Madonna con il bambino. Madonna con il bambino
dipinto
1483 - 1483
Bonsignori Francesco (1460 Ca./ 1519)
1460 ca./ 1519
Il dipinto raffigura la Madonna, con le mani giunte, nell'atto di adorare il bambino dormiente sdraiato su un piano marmoreo
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a tempera
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ATTRIBUZIONI
Bonsignori Francesco (1460 Ca./ 1519)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Prima che a Cesare Bernasconi, la tavola appartenne a Paolo Fabris, pittore, restauratore e insegnante dell’Accademia di Belle Arti di Venezia (Gardner, 2002, pp. 89-90). Visitando la collezione privata di Fabris il 30 settembre 1863, Charles Eastlake descriveva con particolare attenzione l’opera, riportando nei suoi taccuini di viaggio le notizie sul suo stato di conservazione. Sotto il manto rosso vivo, appariva una tunica porpora ma già all’epoca opaca e oggi del tutto scomparsa, che gli fece ipotizzare che l’opera fosse stata restaurata. La zona delle gambe del bimbo era poi alquanto rovinata tanto da aver perso le mezze tinte, mentre le mani della Vergine erano giudicate accomodate e disegnate malamente. Questa zona è quella che anche oggi denota i maggiori segni di sofferenza della tavola con sollevamenti della pellicola pittorica fissati in un precedente intervento conservativo e che il restauro condotto del 2006 ha cercato di appianare. Interessante è poi l’appunto sull’incarnato brunastro del viso della Madonna: Natale Schiavoni, che conosceva il dipinto, era solito chiamarla “la mia Furlana”, paragonandola ad una domestica friulana per il colorito della pelle come bruciato dal sole (taccuino XI-2, p. 16r). La tavola proviene da casa Marioni alla SS. Trinità, in corso Porta Nuova, dove alla metà dell’Ottocento Giuseppe Maria Rossi segnalava «una raccolta di buoni quadri, ed una di stampe di eccellenti bulini» (Rossi 1854, p. 105). Nel 1863 o 1864, Giovanni Battista Cavalcaselle riprodusse il dipinto in uno schizzo che apre il taccuino veneziano della Marciana (It. IV, 2037, f. 1r), annotando in calce «Da Fabris - Venezia - in vendita» (Marcon 1998; Rollandini 2005). Cesare Bernasconi acquistò il dipinto subito dopo, come si desume da una pagina dei suoi "Studj", editi nel 1864, dove ne accenna come a cosa di sua proprietà. Quando entrò a palazzo Pompei con il lascito di Bernasconi, nel 1871, la tavola probabilmente era priva di cornice. In un foglio a stampa sciolto conservato nella scheda cartacea relativa al dipinto datato al 1909, Giuseppe Gerola, allora direttore dei musei civici, informava che «la cornice attuale, trovata in soffitta, doveva appartenere ad altro dipinto». Come ricordato da Gianni Peretti (2010, p. 245), una foto d'archivio del Museo la mostra, infatti, ad ornamento della "Madonna con il bambino e san Girolamo" di Giovanni Mansueti (inv. 951-1B340). Nella piccola "Madonna" si palesa soprattutto l’influsso della pittura veneziana, che sostanzia tutta la produzione di Bonsignori almeno fino alla metà del nono decennio del Quattrocento, quando, dopo l’assunzione dell’artista alla corte dei Gonzaga, verrà gradualmente sostituito da un sempre più forte ascendente mantegnesco. Ma si direbbe che questo debito culturale venga contratto, piuttosto che con Alvise Vivarini (secondo una tesi cara a Berenson e variamente ripresa da gran parte della critica novecentesca), direttamente con Giovanni Bellini, i cui modelli formali e psicologici sono qui tradotti in un linguaggio più duro e risentito, quasi da scultore ligneo, e in una partitura cromatica tanto ristretta quanto violenta, secondo una tradizione tipicamente veronese (Marinelli 1990, p. 640). Secondo Peretti (2010, p. 245), il difficile scorcio prospettico del bambino, invece, dimostrerebbe che già a questa data Bonsignori aveva iniziato il suo personale dialogo con Mantegna. Immediato il rimando al "Cristo morto" di Brera, dipinto probabilmente negli anni settanta del Quattrocento o nei primi anni del decennio successivo (Frangi 1996), prima comunque del 1483 segnato sulla tavola veronese. In entrambe le opere il Cristo giace su una lastra di marmo di colore rosso con venature bianche, la cosiddetta ‘pietra dell’unzione’, sulla quale la leggenda vuole che fosse collocato il corpo deposto dalla croce per esservi unto, prima della sepoltura. Stefano l'Occaso metteva in relazione entrambi i dipinti con due lettere, datate gennaio 1482 e luglio 1483, scritte al marchese Federico Gonzaga dal frate minore mantovano Paolo Arrivabene, guardiano del convento del Monte Sion a Gerusalemme, nelle quali si annunciava l'invio a Mantova di alcune reliquie della passione, tra cui la 'pietra dell'unzione'. La coincidenza delle date con quella iscritta nella tavola di Bonsignori difficilmente è casuale, considerato che il pittore veronese risulta abitare a Mantova fin dal 1477 (L'Occaso 2005, p. 14). Il bambino addormentato (anche il sonno è un chiaro simbolo di morte), steso sulla nuda pietra, prefigura quindi, attraverso la figura retorica della prolessi, il sacrificio a cui il figlio di Dio è stato chiamato per la salvezza dell’umanità. All’incarnazione del Verbo come vero uomo allude anche la nudità del suo corpo, sul quale veglia la madre in preghiera (Steinberg 1983; Zeri 1987). (da Gianni Peretti 2010, p. 245)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715190
- NUMERO D'INVENTARIO 869
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- ISCRIZIONI su cartiglio - Franciscus Bonsignorius V[er]onensis pinxit / 1483 - corsivo -
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0