San Bernardino da Siena e devoto. San Bernardino da Siena e devoto
polittico dipinto
1495 - 1496
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
1471 ca./ 1529
La prima tela raffigura san Bernardino da Siena con il monogramma di Cristo e un devoto inginocchiato in primo piano. La seconda tela raffigura santa Chiara con la pisside e due devote inginocchiate
- OGGETTO polittico dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Morone Francesco (1471 Ca./ 1529)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Pare che la prima menzione delle tele, assieme ad altre due raffiguranti "San Sebastiano e san Paolo apostolo" e "Sant'Antonio abate e san Rocco" (inv. 1446-1B0135), risalga alla "Descrizione di Verona" di Giambattista Da Persico, che illustrando la collezione raccolta da Francesco Caldana nella sua casa al civico 2214 della contrada di San Luca segnalava «quattro egregie pitture in asse, di Francesco Morone, sulle quali campeggia la simplicità e dignità delle mosse e delle fattezze, tutte e quattro sconosciute a pittori e biografi, rimaste forse dalla loro origine nel convento di Santa Chiara» (1820, p. 131). L’errore di Da Persico («in tela, e non in asse») è subito corretto nel catalogo a stampa della quadreria, pubblicato nel 1822 (Guzzo 1992-1993, p. 496). L’"History of Painting in North Italy" di Crowe e Cavalcaselle conferma la notizia sulla collocazione originaria del gruppo, aggiungendo che esso era «originally part of the organ at Santa Chiara» (1871, I, p. 493). Non sappiamo su quale fonte poggiasse questa informazione: le tele sono altrettanti scomparti di un polittico smembrato, di cui manca la parte centrale (una "Madonna con il bambino" in trono, alla quale san Bernardino rivolge supplichevole lo sguardo) e probabilmente la cimasa, certo non le ante di un piccolo organo (Peretti 2010, p. 268-269). Dalla collezione Caldana passarono entro il 1851 in quella di Cesare Bernasconi, e di qui ai Musei civici. Indubbiamente una tra le primizie di Francesco Morone, opera di straordinaria freschezza e candore, essa è accostabile alla paletta del Princeton University Art Museum (già appartenuta a Charles Butler e ad Henry White Cannon), con la quale condivide una datazione anteriore al volgere del secolo e molto probabilmente anche alla "Crocifissione" di San Bernardino (che è siglata 1498). Come analizzato da Gianni Peretti (2010), nell'opera il morbido pittoricismo dell’arte paterna, che si stempra nella grana dei tessuti come nelle porosità dell’epidermide, le linee nervose e filanti di retaggio ancora gotico (si veda la sagoma flessuosa del san Sebastiano o il bastone del santo eremita) convivono con un’incipiente semplificazione delle forme, una più risentita volumetria che diverrà tipica di Francesco: dagli evangelisti Marco e Giovanni dipinti nell’inverno 1498-1499 sui pennacchi della cappella di San Biagio in San Nazaro (Peretti 2001, p. 93) alle "Stimmate di san Francesco" (inv. 1450-1B0348), alla "Lavanda dei piedi" di Castelvecchio (inv. 1439-1B0305). Esemplare a questo proposito è l’albero di melo, il suo tronco cilindrico e perpendicolare al piano di base, i rami falcati, gli sferici frutti (Del Bravo 1962a, p. 8). Non è avventato immaginare che la pala dipinta e firmata congiuntamente da Domenico e Francesco nel 1496 per il santuario di Santa Maria delle Grazie di Romarzollo, presso Arco, esprimesse una congiuntura stilistica, una calibratura sentimentale non dissimili da quelle del piccolo polittico francescano. Secondo Luciano Bellosi anche le tele provenienti da Santa Chiara e la "Sacra conversazione" di Princeton sono un prodotto della collaborazione tra padre e figlio (1994, pp. 284, 302 nota 30). Secondo Peretti (2010), allo stato attuale delle conoscenze l’ipotesi non andrebbe esclusa del tutto, anche se queste opere possono essere inserite a pieno titolo nel catalogo di Francesco. In uno studio del 1920 inteso a dimostrare l’interesse naturalistico dei pittori veronesi del Rinascimento, in particolare di Francesco Morone e Girolamo Dai Libri, il botanico Achille Forti segnalava le schematiche raffigurazioni di animali (una rana, un granchio, un pesce) visibili sulle pietre del muricciolo che chiude il registro inferiore. Questi curiosi particolari provano come già allora fossero conosciuti quei reperti fossili di era terziaria di cui il territorio veronese è sempre stato un’inesauribile miniera. (da Gianni Peretti 2010, p. 268-269)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715208
- NUMERO D'INVENTARIO 1437
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0