adorazione dei pastori

dipinto, ca 1522 - ca 1523

Supporto ligneo con sistema di parchettatura di contenimento fissa. Cornice dorata del XIX secolo

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura
  • ATTRIBUZIONI Savoldo Giovanni Gerolamo (1480-1485/ Post 1548)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Tiziano Vecellio
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Galleria Sabauda
  • LOCALIZZAZIONE Manica Nuova
  • INDIRIZZO via XX Settembre, 86, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La prima menzione del quadro si deve al Ratti (1766), che lo citava come opera di Tiziano esposta nel Palazzo Durazzo di Genova . È infatti possibile che la sua acquisizione presso la dimora ligure fosse dovuta ad alcuni acquisti messi a segno da Gerolamo Ignazio (1676-1747) attorno al 1715, quando si trovava cioè a Venezia per un delicato incarico diplomatico affidatogli dalla Repubblica genovese. Al suo ritorno i dipinti furono raccolti nel salotto, oggi detto della Regina, del palazzo avito (Leoncini, 2004, part. pp. 70-71 con note). Sottoposto a restauro per volere di Carlo Felice nel 1824, fu trasportato temporaneamente a Torino prima di lasciare definitivamente Genova insieme ad altri tesori della ricca collezione nobiliare in parte confluita nelle collezioni sabaude (Astrua, 2004). Callery (1859) sottolineava alcune incongruenze stilistiche in rapporto alle opere certe del Vecellio ed esprimeva qualche perplessità in merito all’autografia, inclinando piuttosto in direzione di Bonifacio de’ Pitati o di qualche altro maestro a lui prossimo. Vico (1866), Mundler (in Burckhardt, 1869) e Cavalcaselle (1871) lo attribuivano a Savoldo, come del resto Jacobsen (1897), che ancorava il dipinto al suo primo periodo e intesseva un confronto diretto con l’illuminazione “fantastica” del paesaggio dell’Adorazione della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia e con la pittura di Paris Bordon nelle pieghe seriche dei panneggi. La critica a seguire non dubitò più della paternità dell’opera ma propose varie datazioni, accennando a diversi paragoni possibili all’interno del catalogo del maestro ma anche al raffronto con celebri esempi della pittura veneziana. Longhi (1917), come del resto Pallucchini (1940), l’accostava a un gruppo di opere cronologicamente collocabili tra il 1521 e il 1533. Venturi (1928), seguito da Lechi-Panazza (1939), sottolineava il rapporto con Tobiolo e l’Angelo della Galleria Borghese e notava la reminiscenza di alcuni schemi quattrocenteschi di sapore provinciale nell’atmosfera argentea prediletta dai bresciani, unita a istanze più moderne derivate da una trattamento denso e ricco del colore nelle stoffe e nelle mani carnose, ritenuto proprio della pittura di Jacopo Palma. Anche Capuccio (1939) intesseva il medesimo paragone con il dipinto romano, motivato soprattutto dall'analoga partizione compositiva orchestrata attorno alla roccia centrale e nelle aperture paesaggistiche laterali. In entrambe notava inoltre l’accostamento di un cromatismo locale a quello d’impronta più specificamente veneta nella fusione dei colori. Nicco Fasola (1940) riteneva che il dipinto sabaudo risolvesse invece attraverso un uso più calibrato delle luci e delle ombre le disomogeneità presenti in quello romano, a suo giudizio carente di un’armonica continuità tra il paesaggio e le figure in primo piano. Capelli (1951) accostava il Bambino e la ricchezza dei panneggi animati da pieghe brevi e contorte ai lati alla pala di Treviso e collegava l’opera torinese all’entusiasmo manifestato dal maestro lombardo per la lezione fiamminga e le opere di Giorgione e di Tiziano, individuando il precedente diretto nella Natività Allendale di Washington e orientando la cronologia attorno al 1521. Gilbert (1955) propendeva invece per un avanzamento al 1537-39. Zampetti (1955) concordava per una datazione tarda e Boschetto (1963) - come del resto Gabrielli (1971) - tornava ad anticiparla di circa un decade, vale a dire collocandola poco prima l’Adorazione di Hampton Court del 1527 e accanto al Flautista della collezione Contini Bonaccossi. Anche Tardito Amerio si mostrava concorde e sottolineava, a seguito del restauro del 1982, un generale appiattimento dell’impasto pittorico in prossimità del manto blu della Vergine, dovuto alla necessaria rimozione di alcune manomissioni ottocentesche che avevano incautamente spulito l’opera privandola delle velature originali. Bossaglia (1963) la inseriva alla metà del secondo decennio a seguito della Natività di San Giobbe. Ballarin (1990 riproposto nel 2006) e Frangi (1992) recuperavano il riferimento cronologico del 1522-1523 della pala di Treviso, ragionando entrambi sugli apporti sostanziali della pittura lombarda, fiamminga e tutt’al più tizianesca - più che sui presunti influssi di quella giorgionesca – resi per Frangi evidenti nelle soluzioni paesaggistiche adottate nelle Tentazioni di Sant’Antonio di Mosca e San Diego e rivitalizzate sull’esempio delle accensioni luministiche e vespertine del polittico Averoldi. La compiuta fusione tra la componente lombarda e soprattutto fiamminga sono indizio per Panazza (1990) di una collocazione alla fase pienamente matura e si direbbero in parte imputabili al matrimonio del pittore con una vedova fiamminga e ai documentati rapporti con la nazione tedesca che si evincono dal suo testamento del 1526. [continua nel campo OSS]
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100217074
  • NUMERO D'INVENTARIO 457
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici del Piemonte
  • DATA DI COMPILAZIONE 2003
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2012
  • ISCRIZIONI retro cornice, alto sinistra, su etichetta - 95 - a matita -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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