testa di Cristo

dipinto,

Frammento di affresco staccato a massello dagli interni della demolita chiesa di Sant'Ilario, inserito in cornice circolare e murato in esterno su una piccola torre della villa

  • OGGETTO dipinto
  • AMBITO CULTURALE Ambito Italia Nord-occidentale
  • LOCALIZZAZIONE Revello (CN)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La chiesa di Sant’Ilario di Revello fu donata dal marchese di Susa Olderico Manfredi al monastero benedettino femminile di Santa Maria di Caramagna all’atto della sua fondazione, nel 1028. Già “deserta e destituita” secondo la visita pastorale di monsignor Viale del 1613, con le leggi napoleoniche del 1802 l’edificio, divenuto proprietà privata della famiglia Roggiery, fu adibito a ricovero rurale. Nel 1872 Antonio Bosio vide ancora la “vetustissima e in parte diroccata chiesa a diversi piani di Sant’Ilario vicino a Revello”, che per tipologia doveva essere simile all’abbazia di San Costanzo al Monte. Fu però abbattuta poco tempo dopo, e sul sedime fu costruita una villa. I sei frammenti oggetto di schedatura sono i pochi brani superstiti dell’originaria decorazione dell’abside, insieme con la Testa di santo che, a ridosso dello stacco a massello, Giuseppe Roggiery donò a Casa Cavassa a Saluzzo, dove per iniziativa di Roberto d’Azeglio andava aggregandosi una raccolta di testimonianze figurative dal territorio che comprendeva anche pitture murali estratte in funzione di tutela. Il ciclo raffigurava verosimilmente un Cristo Pantocratore di cui si conservano il capo, la mano destra (detta "braccio sinistro di Cristo" nella relazione storico-artistica parte integrante del decreto di vincolo) e il Libro della Vita (sulle pagine è leggibile la citazione da Giovanni 14,6 “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”), Apostoli (testa di Casa Cavassa, testa con lunga barba) e scene bibliche. Un’ampia ricostruzione bibliografica è stata annotata da Elena Ragusa in calce alla relazione storico-critica elaborata in occasione dell’emanazione del decreto di tutela: per la loro primaria importanza e per lo stato conservativo che permette ancora di leggere dettagli tecnici e cromatismi, i frammenti sono stati oggetto d’attenzione per i maggiori studiosi di pittura medievale, che li hanno posti in relazione da principio con la miniatura ottoniana (a partire da Gabrielli, De Francovic, Segre Montel, cfr. documento allegato al campo FNT). Per Giovanna Galante Garrone un’esecuzione “perfino un poco meccanica, secondo una sigla vincolante”, “di assoluta astrazione” porta a leggere in essi il replicarsi e la derivazione di modelli lombardi come quelli di San Vincenzo a Galliano, ma anche echi di scultura dell’Aquitania e di pittura catalana (San Quirce di Predret, san Pedro di Burgal e San Clemente di Tahull) forse mediati da perduti episodi di pittura della Francia meridionale (G. Galante Garrone, in Musei del Piemonte. Opere d'arte restaurate, catalogo della mostra, a cura di Giovanni Romano, Torino 1978, p. 121). L’ipotesi è stata ripresa e valorizzata dalla lettura di Francesca Quasimodo, che sottolinea come il “segno grafico netto e semplificato” e la frontalità dei visi “per ottenere una maggiore efficacia” abbiano una qualità comunicativa che si esprime in fisionomie dolci, in “ovali a forma di mandorla, con lunghi nasi lineari uniti a sopracciglia arcuate”, occhi gradi “tutt’altro che terribili”. Il ciclo andrebbe collocato nel secondo quarto del XI sec., intorno al 1030, e aprirebbe nel suo ambito territoriale una serie di fortunate sopravvivenze di testi figurativi, fra i quali annoverare i dipinti dell’Abbazia dei SS. Pietro e Colombiano a Pagno, gli affreschi di San Costanzo al Monte, quelli della cripta di Villar San Costanzo, gli apostoli della cappella della Maddalena a Bernezzo, i frammenti visibili nella chiesa di San Paolo a Caraglio e, infine, le storie dell’Antico Testamento di San Salvatore di Macra, della fine del XII secolo (F. Quasimodo, La visione del mondo nella pittura romanica saluzzese, in Arte nel territorio della diocesi di Saluzzo, a cura di R. Allemano, S. Damiano, G. Galante Garrone, Savigliano 2008, pp. 121-122). Il contesto, pur gravemente lacunoso, offre la sponda per nuovi studi e ipotesi interpretative, come la recente proposta di Andrea Spiriti di posticipare di un secolo per ragioni storiche la datazione del ciclo di Sant’Ilario, che sarebbe stato eseguito da maestranze lombarde attive a cavallo delle Alpi durante ”la massima stagione della pittura lacuale in Catalogna” (A. Spiriti, Artisti dei laghi e Catalogna: un affresco saluzzese e una conferma, in Medioevo europeo, 2/2018, pp. 213-220)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100106920-1
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo
  • DATA DI COMPILAZIONE 2020
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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