cena in casa di Simone il fariseo

dipinto, ca 1555 - ca 1556

Supporto composto da teli di tessitura differente, uniti con cuciture rilevate sul davanti. Nella parte superiore del dipinto s'innestano i due cantonali aggiunti in un secondo tempo e formati da tessuti a tramatura diversa rispetto a quelli che costituiscono il supporto originale, ma tuttavia di provenienza veneta e fattura coeva o poco posteriore rispetto al dipinto veronesiano. Durante il restauro del 1982 il dipinto è stato oggetto di una doppia foderatura eseguita con tela di lino a tutt’altezza

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Caliari Paolo Detto Paolo Veronese (1528/ 1588)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La tela veronesiana rappresenta la cosiddetta Unzione di Betania secondo la narrazione evangelica di Luca e Giovanni. Fu realizzata tra il 1555 e 1556 per il refettorio del monastero benedettino cassinese dei Santi Nazaro e Celso di Verona (Sancassani, 1973-74), dove era ricordata dalle fonti storiche successive a partire da Vasari e con tutta probabilità inserita all’interno di un complesso apparato decorativo probabilmente realizzato ad affresco “sopra a’ cantonali della istoria” con “due satire nelle difformità loro bellissime” (Ridolfi, 1648/1914-1924), forse parzialmente tramandatoci da un’anonima matita rossa acquerellata passata sul mercato antiquario nel 1974 (Leoncini, 2004). In effetti le analisi effettuate sul supporto durante la campagna di restauro condotta dal Laboratorio Nicola di Aramengo nel 1982, hanno scientificamente confermato le osservazioni di Baudi di Vesme (1899), attestando che i due angoli superiori del dipinto furono aggiunti in epoca successiva con un innesto di tela antica a trama spigata, forse proprio a seguito di un allestimento della tela in un ambiente diverso da quello originario (Tardito Amerio, 1982). Venne infatti venduta dai monaci alla metà del XVII secolo al genovese Gio. Filippo Spinola per una cifra elevatissima (7000 ducati d’oro) e con l’impegno di fare eseguire una copia di analoghe dimensioni, destinata a sostituire nel refettorio del convento l’originale ma che non fu mai recapitata sebbene fosse stata realizzata in tempi brevi da David Corte. Tale copia rimase anzi accanto all’originale fintanto che questo non fu definitivamente trasferito nelle sedi museali torinesi (D’Azeglio, 1861), mentre è possibile che il refettorio fosse risarcito da una replica di Carlo Ridolfi (Cfr. Leoncini, 2004), che d’altro canto ne aveva eseguita una già nel 1628, inviandola in Fiandra a un anonimo committente (Ridolfi, 1648/1914-1924). Passata entro il 1698 in eredità a Francesco Maria Spinola (Migliorini-Assini, 2000), è documentata da Charles De Brosses e dalle successive guide settecentesche nella collezione Durazzo almeno dal 1739 (Leoncini, 1997; 2004) e fu acquistata da Carlo Felice nel 1824. Raggiunse rocambolescamente Torino nel 1837 - nonostante le opposizioni dei genovesi - per volere di Carlo Alberto che desiderava ad ogni costo esporla nella Regia Pinacoteca di Palazzo Madama (D’Azeglio, 1861). Il dipinto inaugura la celeberrima serie delle Cene di Paolo Veronese, visualizzando il vertice stilistico della sua produzione giovanile, quando cioè il pittore muoveva i suoi primi passi sulla scena veneziana con la decorazione del soffitto della Sacrestia e della navata di San Sebastiano. Ridolfi la datava infatti intorno al 1560, come quasi tutta la critica a seguire (Pignatti-Pedrocco, 1995 con bibliografia) almeno sino al ritrovamento documentario di Giulio Sancassani (1973-1974) che, sulla base di un pagamento versato al pittore dall’abate benedettino Mauro Vercelli, consentirebbe di anticiparla di un quinquennio. L’abate in questione dovrebbe a rigor di logica aver prestato le sue fattezze fisiognomiche a quello ritratto poco dietro la figura di Cristo sulla destra del dipinto, mentre Baudi di Vesme (1899) riconosceva un Autoritratto del pittore in quello del servo con il canestro di vimini. Rendono testimonianza della fortunata composizione le numerose copie che sono state tratte nel corso del tempo, tra le quali è doveroso per lo meno ricordare quella realizzata da Giambattista Tiepolo su commissione di Francesco Algarotti (Dublino, National Gallery of Ireland); quella seicentesca con varianti delle Gallerie veneziane dell’Accademia e la riflessione grafica di Jean Honoré Fragonard. Diverse sono anche quelle incise, tra le quali le più famose sono certo quelle realizzate all’acquaforte da Giacomo Barri (1667) e da Giovanni Battista Volpato (1772) (Pignatti-Pedrocco, 1995)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100350739
  • NUMERO D'INVENTARIO 452
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Musei Reali-Galleria Sabauda
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2012
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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