l'esemplare di Torino costituirebbe la prima versione. Tale ipotesi è rivista da Brunori seguito da Dall'Acqua e dalla Basso, la quale fa scivolare di qualche anno la datazione della tela rispetto alle due repliche sopra menzionate (Brunori 1964; Dell'Acqua 1983; Basso 1983-84). La posizione di Testori è stata ripresa più di recente da Frangi (1998) il quale individua nella 'vibrante condotta materica, ancora di stampo prettamente milanese […] caratteri più precoci rispetto alle redazioni di Vicenza e di Boston'. Secondo lo studioso la tela costituirebbe pertanto la prima composizione del tema di Erodiade, riproposto nei successivi esemplari di Boston e Vicenza e in quello immediatamente consecutivo di New York. Circa la particolarissima composizione che desume dal tema biblico un'iconografia inedita, peraltro riscontrabile in tutti gli esemplari sinora citati, è sempre il Frangi che indica due riferimenti letterari dai quali probabilmente il pittore trasse ispirazione: il primo, già individuato da Cattaneo (1983) è la Legenda Aurea di Jacopo da Varagine dove si narra dell'afflato letale che portò alla morte Erodiade; il secondo testo è relativo ad un passo della Ad Rufinum scritta da san Gerolamo, che illustra con tono dispregiativo la bieca vendetta perpetrata da Erodiade, nei confronti della testa decapitata del Battista, la quale infilzò la lingua del santo con una spilla per capelli, analogamente a quanto accadde nel mondo classico con l'azione di Fulvia nei confronti di Cicerone, dopo la sua morte. Come ricorda Elena Ragusa il tema era molto caro alla corte Sabauda -nell'inventario del 1631 era già citata un'altra Erodiade di dimensioni più ampie, riferita al Romanino- è stavolta veniva richiesto ad una personalità ugualmente congeniale ai Savoia visto che da Vittorio Amedeo I di Savoia ricevette l'investitura di cavaliere dell'Ordine di San Maurizio e Lazzaro e che probabilmente lo stesso duca possedesseopere del Cairo già dagli inizi degli anni '30 (Ragusa 2003). Il dipinto torinese è stato poi citato dal Bozzo (2010) che usa l'opera ad esempio iconografico per tutta la serie delle composizioni (ma con la collocazione erronea al Civico di Vicenza) in cui si ritrova la mano semiaperta di Erodiade, sospesa a mezz'aria, 'che assurge, in tal modo, a cifra stilistica dell'artista e a indirizzo eloquente di autografia' (Bozzo 2010, p. 368)
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350849
- NUMERO D'INVENTARIO 374
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
- DATA DI COMPILAZIONE 2012
- ISCRIZIONI Recto, etichetta - Comune di Milano - Esposizione mostra del Seicento lombardo - Palazzo Reale - 1973 n. 207 - a inchiostro - italiano
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0