messa di Papa Eugenio III

dipinto,

Durante la celebrazione della messa, papa Eugenio III, al centro, è illuminato dalla luce divina, nella quale volteggiano due colombe. Lo attorniano vari personaggi, in basso a sinistra, assise per terra, delle donne e dei bambini, e a destra dei prelati.Volteggia sul gruppo centrale, del papa e del prelato che gli sta difronte in piedi un angelo, ed in alto tra le nubi una Santa con degli angioletti

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Tempesti Giovanni Battista (1729/ 1804): esecutore
  • LOCALIZZAZIONE Pisa (PI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La scena raffigura il momento in cui, durante la celebrazione di una messa cui partecipava una rappresentanza di "Vescovi armeni", "il volto del Pontefice" pisano, vissuto nel XII secolo, fu "investito da un ampio raggio di sole" entro il quale volavano due colombe. Il fatto, per l'assenza di aperture da cui potesse filtrare la luce proveniente dall'esterno, fu considerato un segnale miracoloso col quale la "divina e bontà" aveva voluto manifestare all'intero consesso dei prelati "l'eccellenza della Messa, e con quanta riverenza debbano i sacerdoti accostarsi al sacro altare per celebrarla" (SAINATI 1884, pp. 36-37). La commissione del dipinto fu causa d'attrito tra i Priori e i Deputati del Negozio. Questi ultimi difatti avevano proposto di affidare l'incarico a Giambettino Cignaroli, visto l'esplicito apprezzamento che, di fronte al "Ritrovamento della testa di S. Torpè" dipinto per il Duomo (40000785), aveva espresso l'imperatore Giuseppe II, in visita alla città il 14 aprile 1769. Rifiutando di acconsentire alla richiesta avanzata dal pittore veronese, che pretendeva 800 scudi invece dei 550 previsti, i Priori, il 25 novembre dello stesso anno, affidarono l'esecuzione dell'opera a Giovan Battista Tempesti, senza richiedere il parere dei Deputati (come si ricava dai documenti pubblicati da SICCA 1990, pp. 388-394, II.IV- II.VI). Le incertezze perdurarono in relazione all'episodio cui si doveva dare rappresentazione, da scegliere, come fu deciso il 7 settembre 1770, tra le "gloriose gesta del Pontefice Eugenio III [...] concittadino annoverato fra i Beati Pisani". Il dipinto risulta collocato parecchio tempo più tardi, 1'11 agosto 1779 (secondo i documenti citati e la ricostruzione proposta da CIARDI 1990, p.147, nota 98). La "preoccupazione del Tempesti di mostrarsi all'altezza dell'importante incarico" è evidente sin dalla cura con la quale appaiono definiti arredi e vesti, "per i quali è documentato uno studio attento e filologicamente scrupoloso" (CIARDI 1990, p. 132); in una lettera, inviata il 16 settembre 1773 ai Priori, il pittore elencò infatti "le robe d'importante valuta, [...] come velluti pianete e simili arredi sacri", portate "da vari Particolari della città" per "l'oggetto della presente pittura" (trascritta e pubblicata da FROSINI 1981, pp. 164-165). L'opera dimostra quanto il soggiorno triennale del pittore a Roma, dal 1757 al 1760, fosse stato ricco "di suggestioni durevoli" (CIARDI 1990, p.132). Risulta infatti immediatamente percepibile il confronto stabilito con la tradizione classicizzante del seguito marattesco, dall'Odazzi al Lapis. Quest'ultimo soprattutto appare richiamato nei tipi fisici come pure nel gusto per i contrasti squillanti della gamma: si confronti con i "SS. Cornelio papa, Artemia, Januaria" (Roma, Santi Celso e Giuliano) o con "L'annunciazione" (Fossombrone, chiesa dell'Annunziata). Resta invece sostanzialmente estraneo al Tempesti il modo di accostare preziosità della stesura e delicatezza del tono emotivo che si ritrova, come sviluppo di premesse egualmente marattesche, nel Masucci o nel Pozzi, per una scelta certo determinata sulla traccia dell'insegnamento di Placido Costanzi, di cui a Roma frequentò lo studio, e forse favorita dai contatti avuti con Domenico Corvi all' Accademia del Disegno. Del resto, assonanze e inflessioni risalenti all'esempio del pittore di Viterbo si ritrovano, seppure diluite nei modi affabili, persino corrivamente narrativi che gli sono tipici, nella produzione matura del Tempesti. Si confronti il dipinto in Duomo con "La Madonna e i SS. Giuseppe, Caterina d'Alessandria e Nicola di Bari" (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica), si consideri la posa antichizzante della "Santa" dal volto reclinato, l'esperimento di illuminazione a luce artificiale del volto del "Giovane che regge una candela" (Pisa, Palazzo Reale) e si avranno, per così dire, le avvisaglie dell'accostamento deciso del "S. Pietro liberato dal carcere" (Pisa, Cassa di Risparmio) al "Miracolo di S. Ubaldesca" (40001034), inviato a Pisa nel 1787 (come ha sottolineato CIARDI 1990, pp. 136-137). Il modello della composizione è conservato a Pisa, Museo Nazionale di San Matteo; un disegno preparatorio si trova a Firenze, Uffizi (5653 S., pubblicato da TONGIORGI TOMASI, TOSI 1990, pp. 308, 310, fig. 321, 328, nota 37)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900665624
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno
  • ENTE SCHEDATORE Opera Primaziale Pisana
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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