Compendio archeologico della città romana di Veleia (insediamento insediamento urbano)

Lugagnano Val D'Arda, post 158 a.C - ca 499 d.C

L’area archeologica di Veleia oggi conserva una porzione di quello che era l’insediamento urbano del municipium di età romana. La necessità di adattare l’abitato alle caratteristiche topografiche del luogo ha comportato un’organizzazione non rigidamente scandita da assi ortogonali, quanto una distribuzione su piani terrazzati artificiali. Sul terrazzo principale è posto il complesso forense, un ampio spazio rettangolare orientato in senso circa nord-sud (51x75 m ca), che occupa un ripiano ottenuto grazie ad un massiccio sbancamento ben leggibile nel repentino cambio di quota verso oriente, dove si trova la scalinata che consentiva accesso da est. Ben conservato è il lastricato di pavimentazione del foro, in pietra arenaria locale, a quattro spioventi, delimitato da una canaletta a cielo aperto, dotata di pozzetti di decantazione ai quattro angoli. La canaletta è posta in opera con una leggera inclinazione verso l’angolo nord-ovest, per agevolare lo scorrimento delle acque meteoriche verso un condotto sotterraneo, che le convoglia verso valle. Il lastricato è attraversato da ovest verso est da un’iscrizione in lettere di bronzo alloggiate in appositi incavi nelle pietre, posta in ricordo dell’opera di evergetismo di L. Lucilio Prisco (CIL XI, 1184), che ha fatto pavimentare la piazza. Dell’iscrizione sono originali le impronte delle lettere e i punti diacritici, sono invece di restauro le lettere, realizzate per preservare l’iscrizione stessa dal degrado causato dagli agenti atmosferici. Lungo il lato orientale, una diversa disposizione delle lastre pavimentali testimonia un ampliamento del foro verso est pari a circa 118 cm, portando il lato brave dagli originali 16.07 agli attuali 17.25 m. L’area del foro accoglie i resti di monumenti onorari tra cui due basi, l’una presso il lato meridionale, l’altra presso quello settentrionale a forma di parallelepipedo, con orientamento circa nord-sud. La loro collocazione rispecchia l’asse mediano della piazza precedentemente all’ampliamento e si suppone ospitassero statue equestri. La base a sud reca una dedica all’imperatore Claudio databile al 42 d. C. (CIL XI, 1169), quella a nord all’imperatore Vespasiano, databile al 71 d. C. (CIL XI, 1171). Una terza base molto simile nella forma e nelle dimensioni alle precedenti è collocata ad est di quella con dedica a Vespasiano, e presenta una disposizione ad essa ortogonale, ma è priva di iscrizioni. Ai due lati della base con dedica a Vespasiano si trovano due basi quadrate di dimensioni inferiori. A nord della base con dedica a Claudio, è presente un cippo in marmo veronese con dedica ad Augusto divinizzato, posto per volontà testamentaria del seviro augustale Cn. Avilio (CIL XI, 1161). Al centro della piazza è presente un basso tribunal, a cui si accede tramite due gradini sul lato nord; dall’area forense proviene anche la stele onoraria di L. Sulpicio Nepote, sul cui verso è raffigurato un gladiatore armato di venabulum e flagellum (CIL XI, 1192). Il foro è circondato sui lati nord, est e ovest da un portico definito sui lati orientale e occidentale da colonne di ordine tuscanico, in laterizio coperto da intonaco, con basi e capitelli in pietra. Le quattro colonne centrali sul lato settentrionale sono in pietra con capitelli compositi (in laterizio le parti di restauro), tale differenza ha fatto interpretare alcune strutture murarie lungo il lato nord del foro come pertinenti a un accesso monumentale alla piazza, sostituito in seguito, dalla scalinata sul lato orientale, realizzata verso la metà del I sec. d. C, secondo quanto sembrano indicare i frammenti ceramici individuati in scavo, occupando un vano che in origine era una taberna. L’anastilosi delle colonne degli edifici prospettanti il foro è stata realizzata nell’ultimo dopoguerra, su progetto dell’arch. P. Berzolla. I bracci est e ovest del portico conservano altri monumenti tra cui, circa a metà della lunghezza, due mense, in marmo, sostenute da trapezofori a zampa e protome leonina, corredate di sedili in marmo