tre Grazie

dipinto, ca 1650 - ca 1660

Cornice del 1830 ca. Tela di supporto spigata, per la Gabrielli (1971) si tratta di una tela da tovaglia

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • MISURE Altezza: 158 cm
    Larghezza: 124 cm
  • ATTRIBUZIONI Muttoni Pietro Detto Della Vecchia (attribuito)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Rubens Pieter Paul (copia Da)
    Francesco Albani
    Vecellio Tiziano (maniera Di)
    ambito veneziano
    Bembo Bonifacio
    Aloisi Baldassarre
    Cesari Giuseppe Detto Cavalier D'arpino
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto proviene dalla quadreria viennese del principe Eugenio di Savoia Soissons, ricca di capolavori di scuola emiliana, veneziana e fiamminga. Secondo la testimonianza grafica fornita dall’incisione del Kleiner (1734, vol. 3, tav. 5) si trovava esposto sulla parete nord della Galerie du Jardin del Belvedere Superiore, ove fronteggiava un David con la testa di Golia di Guido Reni, forse rispondendogli anche tematicamente come emblema della venustà e avvenenza femminile in rapporto al coraggio e al valore maschile (Diekamp, 2007, pp. 795-797). Keysler nel 1730 lo ricordava come copia da Rubens, mentre l’inventario del 1736 lo attribuiva all’Albani (Comoglio, 2012) e quello dell’anno successivo a Pietro della Vecchia (Vesme, 1886), come del resto anche il catalogo che, nel 1754, lo registrava nel Palazzo Reale di Torino nell’ultimo gabinetto che seguiva l’appartamento al piano terra (Rovere, 1858). Nel 1765 il francese Joseph Jérome de Lalande lo vedeva durante il suo Grand Tour italiano nella stanza chiusa a chiave accanto alla sala da pranzo della coppia reale e constatava che il dipinto non era in ottimale stato di conservazione, pur confermando la paternità dell’opera al pittore ch’egli riteneva essere stato un allievo di Tiziano. Così il catalogo del Wehrlin ne registrava la presenza nel piccolo appartamento detto della Rotonda e propendeva più cautamente in favore della maniera di Tiziano. Infine il 23 settembre 1802 veniva scelto da Pecheux e La Boulinière, con l’ascrizione ancor più generica alla scuola veneziana, per il Museo dell’Ateneo Nazionale da istituire a Torino (Diekamp, 2007). Venduto dall’incisore Boucheron alla Pinacoteca nel 1843 (Inv. 1871) fu legato al nome di Bonifacio Bembo da Callery (1854), a un pittore fiammingo che trae copia da un originale di Rubens (Jacobsen, 1897) o che aveva studiato i veneti (Baudi di Vesme, 1899), alla scuola veneziana cinquecentesca dalla Gabrielli (1971), a quella bolognese e forse all’Aloisi da Giuseppe Fiocco (comunicazione orale riportata da Gabrielli, 1971) e più di recente al Cavalier d’Arpino (Guide brevi della Galleria Sabauda, 1993; Meijer-Sluiter-Squellati Brizio, 2011) prima di tornare a essere considerato come parte integrante del catalogo di Pietro Muttoni a seguito di un restauro del 1993 (Diekamp, 2007 con parere oralmente concorde di Aikema, cfr. Id., 1990). La datazione agli anni quaranta proposta dalla Diekamp potrebbe ricevere conferma dal riscontro con l’Ex voto con Santa Giustina delle Gallerie veneziane dell’Accademia, firmato e datato in quell’anno, o dalla Giuditta del Museo di Pordenone (cfr. B. Aikema, 1984, pp. 89-90, 116 cat. 6; 122 cat. 42; Aikema, 1990, p. 116 cat. 6), nei quali è rappresentato un gioiello simile – anche se non identico - a quello appuntato tra i capelli della Grazia di destra. Tuttavia, pur tenendo in debito conto l’influsso esercitato in quello stesso torno di tempo dalla pittura di Rubens (Aikema, 1990, pp. 21-22), pare preferibile fare scivolare la soglia cronologica almeno sino alla decade successiva sulla base del confronto più puntuale con l’Allegoria della Prudenza della Pinacoteca Egidio Martini del Museo di Ca’ Rezzonico a Venezia, copia degli anni 50-60 del Seicento dal perduto affresco attribuito dalle guide a Giorgione o a Tiziano e un tempo ubicato nel portico terreno di Palazzo Loredan-Grimani a San Marcuola (cfr. Dal Pozzolo, 2009, pp. 103-104; Id., 2011, pp. 51-52). Del resto, anche le affinità riscontrabili con la statua nuda rappresentata nel cosiddetto Regno dell’Amore di collezione privata veneziana (Aikema, 1990, p. 139 cat. 152) motiva tale avanzamento temporale. Va comunque precisato che la capacità del pittore d'imitare sino alla falsificazione la maniera giorgionesca, e più in generale quella dei maestri del secolo precedente, se da un lato motiva i pregressi tentennamenti attributivi, dall’altro non aiuta a dirimere la questione cronologica. Anzi, proprio in rapporto al particolare prezioso del dipinto sabaudo, pare utile ricordare che gli illeciti dell’artista riguardavano - a detta delle fonti - anche il commercio di perle e gioielli falsi. Tale slittamento cronologico permetterebbe anche d'intessere un collegamento diretto con un certo filone della produzione coeva di Guido Cagnacci, incline a riprodurre il nudo femminile indugiando con particolare enfasi sull’espressione attonita ed estatica dei visi, forse direttamente influenzata dall’ambiente letterario e operistico afferente alle accademie cittadine. Il particolare iconografico del sinuoso nastro azzurro che si intreccia ai capelli ed è trattenuto tra il pollice e l’indice della nuda di destra, in evidente stato di mestizia, non esclude poi un’interpretazione delle tre figure anche in direzione delle Tre Parche o comunque una riflessione allegorica sull’inesorabile trascorrere del tempo. Si ripropone infatti emblematicamente in un’inconsueta Maddalena Penitente visualizzata come Vanitas [continua nel campo OSS]
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350743
  • NUMERO D'INVENTARIO 451
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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