Madonna con il bambino e san Giovannino. Madonna con il bambino e san Giovannino

dipinto ca 1438 - ca 1438

La tavola raffigura la Vergine seduta su un prato, secondo il tipo iconografico della Madonna dell’umiltà; è ripresa di tre quarti, mentre sostiene con entrambe le mani il bambino Gesù che, seduto sulle sue ginocchia, si rivolge benedicente verso un san Giovanni Battista fanciullo, inginocchiato alla sua destra, nudo e a mani giunte

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a tempera
  • ATTRIBUZIONI Lorenzo Da Venezia (notizie 1420/ 1440)
  • LOCALIZZAZIONE Museo degli affreschi G.B. Cavalcaselle
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE "Come già rilevò Evelyn Sandberg Vavalà (1926), è inusuale per un’opera della prima metà del XV secolo la presenza del Battista che, nella presentazione come un giovanetto biondo, richiama lo stesso santo dipinto nella volta della cappella Ricchieri nel duomo di Pordenone ad opera di un pittore del più stretto seguito gentiliano (cfr. Tambini 1999). (...) Il fondo uniformato con il motivo a "ramages" in rosso su campo dorato riecheggia, ad esempio, quelli presenti dietro le "Madonne" di Michele Giambono conservate alla Galleria Nazionale di Palazzo Barberini a Roma o al Museo Correr di Venezia. La ridipintura in senso giambonesco riguardò anche le figure della Madonna e del bambino, giusta la testimonianza di alcune vecchie foto conservate presso l’archivio del Museo, che documentano pure l’aggiunta di una serie di serpenti in atto di mordere il corpo del santo, caratterizzandolo come un san Giuliano, secondo un’iconografia piuttosto diffusa in ambito veronese-trentino (cfr. Kaftal 1978, cc. 563-571; Dal Prà 2002, pp. 59-60). Un tale intervento è plausibilmente riferibile al primo Ottocento, nell’ambito delle pratiche connesse al commercio antiquario. Prima del recente restauro sull’angolo superiore sinistro era riportata la scritta «Falso!», accompagnata dalle iniziali del restauratore Giovanni Pedrocco, cui si deve l’eliminazione delle ridipinture citate. Malgrado la pessima situazione conservativa, il dipinto presenta tuttavia aspetti che ne avvalorano l’esecuzione quattrocentesca, quali, in particolare, la punzonatura elaborata, a fasce concentriche, dei nimbi e le incisioni che definiscono le linee essenziali del panneggio del manto della Vergine. In corrispondenza dell’aureola del giovane Battista, resta, sia pur tenue, l’impronta del piccolo capitello su cui si impostava l’arcata della cornice posta ad inquadrare il gruppo sacro. In sede museale il dipinto è stato riconosciuto nella "Sacra famiglia" n. 119/48 del catalogo di Dalla Rosa (1812), proveniente dal monastero della Beverara, ma l’identificazione sembra improbabile per la non completa aderenza del soggetto. Nel catalogo stilato da Ferrari (1850) l’opera invece è bene identificabile per la presenza del «giovanetto circondato di serpi» ed è riferita alla scuola di Stefano da Zevio. Il dipinto fu cautamente avvicinato da Adolfo Venturi a Giambono in una comunicazione al Museo del 18 ottobre 1903 (comunicazione scritta al museo), mentre Sandberg Vavalà (1926) la citò nel novero delle pitture del Museo che «offrono dei concetti stefaneschi tradotti dai maestri minori; lavori di poco valore, ma non senza un certo fascino per il loro sentimento fresco e ingenuo». L’opera è stata in seguito riferita al contesto veneziano da Lucco (1989b) e dalla Tambini (1999): il primo la attribuisce a Lorenzo di Giacomo, il pittore che firmò il polittico del 1429 conservato presso la Fondazione Cini di Venezia; la seconda, collegandola alla "Madonna della Pera" di Cesena e al polittico di Cellino Attanasio (L’Aquila, Museo Nazionale), la assegna a un maestro, collaboratore di Jacobello, che «ne aggiorna l’ultima fase sotto l’influsso di Gentile e Giambono, con agganci emiliani». La tavola è citata da Fossaluzza (2003), nell’offrire un quadro d’insieme sul problema critico posto dal gruppo d’opere ascritte al cosiddetto Maestro di Ceneda, così definito da Carl Huter (1973) con riferimento alla Incoronazione della Vergine della cattedrale di Ceneda, oggi conservata presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia; grazie a Lucco (1989), buona parte di queste opere sono state attribuite al citato Lorenzo di Giacomo, la cui "Incoronazione della Vergine" del 1429 si collega strettamente alla pala cenedese. La recente rilettura dell’iscrizione del polittico Cini (non più Lorenzo di Giacomo, ma Lorenzo e Jacopo da Venezia: cfr. De Marchi 2004) consente di riferire il dipinto Cini a un omonimo del più famoso Lorenzo Veneziano, attivo tra il terzo e il quarto decennio del Quattrocento. L’opera qui esaminata va confermata a questo autore, che testimonia, tra gli altri, la forte influenza in ambito lagunare della pittura gentiliana tanto negli schemi iconografici quanto nella definizione stilistica; nel caso particolare, i modelli gentiliani paiono mediati attraverso l’interpretazione bene caratterizzata di Michele Giambono, come s’intuisce, malgrado la cattiva leggibilità, dalla dolce globosità e dal lento chiaroscuro che contraddistinguono le figure. L’impostazione gonfia e abbondante, ma un poco spigolosa, delle vesti rimanda a una cronologia più prossima alla pala di Ceneda, databile intorno al 1438, che non alle soluzioni più essenziali e tese nei profili rappresentate dal polittico del 1429" (da Franco 2010, cat. 75)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500717496
  • NUMERO D'INVENTARIO 213
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
  • ISCRIZIONI nell'angolo superiore sinistro - FALSO! / GP - capitale -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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