veronese. Il braccio orientale del portico conserva due basi iscritte: una posta a sud della mensa, difronte alla scala di accesso, con dedica a Furia Sabina Tranquillina (CIL XI, 1178 a), su cui è stata aggiunta, sulla faccia opposta, una dedica all’imperatore Marco Aurelio Probo (CIL XI, 1178 b); l’altra a nord della mensa, con iscrizione dedicatoria a Lucio Domizio Aureliano (CIL XI, 1180). Dallo stesso braccio orientale proviene anche la testa di una statua in bronzo dorato, il c. d. Adriano, oggi identificato come l’imperatore Antonino Pio (Conversi 2015). Lungo il lato si sviluppa una serie di tabernae costituite da un unico vano aperto verso il portico. Negli ambienti retrostanti il portico occidentale, ai piedi di un ambiente affrescato, è venuta in luce l’iscrizione che ricorda il dono del calcidico da parte di Baebia Basilla (CIL XI, 1189), nella stessa area è stata trovata anche una testa di fanciulla in bronzo (fine I sec. a.C.), interpretata come il ritratto della matrona. Presso il muro della basilica nel porticato occidentale, sono state rinvenute due importanti iscrizioni su tavola bronzea: la c. d. “Tabula Alimentaria” (CIL XI, 1147), recante incisa l’istituzione degli Alimenta da parte dell’imperatore Traiano per il territorio veleiate e un ampio frammento della lex Rubria de Gallia Cisalpina (CIL XI, 1146). Non distante dalla mensa dello stesso lato è emersa la statuetta di Ercole Bibax. Dagli ambienti a nord del portico, probabilmente a destinazione pubblica, proviene infine un brano di pittura murale, raffigurante un giardino chiuso da graticci (inizi I sec. d.C.). Sul lato sud della piazza è presente la basilica, un edificio orientato in senso circa est-ovest, a pianta rettangolare, a navata unica, con esedre rettangolari poste ai lati, distinte da due colonne, di cui sopravvivono le basi e i capitelli, mentre la parte in laterizio è di anastilosi. Alla basilica si accede tramite due ingressi, posti sotto ai portici laterali, la presenza di un pavimento a mosaico è indicata dal sottofondo in cocciopesto e dal rinvenimento di numerose tessere sparse durante gli scavi. Lungo la parete meridionale della basilica era addossato un podio in muratura, su cui erano collocate dodici statue imperiali in marmo lunense, di dimensioni di poco inferiori al vero, oggi collocate al Museo Archeologico Nazionale di Parma, nelle sale che accolgono i rinvenimenti degli scavi settecenteschi e ottocenteschi provenienti da Veleia. Lungo la parete sud è visibile uno spesso strato di cocciopesto posto in opera tra la parte e stessa e il muro di contenimento della terrazza superiore, come isolante dall’umidità. I resti di due iscrizioni ridotte a una, tramite un intervento di restauro, attribuiscono la costruzione della basilica al magistrato locale L. Sabino (CIL XI, 1185-1187). Il lato nord del complesso forense è delimitato da una via porticata, che lo separa dalla terrazza inferiore, dove sono stati rinvenuti i resti di strutture, interpretate come pertinenti ad edifici pubblici. Lungo il lato est è un asse viario che definisce un percorso ortogonale alle due vie porticate, quella a nord, e quella che costeggia il lato sud della basilica, lungo il margine della terrazza meridionale. Il quartiere residenziale orientale presenta strutture in cattivo stato di conservazione disposte secondo un orientamento coerente agli assi viari principali, mentre con orientamento obliquo è la domus posta nell’angolo nord-orientale, a cui è anteposto un portico che probabilmente fungeva da cerniera di collegamento tra i due differenti piani terrazzati. Il quartiere residenziale meridionale conserva resti di domus, non sempre ben distinguibili nella sistemazione attuale. Tra queste è meglio leggibile la domus c.d. del cinghiale, dall’emblema centrale del pavimento mosaicato del tablinum, oggi perduto. La pianta della domus, come anche quella della domus presso l’angolo nord-est, si articola intorno ad un atrium centrale. Dal portico lungo la via si accede alla domus tramite un ampio corridoio, che grazie a quattro gradoni consente l’accesso al cortile porticato posto ad un livello più elevato, ai quattro angoli del quale