Cristo portacroce

dipinto, post 1590 - ante 1605

Cornice dorata

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Vecellio Tiziano (bottega Di)
    Tiziano Vecellio
    Leonardo Di Ser Piero Da Vinci Detto Leonardo Da Vinci (copia Da)
    Caccia Guglielmo detto il Moncalvo
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto proviene dalla collezione genovese di Marcello (detto Marcellino) Giuseppe Durazzo (Leoncini, 2004), ove dava lustro alla cappella del Palazzo. In quella sede lo vide il Ratti, che nel 1780 lo citava come “mezza figura di Cristo portante la Croce, di Tiziano” precisando che si trattava di un’opera “studiatissima” (p. 213). Pervenne al Museo sabaudo nel 1837 insieme a una cornice dorata (Astrua, 2004). Fu valutato 1000 lire nella Nota de’ quadri di Brunati e Marcello Durazzo del 1823 e lasciato invece senza valutazione da Giuseppe Tamburin (restauratore fiduciario del Conte Galleani di Canelli e nominato nel 1826 Conservatore delle Gallerie torinesi). Negli inventari del Museo (1851, 1853, 1866, 1871) l’attribuzione fu corretta dapprima in Moncalvo, nel catalogo a stampa di Gamba (1884) ribadita precisando che si trattava di un’imitazione di Palma il Giovane e da Vesme riportata alla bottega di Tiziano (1899, 1909). Nonostante non sussistano dubbi riguardo alla provenienza genovese del dipinto va tuttavia senz’altro segnalato che, secondo l’inventario di Antonio Dalla Cornia (1635), nelle collezioni sabaude era presente un “Cristo che porta la croce con altre mezze figure” attribuito al Palma, ritenuto di buona qualità e di formato quadrato (Pinto, 1994, p. 4). Proprio in direzione di Palma il Giovane sembra inclinare anche il Portacroce di provenienza Durazzo. Sono infatti poco stringenti dal punto di vista stilistico-formale i confronti con i dipinti di analogo soggetto ascrivibili al catalogo del Cadorino o della sua bottega. Tanto quello giovanile della Scuola Grande di San Rocco, datato al 1510 circa e alternativamente ascritto dagli studi a Giorgione o a Tiziano, quanto quelli della fase matura, noti nella versione esposta da Filippo II nell’oratorio privato dell’Escorial e oggi al Museo del Prado di Madrid e nella copia autografa dell’Hermitage di San Pietroburgo (cfr. Whetey, 1969, pp. 80-82 nn. 22-25). Per la grana dell’impasto cromatico, il controluce dell’aureola, i dettagli dei chiodi che uniscono i legni della croce e la corona di spine dalla quale stillano raggrumate gocce di sangue, ma soprattutto per la dolcezza quasi baroccesca dei lineamenti della figura di Cristo, la paternità del dipinto andrebbe invece orientata verso Palma il Giovane o tutt’al più convertita verso un allievo come Carlo Ridolfi, informato sugli sviluppi della pittura marchigiana. Nello specifico si potrebbe legare alla produzione del maestro veneziano a cavallo del XVI-XVII secolo, quando cioè, alimentata dall’onda lunga della controriforma, si fece più serrata la meditazione severa e patetica sui temi cristologici neo e veterotestamentari e più attenta la ricerca dell’accensione luministica (Mason, 1984, pp. 34-39). Opere come il Cristo coronato di spine di Rouen (1592-1600), l'Andata al Calvario della Chiesa di San Barnaba (1601ca), quella di collezione Scarpa o dell’Oratorio della Trinità di Chioggia ed ancora l’Ecce Homo della Querini (1600ca; Mason, 1984, nn. 253, 354, 356, 560), si prestano a suggerire gli estremi cronologici, formali e iconografici di un confronto ancora tutto da indagare. Dal punto di vista prettamente iconografico, contrariamente a Vesme (1899 e 1909) che interpretava entrambi i personaggi ai lati della croce come sgherri o manigoldi, sulla base della coerenza con lo sviluppo del tema in ambito veneziano ma anche dell’effettiva posizione delle due figure, sembra preferibile ipotizzare che soltanto il giovane uomo ritratto al di là della croce sia un aguzzino. L’altro, invece più anziano e con le mucose arrossate forse di pianto, è probabile che debba essere interpretato come un devoto, pronto a seguire Cristo sulla via della Croce. Anche il formato medio del dipinto depone d’altro canto a favore di un’opera destinata alla devozione privata che, secondo i dettami della cosiddetta orazione mentale, di norma prevedeva l’immedesimazione con i modelli rappresentati. Del resto nelle Andate al Calvario di Palma il Giovane si riscontra quasi sempre la presenza del Cireneo che aiuta a portare la croce
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350751
  • NUMERO D'INVENTARIO 465
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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