cena in casa di Simone fariseo
dipinto
post 1726 - ante 1730
Ricci Sebastiano (1659/ 1734)
1659/ 1734
Supporto montato su telaio ligneo con due traverse perpendicolari, di cui quella verticale si direbbe semi-mobile
- OGGETTO dipinto
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MATERIA E TECNICA
tela/ pittura a olio
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ATTRIBUZIONI
Ricci Sebastiano (1659/ 1734)
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ALTRE ATTRIBUZIONI
Caliari Paolo Detto Il Veronese (copia Da)
Caliari Paolo Detto Il Veronese (imitatore Settecentesco)
Ambito Veneziano Del Sec. Xviii
- LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
- LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
- INDIRIZZO Via XX Settembre, 86, Torino (TO)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE L’opera proviene dalla collezioni Sabaude. Tralasciata dagli inventari settecenteschi e dalle fonti storiche coeve, si trova menzionata per la prima volta come copia da Paolo Veronese nella Note des Tableaux sortis du Palais (…), compilata dal custode della residenza Joseph Deville nel 1802, in occasione del trasferimento di alcune opere dal Palazzo Reale a quello dell’Accademia delle Scienze sede del progettato Museo dell’Ateneo Nazionale. Analogamente l’inventario dei dipinti e delle sculture consegnati al conservatore del Museo Giacomo Spalla, redatto in quelle stesse circostanze, lo ricorda come una “copia in piccolo della cena presso li Farisei, del Paolo Veronese” (Villano, 2011 ma anche Pinto, 1987, pp. 105-109 relativamente al progetto del Museo). È citato poi in un elenco del 1820 tra le pitture del Re esposte a Torino in quell’anno (Natale, 1987) e in due registri inventariali della Pinacoteca Regia del 1851 e 1853, che lo segnalavano nella sala n. 6 di Palazzo Madama con la corretta attribuzione a Sebastiano Ricci (Villano, 2011). Tale paternità è sostenuta all’unanimità dalla critica e negli inventari successivi del Museo con la sola eccezione dei cataloghi della Pinacoteca compilati da Baudi di Vesme (1899) e da Pacchioni (1932), che lo considerarono un’anonima imitazione settecentesca da Paolo Veronese (Baudi di Vesme) o semplicemente di scuola veneziana del XVIII secolo (Pacchioni, 1932). In vero dovrebbe trattarsi del bozzetto della tela oggi ad Hampton Court, datata entro la fine degli anni venti (Scarpa, 2006) e acquistata da Giorgio III d’Inghilterra dalla collezione del Console Smith. Di essa esiste un ulteriore modelletto a olio con molte varianti, analogamente conservato nelle collezioni reali inglesi (Daniels, 1976), e diverse prove grafiche: uno studio dell’intera composizione e uno per la testa del Fariseo a Windsor Castle (Levey, 1964); un rapido schizzo d’insieme presso la Donald Gordon Collection di Baltimora (Blunt, 1957) e infine un disegno a sanguigna che ritrae soltanto la metà destra della scena rappresentata, già di proprietà di sir Francis Watson (Vivian, 1989). Blunt (1948), probabilmente confondendosi, lo ritenne copia di formato ridotto dalla celebre composizione omonima di Paolo Veronese conservata alla Galleria Sabauda e dalla quale a suo giudizio il Ricci trasse molti suggerimenti. Gli studi concordano nel definire il tratto agile e nervoso e la pennellata vibrante, che offre un’interpretazione in chiave settecentesca della pittura del Caliari (Griseri, 1963; Rizzi, 1975 e 1989; Martini, 1982). Levey (1964) nella Cena londinese indivuduava un autoritratto del pittore nella figura all’estremità destra del dipinto e l’inedita presenza del nipote Marco nel personaggio intento ad alzarsi da tavola, probabilmente inserito a testimonianza del suo coinvolgimento nel fondale architettonico (si veda anche Scarpa, 2006, pp. 46 nota 13 e 50 nota 88, Ead., 2010) e riconoscibile sulla base del confronto con un’incisione del 1724 che deriva da un pastello di Rosalba Carriera appartenuto al console Smith. Pertanto riteneva, logicamente, che la data di morte di Marco – 21 gennaio 1730 - indicasse il terminus ante quem del dipinto e di conseguenza del bozzetto torinese, sebbene però vada sottolineato che in esso non è riconoscibile alcun ritratto. La Gabrielli (1971) riporta la notizia che la tela avesse subito alcuni rimaneggiamenti entro la fine del Settecento, venendo allargata e completamente ridipinta al di sopra della pellicola pittorica originale. Rizzi (1975) la considera dapprima propedeutica alla versione definitiva del quadro, poi ritenne preferibile accostarla piuttosto a una “prima idea” (1989) del dipinto vero e proprio, ritenendo invece il bozzetto di Hampton Court una ripresa, coeva e posteriore, ad uso memorativo o su commissione per il suo carattere troppo “finito”. Lo studioso del resto ravvisava la necessità di distinguere tra varie categorie di “modelletti”, lamentando implicitamente la mancanza di uno studio organicamente teso ad analizzare tale filone all’interno della prassi pittorica dell’artista ma anche di un preciso ambito di fruizione. Da ultimo Pavanello (2010) lo ha definito un genere “anfibio” per la capacità di sommare in un’unica composizione la freschezza dell’abbozzo alla diligenza esecutiva dell’opera ultimata (2010 e inoltre Craievich, 2012). Come accennato, la grande tela di Hampton Court fa parte delle Storie del Nuovo Testamento commissionate a Sebastiano Ricci dal console Smith in un momento contestuale ai pagamenti ricevuti dai Savoia per i dipinti tratti dall’Antico Testamento, tutt’ora presenti nelle collezioni torinesi della Galleria Sabauda e di Palazzo Reale (Scarpa, 2006 e 2010). Del resto, nonostante il carattere ancora provvisorio rispetto all’opera compiuta, condivide con il Salomone che adora gli idoli della Sabauda (inv. 470) [continua nel campo OSS]
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà Stato
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350778
- NUMERO D'INVENTARIO 468
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
- ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
- DATA DI COMPILAZIONE 2012
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0