Ritratto di Giovan Carlo Doria a cavallo

dipinto,

Tela di grandi dimensioni, formato rettangolare a sviluppo verticale. Ritratto equestre al naturale con cavallo bianco impennato e cagnolino che, posto tra le zampe dell'animale, ne reitera la posa. Alle spalle del cavaliere è una quercia dipinta in controluce, simbolo di forza; sui rami posa un'aquila, rimando allegorico alla famiglia Doria

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Rubens Pieter Paul (1577/ 1640): pittore
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Gallerie Nazionali di Palazzo Spinola
  • LOCALIZZAZIONE Palazzo Spinola di Pellicceria
  • INDIRIZZO piazza di Pellicceria 1, Genova (GE)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Dirompente, fulgido esempio di ritratto equestre, prototipo per la pittura barocca successiva, l'opera di Pieter Paul Rubens fu resa nota da Roberto Longhi nel 1939, quando era ancora a Napoli presso la famiglia Doria d'Angri, poi venduta all'asta l’anno seguente (Firenze, Casa di vendita Ciardiello, 26 febbraio-1° marzo 1940, lotto 172). La tela giunse nella città partenopea per successione ereditaria: Longhi identificò infatti l'aquila araldica dei Doria, dipinta in controluce nella folta oscurità dell'albero alle spalle del cavaliere. Di proprietà del potente casato ligure, l’opera era rimasta a Genova fino al 1838, anno in cui passò al ramo cadetto, napoletano, della famiglia. Nel corso delle travagliate vicende novecentesche, il dipinto - notificato l’8 novembre 1939 dal Ministero per l’Educazione Nazionale - fu recuperato da Rodolfo Siviero nel secondo dopoguerra in seguito alla cessione su ordine di Benito Mussolini ad Adolf Hitler (venne destinato al Museo di Linz). Rientrata in Italia, la tela fu dapprima collocata a Firenze in Palazzo Vecchio, quindi a Napoli presso il Museo Nazionale di Capodimonte, infine dal 1988, a Genova nelle collezioni di Palazzo Spinola. Eseguito da Rubens durante uno dei suoi soggiorni genovesi - tutti circoscritti al primo decennio del XVI secolo - il ritratto fu commissionato dai Doria in occasione della concessione dell’Ordine di S. Giacomo a Giovan Carlo, accordato soltanto ufficiosamente dal re di Spagna Filippo III nell'estate del 1606 (Parodi 2004, p. 210): sin da quella “prima comunicazione” il patrizio genovese “si sentì legittimato a farsi rappresentare nelle vesti di cavaliere” (Boccardo 2022, p. 108). La presenza del simbolo del cavalierato sul corsaletto - in un primo momento già ricondotto da Longhi al fratello dello stesso patrizio genovese, Giacomo Massimiliano, per via del richiamo onomastico e del ritratto eseguito da Rubens alla moglie Brigida Spinola - è stata correttamente posta in relazione alla figura di Giovan Carlo, figlio del doge Agostino Doria e raffinatissimo collezionista, grande estimatore dell’arte di Procaccini e dello Strozzi, che qualche anno dopo si farà ritrarre da Simon Vouet (Parigi, Musée du Louvre, 1621). Citato sia nell’inventario dei beni di Giovan Carlo (redatto entro il 1617; cfr. Parodi 2004, p. 210), sia in quello del figlio, Agostino Doria junior (1644; cfr. Mulazzani 2002, p. 42), presso il palazzo famigliare già in vico del Gelsomino a Genova (oggi via Chiossone), il dipinto fu ricordato dalla letteratura periegetica cittadina per la prima volta nel 1766, menzionato da Carlo Giuseppe Ratti come “Vandik” (p. 307). “Soluzione genialissima e fondamentale per tutto lo svolgimento del Barocco” (Longhi 1939), nel ritratto equestre del Doria, esemplato sul modello del Carlo V a Mühlberg di Tiziano (Madrid, Museo del Prado) e in combinazione con la celebre incisione di Antonio Tempesta (ritratto Enrico IV di Francia, 1593), Rubens mutò l’impostazione di profilo per una piena, tumultuosa, veduta frontale con effetto di sfondamento. Un nuovo prototipo per la ritrattistica ufficiale “di Stato”, con lo stesso precedente rubensiano del Duca di Lerma (Madrid, Prado, 1603), amplificando maggiormente il dialogo diretto con lo spettatore travolto dalla suggestione del cavallo in movimento. Il dipinto, “allegoria delle virtù del cavaliere” (Paolini 2016, p. 168), è intessuto di rimandi metaforici a partire dall’aquila simbolo del casato genovese, sino al cane in primo piano e alle cicogne in volo riferibili rispettivamente alla lealtà e alla riconoscenza verso la corona asburgica: “Gio. Carlo è baciato dai raggi della monarchia spagnola alla quale ha espresso fedeltà e gratitudine” (Parodi 2004, p. 210) e cavalca con compassata destrezza tenendo le redini alla maniera dell’equitazione spagnola (Simonetti 2017, p. 146)
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0700377321
  • NUMERO D'INVENTARIO SBAS 28405
  • ENTE SCHEDATORE Palazzo Spinola di Pellicceria
  • DATA DI COMPILAZIONE 2022
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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