si trovano i cubicula. In asse con l’ingresso è collocato il tablinum. Gli altri ambienti posti lungo la via porticata sono interpretati come tabernae, e in particolare quello all’estremità occidentale è stato restaurato come thermopolium. A ovest del quartiere meridionale si trova l’edificio termale di cui sono attualmente visibili due vani absidati interpretabili come calidarium, con abside rettangolare, e tepidarium, con abside semicircolare, entrambi dotati di suspensurae. A nord del tepidarium, è presente la vasca del frigidarium rivestita in marmo e dotata di un basso sedile sul lato ovest, il perimetro dell’ambiente che la ospita è a stento leggibile sul lato nord. I tre ambienti costituiscono solo una parte di quello che era un complesso ben più articolato, dotato di altri ambienti riscaldati immediatamente a ovest di quelli già descritti, e di un ampio cortile porticato più a nord, esteso sotto all’attuale antiquarium. Nell’area a sud-est della chiesa di S. Antonino si trova un edificio a pianta circolare, scoperto durante gli scavi del 1763, e un complesso di ambienti, oggi scarsamente leggibile, che fu interpretato come edificio termale. Il fabbricato a pianta circolare è stato interpretato all’epoca del rinvenimento come castellum aquae, ma venne in seguito restaurato con pianta ellittica, seguendo l’aspetto che esso presentava nel 1779 alla ripresa delle indagini, quando fu letto come anfiteatro. A nord-est dell’abitato sono stati individuati nel 1876 i resti di una necropoli a cremazione con deposizione di urne all’interno di cassette litiche, databili alla seconda età del ferro e testimonianti della presenza di un insediamento ligure precedente alla fondazione della colonia romana

  • OGGETTO insediamento insediamento urbano
  • MISURE Circonferenza fianchi: 131'807 mq
    Lunghezza: 460 mq
    Larghezza: 387 mq
  • AMBITO CULTURALE Età Romana
  • LOCALIZZAZIONE Lugagnano Val D'Arda (PC) - Emilia-Romagna , ITALIA
  • INDIRIZZO Frazione Velleia, Lugagnano Val D'Arda (PC)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia (III, 7 e III, 20), descrivendo la Regio IX Liguria nomina per ultimi, verso oriente, i Ligures Veleiates e nel descrivere la Regio VIII Aemilia pone i Ligures Veleiates tra gli ultimi popoli dell'Emilia verso occidente. Plinio il Vecchio colloca “l’oppidum Veleiatium” “citra Placentiam in collibus” (Hist. Nat, III, 47 e 116; VII, 163). Dei Ligures Veleiates fa menzione anche Livio a proposito delle guerre contro i Liguri e la celebrazione dei trionfi degli anni 197, 166 e 158 a. C (Ab urbe cond. XXXII, 29, 31). Flegonte di Tralles (Sui Longevi, FGrHist 257 F 37, I-II) nomina la città nel censimento Flavio. I Romani, sconfitte le popolazioni galliche che occupavano la pianura padana, non tardarono a scontrarsi duramente con tali genti. Dai Fasti Consolari, sappiamo che nel 158 a.C. il proconsole M. Fulvio Nobiliore, trionfando sui Ligures Eleates (Veleiates), poneva fine alle guerre dei Liguri contro Roma. La citta di Veleia fu fondata nel cuore del territorio della tribù dei Veleiates, dopo la metà del II sec. a.C., sul luogo di un preesistente centro indigeno, di cui sono testimonianza le tombe scoperte a nord-est del Foro. Divenuta municipio poco dopo la metà del I sec. a.C. e ottenuta la cittadinanza con l'iscrizione alla tribù Galeria di Genova, Luni e Pisa, Veleia divenne il capoluogo di un vasto territorio montano esteso dalla Valle del Taro a quelle del Trebbia e del Luretta. Sotto Augusto si ebbe nel 15 a.C. un'insurrezione dei Ligures Veleiates, soffocata dai Romani che li rimisero sotto prefettura per un certo periodo. Domate le ultime resistenze delle popolazioni indigene, la città visse, nella prima età imperiale, una straordinaria fase di sviluppo edilizio e monumentale, in cui si moltiplicarono i segni e i simboli dell'omaggio all'autorità centrale. Il particolare legame che la legò alla famiglia giulio-claudia è illustrato dall'erezione del ciclo statuario nella basilica e dal patronato di Lucio Calpurnio Pisone. La concessione dell’istituzione degli Alimenta di Traiano comprova l'attenzione che Roma dedicava a questo comparto montano. Il documento