INSEDIAMENTO NEOLITICO E NECROPOLI (tracce di insediamento, insediamento)

Chiomonte, IV millennio a.C fine

Il sito si trova a 720 m slm, sul versante sinistro della Valle di Susa, allo sbocco della valle laterale del Rio Clarea, su un pianoro a mezza costa, delimitato dagli assi vallivi e da una scarpata; è ben esposto al sole e facilmente percorribile, rispetto al fondovalle, impraticabile e acquitrinoso. A monte la foresta si apriva a spazi adibiti a pascoli. Gran parte del versante è occupato da un accumulo di frana originatasi da fratture subverticali che hanno determinato il distacco di grandi massi. La formazione del terrazzo, di origine fluvioglaciale, e gli episodi di crollo si sono alternati nel tempo, mentre i depositi archeologici sono posteriori (la stratigrafia poggia sull'ultimo grande episodio franoso). Questi hanno evidenziato ulteriori frane, causate da fenomeni di natura principalmente sismica, che portarono al ripetuto abbandono del sito. I primi scavi hanno asportato per trincee spessi depositi colluviali che però si sono rivelati sterili, poggiando direttamente sui sedimenti fluvioglaciali. Esiti positivi invece hanno dato saggi praticati all'interno di una cavità sottostante un masso franato (Masso 2) ai piedi del versante; è stato recuperato molto materiale senza però che fosse possibile individuare vere paleosuperfici di abitato. All'esterno del masso invece, è stato individuato un paleosuolo a matrice organica e numerosi reperti di età preistorica. Tutta l'area interessata dal tracciato autostradale, in totale 12500 mq, è stata quindi sottoposta ad una profonda operazione di bonifica. Sono stati indagati i ripari sotto i massi franati che hanno svelato l'esistenza di microambienti con tracce di antropizzazione medievale. Lo scavo di una delle cavità interne ha invece restituito una situazione comprendente orizzonti risalenti al Neolitico. La stratigrafia completa testimonia fasi insediative dal Neolitico recente all'Età del Rame, dall'Età del Bronzo medio-tardo alla seconda Età del Ferro. Gli orizzonti più recenti risultano sconvolti dagli episodi di frana, tranne per il settore a S-W del pianoro che, essendo marginale, è stato meno interessato da tali eventi. Le poche strutture conservate in situ (muri di sostegno, accumuli di blocchi da spietramento) fanno pensare ad un utilizzo dell’area a scopo agricolo. L’analisi dei materiali ha permesso di attribuire queste frequentazioni in parte alla seconda metà del I mill. a.C., ma soprattutto all’ambito della cultura di Viverone. Le tracce dell’età del Rame si riferiscono invece ad aspetti locali di tradizione tardo neolitica, in parte influenzati da elementi campaniformi, già segnalati sulle Alpi Cozie. Le fasi meglio conservate sono quelle neolitiche, anch’esse sepolte da eventi di frana, che hanno sigillato le strutture quando erano ancora in uso , causando probabilmente una contrazione del sito e non il suo abbandono. Queste sono da riferirsi alla zona residenziale di un insediamento di dimensioni notevoli. I grandi massi di frana che erano già caduti prima dell’arrivo dei neolitici hanno ampiamente condizionato i costruttori delle capanne. La pianta del villaggio risulta quindi casuale e determinata soprattutto dalla configurazione del terreno, con piccole abitazioni poste spesso addossate alle pareti orientali dei macigni, in base alla direzione dei venti e all’esposizione al sole. I macigni sono stati utilizzati non solo come pareti, ma anche come strutture portanti di case costituite da semplici tettoie ad un solo spiovente, appoggiate direttamente ai grandi massi. Il terreno detritico non favoriva l’inserzione di pali per cui le relative buche sono state trovate in numero esiguo. Le pareti erano anche costituite da graticci impermeabilizzati con un intonaco d’argilla cruda, ancorati con pali infissi verticalmente nel terreno o con qualche filare di pietre disposto a formare un muretto. Altre capanne erano auto portanti e presentavano una pianta circolare. Non manca infine il caso di un’abitazione a pianta quadrangolare, retta da pali infissi nel terreno ai vertici e al centro. Non sembra che queste case abbiano subito dei rifacimenti, per cui dovrebbero essere state abitate per tempi relativamente brevi, circa un decennio. In alcuni casi queste strutture costituivano semplici ripari. Talvolta le superfici venivano regolarizzate con lastricati di ciottoli; una casa era posta in un’area a lieve pendenza e pertanto il terreno era stato scavato e riportato per livellare il piano. Le tecniche costruttive delle case appaiono abbastanza povere e semplici; all’interno le capanne non erano suddivise in vani, ma vi sono indicazioni di uso specifico di alcune zone, ad esempio come “laboratorio” in cui si producevano gli attrezzi d’uso domestico o per attività legate alla tessitura, come lascia presupporre la presenza di concentrazioni di fusaiole o di percussori atti a ravvivare la superficie delle macine. Frequenti le strutture di combustione, e di due tipi: focolari semplici di dimensioni ridotte, situati all’interno delle abitazioni e destinati forse al loro riscaldamento; fosse di grandi dimensioni, poste all’esterno (concentrate nel settore N del sito), rinvenute ricolme di pietre che presentavano superfici arrossate o annerite per via di forti riscaldamenti, e verosimilmente destinate alla cottura dei cibi, se è corretto il paragone con i cosiddetti “forni polinesiani”. Una seconda ipotesi, suggerita dal microscavo di una di queste, suggerisce una struttura dotata di copertura in materiali leggeri a formare un forno di cottura per la ceramica. In questo modo il settore si configurerebbe come area artigianale. A breve distanza dalle capanne, verso N, è stata individuata un’area cimiteriale posta in una zona leggermente rilevata del pianoro, forse in seguito a riporti artificiali di terra. Sono state rinvenute 11 inumazioni in cista litica, orientate in modo diverso, mentre i corpi – tutti individui adulti - sono stati deposti sempre in posizione rannicchiata col capo ad E, e senza corredo. Fra le sepolture è stato individuato un complesso di strutture probabilmente destinate a compiere delle cerimonie, forse connesse a ripetute riesumazioni e manipolazioni dei cadaveri, ridotti alle ossa del cranio, in un'ottica anche di riutilizzo della tomba. Si data alla tarda Età del Ferro una tomba singola sempre in cista litica, ma con individuo femminile disteso e dotato di ricco corredo di oggetti in bronzo, posta al margine N-W. La parte immediatamente alle spalle della cascina “La Maddalena”, adibita a sfruttamento agricolo, reca tracce di una poderosa massicciata, appoggiata su un dislivello (recinto per animali o dell’intero villaggio); la datazione è incerta. Un secondo muro a secco, alla supporto forse di una tettoia, si data in base ai materiali (ceramica acroma e maiolica arcaica), ai sec. XIV – XV dell’éra volgare. Il settore medievale continua in direzione S/E, sotto e davanti l’attuale cascina

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'