archibugio - produzione tedesca (ultimo quarto XVIII sec)

archibugio, ca 1790 - ca 1790

Arma da fuoco portatile. Canna quadra, brunita a strisce ad imitazione dell’acciaio damascato. Traguardo in ferro avvitato sulla canna e tacca di mira sottile in ottone dorato

  • OGGETTO archibugio
  • MATERIA E TECNICA LEGNO DI NOCE
    Ottone
    FERRO
    ACCIAIO
    CORNO
  • AMBITO CULTURALE Produzione Tedesca
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Musei del Bargello - Museo Nazionale del Bargello
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo del Bargello
  • INDIRIZZO via del Proconsolo. 4, Firenze (FI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Gli archibusi a vento funzionavano grazie a differenti sistemi di compressione dell’aria. Questi furono sviluppati intorno alla metà del XVII secolo sulla scia degli studi di fisica sperimentale in voga in quegli anni, che incentrarono molte sperimentazioni proprio sull'archibuso a vento. A titolo di esempio si veda il quarto tomo dell'abate Nollet "Lezioni di fisica sperimentale" (dato alle stampe nel 1759), dove a pagina 325 si parla delle sperimentazioni sulla forza dell’aria effettuate con archibusi a vento. Nel XVIII secolo questa tipologia d'arma era già entrata nella storia della tecnologia (si veda "Memorie per la storia delle scienze, e buone arti", la cui prima edizione fu stampata nel 1701, in cui a partire dalla pagina 233 si parla delle macchine pneumatiche, tra cui l'archibuso a vento). Non è noto l’inventore di questo sistema. Il Lazzari ne affidava la paternità a Vincenzo Vincenzi (A. LAZZARI, !Dizionario storico degl'illustri professori delle belle arti, e de' valenti meccanici d'Urbino", Fermo 1796, pp. 28, 53). Il "Dizionario delle invenzioni, origini e scoperte relative ad arti, scienze, geografia, storia, agricoltura, commercio" (edizione italiana stampata a Livorno nel 1850 compilato da Noel, Carpantier, Puissant) chiarisce che «Questa macchina, che serve a mandare delle palle con una grande violenza non impiegando che la forza dell’aria, non fu inventata, come taluni credevano, da operai olandesi sotto il regno di Luigi XIII. David Rivaut da Firenze, maestro di matematiche di quel principe, dà ne' suoi "Elementi di Artiglieria", la forma e la costruzione di un archibugio a vento, inventato molto innanzi da un certo Marion, borghese di Lisieux, e presentato al re Enrico IV». In effetti l'esemplare più antico noto può essere datato agli inizi del XVII secolo, grazie alle sperimentazioni dell’armaiolo francese Marin Bourgeois, pittore alla corte di Enrico IV ma più noto per le sue invenzioni nel campo delle armi da fuoco, realizzate con il meccanismo descritto negli "Elementi di artiglieria" di David Rivault Flurance (volume pubblicato nel 1608). Dell’archibuso di Marin ci è rimasto solo il disegno del progetto. Gli esemplari più antichi, che avevano il serbatoio dell'aria di forma sferica avvitato sopra o, più comunemente, sotto la canna, sono conservati al Tøjhusmuseum, prodotti intorno al 1644 da Hans Köhler. Ciò fu possibile a seguito dei progressi scientifici nel campo delle sperimentazioni dell'aria compressa raggiunti dalla scuola di Otto von Guerinke. Egli inventò un pistone dalla tenuta ermetica privo di imperfezioni, usato in un progetto pubblicato negli anni Trenta del XVII secolo dal matematico Athanasius Kirchner di Würzburg. Il Köhler aveva bottega a Kitzingen, a 24 km da Würzburg, e qui venne a conoscenza del progetto del matematico, realizzando dei prototipi. Presto Würzburg divenne rinomato luogo di produzione di archibusi a vento, molti dei quali andarono a finire nelle collezioni ducali e quindi dal 1805 entrarono a far parte della collezione di Ferdinando III. Rispetto alle armi da fuoco con innesco a polvere, la potenza dei colpi era inferiore, però lo sparo del proiettile non sviluppava rumore né fumo e, soprattutto, i pericoli di scoppio erano notevolmente minori. Per questo motivo furono spesso forniti in dotazione a truppe scelte soprattutto austriache, come gli jäger che nel 1779 adottarono una carabina a vento con caricatore separato, progettata dall’armaiolo Bartolomeo Girardoni. In misura minore, gli archibusi a vento furono usati anche da alcune truppe dell’esercito britannico. Questa tipologia di armi, che permetteva ai tiratori di rimanere occultati, fu considerata particolarmente adatta per gli assassinii: per uccidere Oliver Cromwell a Utrecht, infatti, i congiurati pensarono di usare un archibuso a vento con meccanismo a valvola che permetteva di sparare fino a 7 colpi, ma durante alcune prove il serbatoio esplose convincendo i congiurati a rinunciare all'attentato. Lo scopo di queste armi venne quindi confinato alla caccia e al tiro sportivo: ad esempio, il langravio d'Assia Ludovico VIII (1691-1768) le adoperò per la caccia al cervo; gli uomini della celebre spedizione di Lewis e Clark del 1804-1806, erano armati di carabine a vento di moderna generazione. Tuttavia, la minore potenza rispetto ai modelli a polvere e i perfezionamenti avvenuti nei meccanismi d'accensione resero obsoleti gli archibusi a vento, il cui uso fu relegato principalmente al tiro sportivo e, in minor misura, alla caccia di piccoli volatili. In Museo è conservato il gemello AM 96 ed il presente archibuso è il numero 1 della coppia. Si tratta di un un modello sportivo prodotto in Austria o in Germania meridionale. La peculiarità è quella di possedere un doppio sistema per l’incameramento dell’aria: una valvola laterale nel calcio e una sopra che consentiva l’aggiunta di una seconda camera d’aria asportabile. Il caricamento avveniva sbloccando la culatta dall’incassatura tramite il grilletto posto davanti al ponticello. La scritta N. 267 sul calciolo indica il numero d’inventario nel gabinetto di caccia di Ferdinando III. Quasi certamente l’arma arrivò a Firenze per volontà di Ferdinando III, che ne entrò in possesso a Salisburgo o a Würzburg. Trascrizione dall’Inventario 1878: «Archibuso da frecce con canna damaschina quadrellata e brunita violetto, mira a macchina. Incassatura intera di noce tirata a pulimento con intagli e guarnita di ottone. Questo fucile si carica per mezzo di una chiave. Lung. della canna m 0,73, lung. totale m 1,00». La scheda menziona anche il numero 141 di un inventario precedente a quello del 1878, di cui non si ha riscontro
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0901142990
  • NUMERO D'INVENTARIO AM 95
  • DATA DI COMPILAZIONE 2020
  • ISCRIZIONI sul codolo di culatta - 1 - corsivo maiuscolo/ numeri arabi - a bulino -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

ALTRE OPERE DELLO STESSO PERIODO - ca 1790 - ca 1790

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'

ALTRE OPERE DELLO STESSO AMBITO CULTURALE