insegna,
Entro uno scudo con episema inciso, a forma di testa di cavallo, è rappresentato un cane passante a basso rilievo
- OGGETTO insegna
- AMBITO CULTURALE Bottega Siciliana
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Regionale della Sicilia
- LOCALIZZAZIONE Palazzo Abatellis
- INDIRIZZO via Alloro 4, Palermo (PA)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L'identificazione dello stemma gentilizio presente sullo scudo marmoreo, dalle contenute dimensioni, ed oggi conservato alla Galleria Regionale della Sicilia ne restituisce l'appartenenza alla famiglia Bracco, originaria di Lodi, che si stanziò dapprima a Pisa e poi a Palermo. Le antiche fonti bibliografiche attestano la presenza della famiglia a Palermo già sul finire del quattrocento, il Di Giovanni nel suo "Palermo Restaurato" oltre a dare il luogo della residenza di un Giorgio Bracco, cavaliere e milite ricchissimo, e cioè vicino al monastero di Montevergini, ne racconta un tragico episodio accaduto al suo tempo: la casa dei Bracco che minacciava vetustà crollò durante un ricevimento e vi morirono molte persone. Il Villabianca invece riporta in una nota della sua "Sicilia Nobile" che un Giorgio Bracco, regio milite e cavaliere ricchissimo, facendo testamento disse di voler essere sepolto nel cappellone della chiesa di S. Agostino e aggiunge poi che la lapide del sarcofago, già al suo tempo, non esisteva più, ma che in quella cappella rimanevano evidenti soltanto la loro arme raffigurata in diversi punti come anche nei basamenti dei candelabri in rame. Stessa notizia per quanto riguarda il luogo di sepoltura annota Gaspare Palermo nella sua "Guida" e aggiunge che la famiglia Bracco aveva lo jus patronato della cappella che poi passo ai marchesi Gerarci di Ventimiglia. La chiesa ed il convento di S. Agostino, sorti intorno al XIII sec. - grazie anche alle donazioni delle famiglie Sclafani e Chiaramonte, i cui stemmi sono posti ai lati del portale della facciata principale - furono uno fra i primi grandi complessi conventuali palermitani del medioevo. Il convento e il suo chiostro, furono rimaneggiati nei secoli e l'attuale sistemazione del chiostro riecheggia un'impostazione tardo rinascimentale. Anche la chiesa, ad unica navata, nel tempo è stata trasformata più volte: note le trasformazioni ed i restauri del presbiterio del 1671, avvenute dopo l'incendio del 1670, e successivamente le decorazioni realizzate da Giacomo Serpotta dal 1711 al 1721 delle cappelle in stucco e delle statue di santi e di figure allegoriche per adornare le pareti. Interessanti si rivelano i lavori di restauro avvenuti per rimediare ai danni dell'incendio, infatti il priore del tempo, don Agostino Trabucco, in questa occasione ritrovò in una cappella, poi denominata Maida e dedicata alla Madonna del Soccorso, a fianco dell'abside, con la via d'accesso murata da un muro cinquecentesco e con all'interno degli antichi sarcofaghi. Il prelato valutando il valore artistico, sia delle opere che della cappella la riaprì e ve ne restituì il culto. Fra tutti i sarcofaghi, che rimasero lì fino al 1867, vi era anche quello di Giorgio Bracco, realizzato dagli scultori Giuliano Mancino e Bartolomeo Berrettaro del quale si conosce il contratto di commissione (Archivio di Stato di Palermo Notai defunti - Not. Fallera Reg.n.1764, ff. 1042r. 1043v.). Purtroppo con la soppressione degli ordini religiosi del 1866, la cappella Maida, svuotata delle sue opere e murata la porta di comunicazione con la chiesa, fu venduta a privati ed adibita a negozio. I sarcofagi lì conservati e di cui si conosceva l'identità probabilmente finirono ai legittimi eredi, altri furono dispersi, quello di Nicolò Maida il più antico, ascrivibile alla tarda romanità, fu trasportato al Museo Nazionale e quello di Giorgio Bracco fu trasportato nel vano d'ingresso della chiesa dove rimase fino al 1955, data della successiva collocazione nel vicino chiostro. In realtà del sarcofago di Giorgio Bracco rimane solo il coperchio infatti la cassa non corrisponde alla descrizione di quella commissionata dal committente, e certamente di realizzazione molto più tarda, ascrivibile al sei-settecento, basta attenzionarne il rivestimento dei marmi policromi. Dall'atto di commissione del sarcofago, invece apprendiamo che la cassa doveva essere con tre figure allegoriche, le tre virtù teologali, ed il coperchio con tre figure ad altorilievo, oggi mutilo della terza figura, posta sulla sommità del coperchio e raffigurante Dio Padre. Completava il contratto, oltre alla commissione del sarcofago anche la realizzazione dei marmi per l'altare e la decorazione della cappella e anche la realizzazione di "due porte di marmo" che servivano ad accedere una alla sacrestia e l'altra al dormitorio, con cornici ed architravi e due genietti per reggere lo stemma dei Bracco. Attualmente nell'abside della chiesa non vi sono più elementi cinquecenteschi, ad eccezione di una lapide, consunta e illeggibile posta su una sepoltura ipogea, ed di un pannello di antiche maioliche attaccato nel retro dell'altare. Nessuna traccia delle porte di accesso al dormitorio e alla sacrestia, citate nell'atto di commissione, oggi lì intorno vi è collocato uno splendido coro ligneo settecentesco. L'opera commissionata dal Bracco ai due scultori oggi è del tutto perduta e non si possono individuare elementi nella chiesa di Sant'Agostino. Incerte sono le notizie sulla collocazione originaria dello stesso sarcofago all'interno della chiesa, il Mongitore e il Villabianca e l'Herrera propendono per la collocazione nel cappellone dell'altare maggiore invece il Rosso lo colloca "nella propria cappella", e cioè quella che erediteranno i Ventimiglia, dunque la cappella nota come Maida o come della Madonna del Soccorso e dopo della Madonna del Rosario. Non si hanno notizie del passaggio del sarcofago Maida al Museo Nazionale di Palermo e non si sa se con esso vi giunsero anche altri elementi architettonici e decorativi della dismessa cappella, a quel tempo nota come la cappella della Madonna del Rosario. Forse il piccolo stemma catalogato, in marmo bianchissimo ed in buono stato di conservazione e che non presenta alterazioni causate da agenti esterni, come muffe e licheni, giunse al vecchio museo in questa occasione, e se così fosse forse potrebbe provenire da una delle porte in marmo commissionate agli scultori Mancino e Berrettaro. In effetti la fattura dell'opera può definirsi ottima e lascia presupporre che l'autore fosse uno scultore attento, e considerata la committenza e la documentazione si può ricondurre certamente alla bottega dei Mancino e Berrettaro che si avvalevano di validissimi aiuti
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1900322635
- NUMERO D'INVENTARIO 8070
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo
- DATA DI COMPILAZIONE 2007
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2023
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0