epigrafico più recente trovato a Veleia è del 276 d. C., anche se l'esame delle monete tardoimperiali trovate nel sito ne accertano la sopravvivenza almeno fino al V secolo d.C. Pur non escludendo il concorso di fenomeni naturali, quali movimenti franosi, la fine della città è da inquadrarsi nell'ambito dello spopolamento dell'Italia, devastata dalle guerre e travolta dal crollo dell'Impero romano di Occidente (Miari 2004, pp. 128-130). Sul sito dell’antica Veleia sorse la pieve di S. Antonino, la cui esistenza è attestata in documenti risalenti al IX secolo. L’identificazione del sito risale al rinvenimento nel 1747, durante l’esecuzione di lavori agricoli, di frammenti della Tabula Alimentaria, venduti dal parroco don G. Rapaccioli a diverse fonderie e salvati grazie all’intervento di due canonici piacentini i conti G. Roncovieri e A. Costa. Costa estromise il collega arrogandosi ogni merito e si propose come unico interlocutore per gli studiosi interessati all’iscrizione, come S. Maffei e L. A. Muratori, e per i possibili acquirenti, come la corte pontificia e il regno di Sardegna. La tavola fu acquisita dal Ducato di Parma per opera del ministro G. Du Tillot e presentata a Filippo I di Borbone nel 1760. In quello stesso anno il duca iniziò l’esplorazione nel luogo del rinvenimento, affidando la direzione dei lavori a Costa. Le scarse capacità di Costa non sfuggirono a Du Tillot, che lo costrinse a rivolgersi a diversi studiosi tra cui il Conte di Caylus e P. M. Paciaudi, direttore della Regia Biblioteca. I risultati meno eclatanti delle esplorazioni del 1763- 1764 indussero Du Tillot a spingere Costa alle dimissioni e a sostituirlo con Paciaudi e nel 1765 il successore di Filippo, Ferdinando, sospese gli scavi. I lavori nei cinquant’anni successivi furono condotti con campagne sporadiche: 1776, 1777, 1778-1781 e in epoca napoleonica. Una difficile ripresa delle indagini si ebbe nel 1816, quando la direzione fu affidata al capitano P. Casapini. Nel 1825 subentrò nella direzione M. Lopez, che ne intraprese un restauro e nel 1842 fece demolire la canonica per proseguire le indagini al di sotto. Gli scavi furono sospesi alla morte di Maria Luigia d’Austria nel 1847. Nuovi restauri furono intrapresi nel 1869 da L. Pigorini, a cui successe G. Mariotti, che scoprì, a nord-est dell’abitato, la necropoli a cremazione attribuita a genti liguri. Dal 1837 fu direttore G. Monaco, che proseguì gli scavi e i restauri, seguito da S. Aurigemma, che pubblicò nel 1940 la prima guida alla zona archeologica. Nel dopoguerra gli scavi furono ripresi da A. Frova e M. Marini Calvani, che indagarono soprattutto presso l’area forense. Tra il 2007 e il 2008 è stata nuovamente indagata sotto la direzione di M. Miari una domus del quartiere nord-orientale con portico antistante
  • TIPOLOGIA SCHEDA Siti archeologici
  • INTERPRETAZIONE L’area archeologica di Veleia conserva l’allestimento urbano del complesso forense e dei quartieri ad esso annessi. La comprensione e interpretazione del sito è fortemente condizionata dalle prime indagini condotte con limitata consapevolezza ed esperienza, veri propri sterri volti all’individuazione di oggetti ritenuti di pregio e strutture come romantiche rovine. La mancanza di attenzione verso il dato stratigrafico, fino alle indagini condotte da Frova, ha comportato anche la dispersione dei materiali soprattutto ceramici, che avrebbero potuto fornire indicazioni indispensabili riguardo al percorso dello sviluppo urbanistico. Della città è nota solo la porzione a cui appartiene il foro, non se ne conosce invece l’estensione effettiva, non essendo mai stata individuata la cinta muraria perimetrale. L’insediamento romano è preceduto da un abitato dei Ligures, mai individuato archeologicamente, ma attestato dalle fonti e dalla presenza di una necropoli ad incinerazione. La colonia fondata dai romani divenne municipum probabilmente poco dopo la metà del I sec. a. C. e fu ascritta alla tribù Galeria, con Genova, Luni e Pisa. La principale caratteristica urbanistica dell’insediamento è costituita dalla necessità di applicare soluzioni ad hoc per adattare il costruito alla topografia