Martirio di San Bartolomeo

dipinto,

Dipinto su tela tensionata su telaio di restauro e leggermente più grande dell'originale a seguito di un intervento che ha determinato la foderatura; il telaio è dotato di una traversa continua di andamento orizzontale e di due traverse verticali composte da due segmenti. Biette di espansione sia alle congiunzioni dei bracci sia alle connessioni delle traverse. Telaio all'interno di cornice a cassetta non coeva in legno modanato e dorato a foglia. Il Santo è nudo, appena coperto da un drappo bianco ed in precario equilibrio, poggia a terra presso un albero ai cui rami è legato il polso della mano destra, sollevata drammaticamente. Mentre sullo sfondo è in corso un concilio tra quattro teste di figure di cui due sono incappucciate ed una è quella di un soldato, in primo piano due figure di aguzzini posti ai due lati si occupano di legare ulteriormente Bartolomeo al piede ed al braccio sinistro rispettivamente con le stesse corde, prima del martirio per scorticamento. Rispetto alla muta concitazione dimostrata dai due aguzzini con il capo rivolto in basso, domina il risalto della sconvolta espressione dell'Apostolo di Cristo, la bocca aperta in un gemito di terrore e gli occhi aperti alla ricerca di una visione di sollievo

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI De Ribera Jusepe Detto Spagnoletto (cerchia): pittore
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo della Residenza della Cassa dei Risparmi di Forlì
  • INDIRIZZO Corso della Repubblica, 12, Forlì (FC)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera si inserisce nel contesto delle rappresentazioni del martirio dell'Apostolo Bartolomeo prodotte direttamente da Jusepe de Ribera a partire almeno dal 1624 o replicate da figure gravitanti attorno al suo atelier napoletano. In tale novero, il punto di riferimento diretto dell'opera in esame si deve identificare con la tela di dimensioni quasi identiche conservata al Musée de Grenoble (115x180 cm, Inv.: MG 52). Quest'ultimo dipinto era stato acquistato a Parigi nel 1828 da un maggiorente grenobloise, quel Jean-François Calixte, marchese di Saint-Didier, che all’epoca era anche sindaco della città, numismatico, politico di formazione gesuitica nonché cavaliere dell'ordine di Malta e di quello di San Francesco di Napoli. Il modello francese è generalmente ascritto alla bottega del maestro, ma il suo livello qualitativo molto sostenuto (superiore alla versione che si conserva ancora a Napoli, presso la Farmacia degli Incurabili – vedi Sk.OA NCTN 1500405138, cm 130x180) da un canto ha difeso la pur minoritaria ipotesi di autografia (Chiarini 1988) dall’altro ha dato corpo alla convincente alternativa di una commissione che il maestro potesse aver lasciato alla libera conduzione di una personalità eminente della bottega (Donati 2006), con tanto di proposte specifiche, in particolare rivolte a Juan Do, altro valenciano di nascita e satellite di Ribera (Pugliese 1983), portandosi quindi dietro anche l’annoso dibattito sui protagonisti della ripresa naturalistica a Napoli nel quarto decennio del secolo, un corollario critico che si trova tangente anche alla tela della Cassa dei Risparmi di Forlì. Il piccolo gruppo, imperniato sulla bellissima opera di Grenoble (distinto poi da misure identiche, con leggere variazioni di altezza dovute ad estensioni dell’inquadratura, verso il basso nella versione napoletana e verso l’alto - anche per ragioni conservative in quella romagnola – vedi campo STCS) marca una lieve distinzione rispetto alla concezione estetica che al contrario domina il modello oggi a Palazzo Pitti (inv. 1912: Palatina 19; cm. 145x216) accompagnato dalla copia seicentesca dei depositi (inv. 1890: 7677; cm. 152x223 Sk.OA NCTN 0900642381), dacché in quest’ultimo gli aguzzini di Bartolomeo sono autentici sgherri, compiaciuti della propria brutale missione mentre mostrano l’orrido sorriso all’osservatore. Sorda e indifferente è invece l’attitudine dell’uomo baffuto che serra le corde al tallone del Santo, mutuata del resto, non a caso, da un dipinto pervaso piuttosto da un retorico stoicismo come il Martirio di Sant’Andrea di Budapest (1628, Szépművészeti Múzeum, inv. 523). Minime sono poi le differenze tra le due versioni epigone, la nostra e quella di Napoli, evidentemente entrambe seicentesche e dipinte presumibilmente prima della metà del secolo. Laddove più puntuale nella nitidezza della muscolatura dell’addome e della barba del Santo, la nostra tela osserva qualche semplificazione nell’abbigliamento dell’aguzzino di sinistra, che è privo di legacci allo spacco del collo; in misura simile sono più schematiche e nette le pieghe dei panni bianchi sul capo della stessa figura o nel perizoma vicino all’anca dell’Apostolo, ma non si tratta di elementi bastanti a sostenere particolari congetture: tanto quella di Napoli quanto quella di Forlì paiono infatti opere da ricondurre alla cerchia di Ribera (o se si vuole al non ancora identificato maestro riberesco di Grenoble)
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800686813
  • NUMERO D'INVENTARIO MS000489
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • DATA DI COMPILAZIONE 2021
  • ISCRIZIONI sul retro della cornice, in basso a sinistra - CASSA DEI RISPARMI/ di FORLI'/ INV./ N. (a stampa)/ MS000489 (pennarello) - a stampa, a pennarello - italiano
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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