virtù guerriera

scultura ca 1755 - ca 1760

L'opera rappresenta un putto a figura intera, poggiante su una base in legno sagomato e dorato, raffigurato nell'atto di sollevare con la mano sinistra la veste, per mostrare l'arco che tiene nella mano destra

  • OGGETTO scultura
  • MATERIA E TECNICA scagliola/ modellatura
  • ATTRIBUZIONI Ladatte Francesco (attribuito): scultore
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Castello Reale
  • INDIRIZZO Via Francesco Morosini, 3, Racconigi (CN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Collocato sulla balaustra della tribuna nel salone d'Ercole, la figura fa parte di una serie composta da sei putti allegorici, tutti disposti sulla medesima tribuna, e ciascuno recante in mano un attributo delle virtù guerriere. Il putto in questione sembra quasi fare un gesto scenografico, alzando la veste, per occultare l'arco che tiene con la mano destra. Come per il putto con la faretra e la freccia, che precede questo, anche in questo caso non è possibile individuare in modo preciso il significato allegorico; in attesa della corretta individuazione della fonte, l'opera può essere comunque ascritta ad un ciclo allegorico sulle virtù guerriere. Individuato come balestra nell'inventario del 1951, l'oggetto che il putto tiene con una mano in realtà è un arco non incordato, con la corda non ancora fissata ad entrambe le estremità dell'arco, e dunque ancora morbida e non tesa. Quando l'arco non è incordato, i due flettenti (e cioè le parti che vanno dall’impugnatura alla nocca) si ripiegano in avanti allontanandosi dal petto dell’arciere (fino ad assumere addirittura la tipica forma a “C”), e vengono poi tirati ed incurvati all’indietro, verso il petto dell’arciere, nel momento in cui devono essere incordati, per dare così maggior energia alla freccia. Si può notare difatti come il putto con la mano destra stringa contemporaneamente la corda e la parte superiore del flettente, dove andrà collocata la corda una volta tesa. Il tipo di arco sembra infine essere quello di tipo sciita, o turco, comunemente usato sin dall'antichità come testimoniano sculture classiche (una su tutte, l'Eros che incorda l’arco custodito presso i Musei Capitolini di Roma, copia da un'originale di Lisippo) e riproposto ad esempio anche durante il Rinascimento e in tempi più recenti (si veda il Martirio di S. Sebastiano del 1505, opera di Perugino, o il celebre Amor Vincit Omnia di Caravaggio del 1602-1603). Storicamente attribuiti da Noemi Gabrielli (vedi bibliografia) allo scultore Giuseppe Bolina per via della sua partecipazione alla decorazione del salone ideato dall'architetto Borra, oggigiorno i putti collocati nella tribuna andrebbero più correttamente attribuiti ad altro artista, proprio in virtù del confronto diretto tra le testine di putti dei modiglioni che reggono il fregio, dai tratti spigolosi e per nulla morbidi (certamente opera di Bolina), e i lineamenti delicati dei putti in questione. Il modellato della figuretta lascia piuttosto trasparire la tenera morbidezza riscontrabile negli innumerevoli esempi in terracotta nel genere dei giochi di putti realizzati da Francesco Ladatte: si vedano a titolo d'esempio le Allegorie dell'Inverno e dell'Autunno (n. inv. sc492-1 e sc492-2), conservate presso il Museo di Arti Decorative Accorsi - Ometto di Torino, entrambe composte da putti dalle forme e volumetrie peculiari del celebre artista torinese. L'attribuzione a Ladatte è indicata anche da Giuseppe Dardanello che, nel suo saggio "Cartapeste. Francesco Ladatte e Giovanni Battista Bernero" (pp.103-118), colloca i putti nella produzione di Ladatte, datandoli al 1760 circa, poco prima dei rilievi realizzati dall'artista torinese per la Curia Regia. Pur essendo cronologicamente vicini al cantiere di realizzazione del grande Salone, realizzato dall'architetto Borra nel 1757 e impreziosito dalle decorazioni legate alla caccia nonché al mito di Ercole (opera di Giuseppe Bolina), certamente la collocazione dei putti sulla balaustra non può considerarsi originaria: è più probabile che questi fossero destinati a decorare lo scalone a tre rampe che portava al piano superiore, oggigiorno rielaborato e modificato durante l'intervento decorativo di Adolfo Dalbesio del 1905. A supportare tale ipotesi vi è la presenza di due figure allegoriche, poste nelle due nicchie dello scalone, realizzate in cartapesta e probabilmente concepite dallo stesso Francesco Ladatte, così come suggerisce Dardanello nel saggio succitato
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100404951
  • NUMERO D'INVENTARIO R 2737
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Castello di Racconigi
  • ENTE SCHEDATORE Castello di Racconigi
  • DATA DI COMPILAZIONE 2018
  • ISCRIZIONI sulla base - R2737 - a pennello/ giallo -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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