Madonna del Roseto. Madonna con il bambino e santa Caterina, detta Madonna del roseto
dipinto
ca 1420 - ca 1420
Stefano Di Giovanni Da Verona (1374-1375/ Post 1438)
1374-1375/ post 1438
Madonna con il bambino seduta in umiltà, su un giardino fiorito; in basso, a destra, Santa Caterina con una ricca corona di pastiglia, senza nimbo e libera degli attributi (la ruota e la spada) che, posati a terra, marcano il margine in basso del quadro; in alto, a sinistra una fontana-reliquario in pastiglia; entro il recinto angeli, pavoni, una faraona e diverse piante (rose, viole, aquilegie); fondo oro con angeli in volo; le figure angeliche sono abbigliate in quattro colori ricorrenti (blu, rosso, giallo e bianco) ad indicare forse le diverse appartenenze gerarchiche
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tavola/ pittura a tempera, trasporto su tela
ORO
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ATTRIBUZIONI
Stefano Di Giovanni Da Verona (1374-1375/ Post 1438)
- LOCALIZZAZIONE Museo di Castelvecchio
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Questo dipinto, straordinario emblema del gotico internazionale e al tempo stesso problematico su diversi aspetti, è forse il più celebre del Museo di Castelvecchio. Vi giunse nel 1812 per demaniazione dal monastero femminile di San Domenico all’Acquatraversa, trasferito dopo la spianata del 1517 da fuori porta San Giorgio all’area della Cittadella. È probabile che questa sia la provenienza originaria ma non si conosce la sua precisa collocazione in quel contesto anche per via del formato, a mezza via tra un quadro per la devozione privata e una piccola ancona (Marini 2010). La tavola di legno di pioppo su cui venne realizzato subì danni gravissimi e una relazione del pittore-restauratore Lorenzo Muttoni del 1857 (AMCVr) sottolinea l’ampiezza delle lacune sia della pittura sia del supporto, fino a quattro centimetri e mezzo di larghezza lungo le giunzioni delle tre assi che lo componevano; estesissime erano anche le ridipinture, relative soprattutto a Caterina. Probabilmente allo stesso Muttoni spetta il completo rifacimento del braccio destro della Santa, teso ad accogliere l’offerta della palma del martirio, ma in origine stretto vicino al busto con la mano destra che sosteneva la ghirlanda di rose al pari di quella sinistra, come segnala Cavalcaselle nel suo disegno marciano e come provano le radiografie realizzate nel 1996 prima di una leggera pulitura delle vernici ingiallite (Marini 1998). Dopo vari altri interventi, tra cui uno di Cavenaghi citato da Bragantini attualmente non documentabile, essendosene definitivamente deteriorato il supporto e aggravate le crepe e i sollevamenti che solcavano la figura della Madonna, tagliandone la spalla sinistra, il dipinto fu trasportato su tela nel 1950 (relazione in AMCVr). Autore dell’intervento fu Ferruccio Bragantini che eliminò anche le «varianti sostitutive» arbitrariamente aggiunte dai precedenti restauratori (Verzellesi 1951; cfr. Napione 2015). Nonostante la presenza di alcuni forti elementi simmetrici, quali la coppia di pavoni – secondo Vasari quasi una firma di Stefano (Boskovits 1988, p. 12) – che introducono all’ingresso del bersò, e i due quartetti speculari di angeli disposti come parentesi tra la Vergine e la Santa, prevale nettamente un andamento asimmetrico, particolarmente accentuato sul lato sinistro, dove il flusso delle indaffarate presenze angeliche in parte accompagna il tracciato troncato della pergola, in parte se ne distacca. La percezione di ogni dettaglio, naturalistico, simbolico, compositivo, di questa sorta di gigantesca miniatura è acuita da una prospettiva aerea che riproduce l’ipotetico punto di vista di uno degli angeli-uccelli alianti sopra l’hortus conclusus (Marini 2010). Quest’ultimo e la fontana sigillata sono qui simboli della verginità di Maria secondo l’immagine del Cantico dei Cantici (IV, 12); predominano le rose, fiore mariano per eccellenza, cui è da collegare anche l’origine domenicana del culto del rosario (Azzi Visentini 2001, p. 157), ma sono presenti anche viole, metafora del Paradiso ed emblema di umiltà, e aquilegie, simbolo della Passione di Gesù e del dolore di sua madre. I pavoni indicano la resurrezione e, più ampiamente, l’immortalità, mentre ancora misteriosa rimane la faraona in fuga nell’angolo inferiore destro (Moench 1996).Se la critica in passato si è impegnata a spiegare la rara iconografia prevalentemente di area tedesco-boema del Pardiesgärtlein presente in quest’opera, più di recente è stato suggerito un collegamento con la visione di Caterina d’Alessandria precedente il proprio battesimo e le nozze mistiche con il Bambino Gesù (Del Popolo 2009; cfr. Daffra 2015). Il dibattito critico sull’attribuzione e sulla datazione del dipinto è ancora aperto. È stato dapprima ritenuto opera di Pisanello e successivamente di Stefano di Giovanni con una cronologia al 1420 circa o di Michelino da Besozzo con una datazione discussa che va dal terzo lustro del Quattrocento alla fine del terzo decennio (Moench-Scherer 1996; Marini 2010, anche per la fortuna bibliografica)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Ente pubblico territoriale
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0500715096
- NUMERO D'INVENTARIO 173
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
- ENTE SCHEDATORE Comune di Verona
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0