Due lunghe spalliere intarsiate di forma rettangolare, composte ognuna di otto riquadri a sviluppo verticale intervallati da lesene scanalate e rudentate

  • OGGETTO dossale
  • ATTRIBUZIONI Da Seravallino Guido (1465 Ca./ 1525 Ca): esecutore
    Giuliano Di Salvatore (notizie 1472-1490)
    Michele Di Giovanni Detto Lo Spagnolo (notizie Sec. Xv)
  • LOCALIZZAZIONE Museo dell'Opera del Duomo
  • INDIRIZZO Piazza del Duomo, Pisa (PI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Nella sistemazione data al coro maggiore del Duomo da Agostino Giolli all'inizio del Seicento i due dossali occupavano il lato ovest dell'ordine maggiore, ai lati dell'ingresso al coro dalla parte delle navate; quando nel 1949 si decise il discutibile allargamento dell'ingresso, i dossali vennero smontati e riposti nei depositi dell'Opera. Dopo il restauro eseguito da Giancarlo Geri, che ha cercato di ovviare ai molti guasti subiti dagli intarsi, i dossali hanno trovato collocazione, nel 1986, nella sala 15 del Museo. L'ampia documentazione conservata permette di identificare nei dossali i resti del "coro" realizzato nel 1488-1490 per la nuova sacrestia del Duomo, situata nella parte terminale dell'abside (Novello 1986, pp. 129-137). La parte lignea di inquadramento del "coro" venne realizzata nel 1488-1489 da Michele di Giovanni detto lo "Spagnolo", aiutato dai figli Giovanni e Lorenzo. Le singole tarsie da inserire nell'apparato ligneo, venti in tutto, vennero pagate a parte (tra il 1488 e il gennaio 1490) a Guido da Seravallino (che ne eseguì quindici) e a Giuliano di Salvatore (che ne realizzò cinque) (Ibidem, pp. 131-132). Nei registri quattrocenteschi dell'Opera del Duomo si conserva la descrizione sommaria di una delle tarsie eseguite da Giuliano e di otto fra quelle del Seravallino (ibidem,pp. 144-146); sia la tarsia di Giuliano che sette fra quelle di Guido fanno parte di questi dossali. L'ottava tarsia del Seravallino è identificabile in un frammento esposto nel Museo (Cfr. scheda n. 40002016) che porta a diciassette il numero complessivo delle tarsie rimaste; il frammento di una diciottesima è forse riconoscibile in una delle panche dell'attuale coro del Duomo (Cfr. scheda n. 1409). Per quanto riguarda le tarsie la cui descrizione non è conservata, appare difficile distinguere le diverse mani dei due intarsiatori, il cui stile appare quasi sovrapponibile. Tra i due Guido da Seravallino appare sicuramente la personalità più importante, non solo per il maggior numero di tarsie realizzate in questo caso (sei delle quali eseguite quando Giuliano aveva già terminato il suo compito), ma anche per gli sviluppi successivi della sua lunga attività; di Giuliano di Salvatore non conosciamo, invece, né notizie, né opere posteriori a questo lavoro documentato. Il ciclo di tarsie per la sacrestia del Duomo mostra già quelle caratteristiche che contraddistingueranno anche in seguito il Seravallino e in generale gli intarsiatori locali. Lo stile del Seravallino e di Giuliano (esecutori non eccelsi, se confrontati con quanto avevano fatto a Pisa Giuliano da Maiano, i Pontelli, il Lendinara) sembra cercare una propria via tra la tradizione fiorentina, alla quale sembra rifarsi una certa minuzia dell'intarsio, e quella padana, dalla quale sono ripresi gli schemi compositivi e la definizione prospettica dello spazio, anche se si notano sotto quest'ultimo aspetto incoerenze e incomprensioni. Il repertorio dispiegato è quello tipico dei cori intarsiati italiani (Cfr. Ferretti 1982, pp. 561-585), libri, oggetti liturgici, frutti, strumenti musicali, scatole con oggetti preziosi; si nota già, comunque, la particolare attenzione per l'inserimento di elementi naturalistici (animali e piante) che il Seravallino svilupperà anche nelle sue opere successive. Di particolare interesse sono soprattutto le tarsie contenenti "vedute" di luoghi pisani reali, riconoscibili anche sulla base delle descrizioni conservate nei documenti. Si tratta in realtà di "citazioni" di singoli edifici o di luoghi spesso estraniati dal loro reale contesto che, come in molti altri casi presenti nei cori intarsiati quattro-cinquecenteschi, inducono lo spettatore a riflettere sulla plausibilità delle immagini "finte" nel legno, con maestria, dall'intarsiatore. Le tarsie più notevoli a questo riguardo, sono i tre pannelli che compongono complessivamente una "veduta" dell'Arno all'altezza del ponte alla Fortezza (allora detto "alla Spina"). I luoghi rappresentati sono facilmente riconoscibili e confrontabili, in qualche caso, con quanto ne rimane attualmente; l'inquadramento attraverso le tre arcate prospettiche (a tutto sesto e a sesto acuto, costruite secondo tre diversi punti di fuga) fa assumere a quella che potrebbe apparire semplicemente un'immagine ripresa "dal vero" il carattere di una "messa in scena" della realtà urbana, secondo schemi che sono comunque tipici del repertorio di molta della produzione italiana nel campo dell'intarsio (Novello 1986, pp. 136-137). Nonostante questo le tarsie citate si presentano importanti anche quali documenti storici e urbanistici della città di Pisa alla fine del Quattrocento, non ancora del tutto sfruttati dalle ricerche specialistiche
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900665606A-0
  • NUMERO D'INVENTARIO 2014OPAOA00665606_A00
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno
  • DATA DI COMPILAZIONE 1995
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2007
    2014
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

BENI COMPONENTI

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