dell’area, fortemente caratterizzata dalla doppia pendenza da sud verso nord e da est verso ovest. Ne deriva una serie di terrazzamenti artificiali che delimitano settori a limitata cliviometria, su cui si distribuiscono i principali edifici ad iniziare dall’area forense, generatrice degli assetti urbani. Sono le dimensioni delle aree terrazzate a condizionare le dimensioni e la forma degli spazi sia pubblici sia privati e l’esigenza di connettere i diversi livelli a generare la struttura delle vie (spesso porticate). Gli assi stradali sono organizzati secondo tratti rettilinei paralleli o ortogonali tra loro uniti a est dell’area forense da tratti obliqui utili a incernierare il passaggio di aree a pendenza sud-nord con aree a pendenza est-ovest. Marini Calvani tramite indagini stratigrafiche condotte presso gli ambienti nell’angolo nord-ovest del foro (oggi protetti da tettoie) ha individuato, due fasi edilizie di età repubblicana, a cui se ne aggiunge una terza, già probabilmente di età augustea. La monumentalizzazione dell’area forense segna la quarta e più grandiosa fase edilizia, databile alla prima età imperiale, finanziata da cittadini facoltosi, di cui le iscrizioni ci riportano i nomi: C. … Sabinus, pontefice, duoviro e patronus fa erigere la basilica (CIL 1185-1187), L. Lucilius Priscus provvede alla pavimentazione del foro (CIL XI, 1184) e la matrona Baebia Basilla dona il chalcidicum (CIL XI, 1189). La piazza conobbe almeno due fasi distinte: la pavimentazione dovuta a L. Lucilius Priscus e un ulteriore ampliamento di circa quattro piedi romani verso est, successivo di soli pochi anni. Il motivo per cui si è avvertita l’esigenza di tale intervento è problematica: da un lato sembrerebbe un ripensamento in fase esecutiva, poiché la canaletta di scolo che circonda la piazza coincide con il perimetro maggiore, dall’altro la lunghezza dell’iscrizione che lo attraversa, adatta al perimetro minore, induce a presumere che esso fosse già completato prima della sua realizzazione. Durante il I sec. d.C. il municipium vide una nuova fase di monumentalizzazione dell’area forense, con arredi che, secondo De Maria, qualificano lo spazio pubblico forense di Veleia essenzialmente in senso onorario anche in virtù dell'associazione originaria con le diverse e perdute statue iconiche. A Veleia negli intercolunni del portico orientale sorsero, nel III secolo, statue onorarie per imperatori e imperatrici, che compongono una sorta di percorso periferico rispetto alla piazza, caratterizzato appunto dai segni della celebrazione Imperiale. Promotori dell'iniziativa furono i decurioni veleiati, conferma che alla metà del III secolo d.C. (ma in base ad altri ritrovamenti archeologici almeno fino al IV), Veleia mantenne un ordo decurionum e intensi rapporti con la corte imperiale. Sul lato sud del foro si trova la basilica a navata unica con absidi laterali distinte dall’aula centrale da colonne con capitello in travertino, posta su un piano rialzato confronto alla piazza antistante. Nei pressi della basilica il calcidico è un monumento di cui appare incerta la natura stessa. Il termine greco solitamente si riferisce ad ambulacri, afferenti all’area forense, ma distinti dai portici laterali. La localizzazione del rinvenimento dell’iscrizione dedicatoria di Baebia Basilla ha indotto Antolini a interpretare come calcidici le due absidi quadrangolari della basilica, mentre Marini Calvani ne ha proposto l’identificazione con il portico che circonda il foro. Lanzi suggerisce di leggere come calcidico una sequenza di quattro ambienti posti alle spalle del braccio ovest del porticato forense, allineati da sud verso nord, a partire dal muro sud dell’abside occidentale della basilica. Una sequenza di ambienti interconnessi, adiacenti alla piazza si presterebbe bene a fornire spazi coperti di servizio, utili a consentire in condizioni avverse lo svolgimento delle attività abitualmente condotte nella piazza. Diversa interpretazione ha trovato tra gli studiosi la presenza delle quattro colonne con capitello composito poste sul lato settentrionale del foro. Antolini e poi Aurigemma hanno ritenuto che sul lato nord del foro fosse presente un tempio tetrastilo in antis, secondo un’ipotesi oggi ritenuta superata dai più, soprattutto in seguito alle indagini condotte da Frova. Gli scavi hanno consentito di mettere in luce diverse strutture murarie e piani pavimentali riferibili ad un edificio dotato di un ambiente con ipocaustum e suspesurae, difficilmente riferibili ad un tempio. La lettura sostenuta da Marini Calvani è che le colonne siano riferibili ad un accesso monumentale al foro, realizzato nella seconda metà del I sec. d. C. (V fase edilizia), in sostituzione del precedente accesso che si trovava al limite del lato nord del colonnato. Questa interpretazione pone interrogativi riguardo alla possibile collocazione di un capitolium a Veleia. Ortalli propone di individuare l’area destinata ad ospitare il capitolium nella terrazza posta a nord di quella forense. Le strutture poste su questa terrazza vengono descritte da Antolini come compromesse a causa di una accentuata pendenza verso valle, ma tali da consentire comunque l’individuazione di un portico a oriente, allineato con il portico est del foro e di uno lungo il margine settentrionale della terrazza. E’ lo stesso Antolini a riferire che i portici sorgono su una sorta di ”crepidine”, ma propone di leggere l’edificio come Curia o Comizio. L’area, che sembra costituire un ideale prolungamento del foro, probabilmente si presentava circondata da portici su tre lati (il lato occidentale è andato perduto, come del resto lo è l’angolo nord-occidentale della terrazza su cui si trova il foro stesso) con al cento del lato nord una piccola struttura di forma quadrangolare, allineata con il propileo tetrastilo. Lanza propone come confronti per una strutturazione similare del binomio foro-capitolium, le situazioni di Augusta Bagiennorum (Benevagienna), Virunum (Zollfeld), Lugdunum (Lyon), Noviodunum (Nyon) e Augusta Raurica (August), oltre a Luni, dove però manca il pendant della basilica. Le tabernae lungo il lato orientale del foro si propongono come una sequenza di ambienti unici aperti sul porticato, mentre più articolata è la disposizione lungo il lato occidentale, dove oltre al presunto calcidico, le indagini Frova- Marini Calvani hanno messo in luce strutture murarie e piani pavimentali pertinenti alle diverse fasi edilizie. Gli edifici prospettanti all’angolo nord-occidentale della piazza pur essendo stati indagati con criteri stratigrafici che hanno consentito di coglierne l’evoluzione e la trasformazione nel tempo restano di difficile interpretazione. Tra le domus presenti nei quartieri abitativi conserva una planimetria più immediatamente leggibile quella detta del cinghiale, mentre l’articolazione di almeno un’altra abitazione del quartiere meridionale risulta meno riconoscibile anche a causa di alcune scelte operate in fase di restauro. Unica a essere completamente indagata con sistematicità in tempi recenti è la domus posta a nord-est del foro di cui è stata rimessa in luce la planimetria, comprese almeno due tabernae che fiancheggiano il corridoio di accesso all’atrium centrale. A causa dei restauri e della disposizione degli spazi dell’area archeologica appare limitata anche la restituzione e la fruizione per il visitatore dell’impianto termale di cui poco si colgono l’articolazione e la complessità originari. Parimenti avviene per il castellum aquae, sito in una porzione dell’area separata, posta a sud della canonica, e che si presenta con la forma ellittica dovuta al restauro, anziché con quella circolare originaria. L’interpretazione di questa discussa struttura è stata ripresa da Borlenghi che ha proposto confronti con strutture per spettacoli di forma paragonabile
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800649083
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Parma e Piacenza
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Parma e Piacenza
  • DATA DI COMPILAZIONE 2017
  • DOCUMENTAZIONE ALLEGATA tavola (1)
    tavola (2)
    tavola (3)
    tavola (4)
    tavola (5)
  • DOCUMENTAZIONE GRAFICA disegno tecnico (1)
    disegno tecnico (2)
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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