Carnevale di Fano: Rito del getto dei dolciumi

XXI inizio

Il rito del getto dei dolciumi durante le sfilate dei carri di cartapesta del Carnevale di Fano è un’antica tradizione: si tratta dello storico lancio di dolciumi dai carri allegorici sul pubblico. “Il Carnevale di Fano è il più dolce d’Italia perché abbiamo la caratteristica di lanciare quasi duecento quintali di cioccolato sulla folla. Ma questo non è casuale, ha una radice storica, perché il Carnevale arriva tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, nel momento in cui si semina. Quindi questo gesto di lanciare la cioccolata è lo stesso gesto che fa il contadino nel lanciare il seme sulla terra. È un gesto propiziatorio della nuova vita e dell’arrivo della primavera” (IPCICU_CSCC_Fano_Y001). Gli addetti al getto, all’uscita dei carri, si posizionano nelle postazioni del getto. Durante il percorso cittadino delle sfilate, lungo viale Gramsci, sfilano i carri allegorici di cartapesta con gli addetti al getto che, per tutto il percorso durante il giro del getto, lanciano dolciumi sulla folla che attende numerosa ai margini del viale pronta a raccogliere i dolciumi tenendo in mano i prendigetto

  • OGGETTO carnevale di fano: rito del getto dei dolciumi
  • CLASSIFICAZIONE festa-cerimonia, saperi
  • LOCALIZZAZIONE Fano (PU)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE “Il Carnevale di Fano si è svolto in maniera praticamente ininterrotta dal XIV secolo ad oggi, a partire almeno dal 1347, anno in cui vengono registrate le spese sostenute dal Comune per comprare l’occorrente per “El giucho de Charnovale” cioè panni pregiati, spada, gallo ed altro per i vincitori del palio e speroni a guanti per “l’oftiale del comuno”. Una recente scoperta fatta da Giuseppina Boiani Tombari nell’Archivio Storico Diocesano di Fano consente però di anticipare in maniera consistente l’inizio della tradizione carnevalesca: si tratta di una pergamena datata 8 novembre 1231 relativa ad una controversia tra i rappresentanti della Chiesa Cattedrale di Fano e la famiglia Petrucci; nella sentenza il giudice intima ai perdenti di pagare alla Canonica una certa somma di denaro entro il “carniprivium proximum venturum” e questo dimostra che a quel tempo il Carnevale per i cittadini di Fano già era un riferimento temporale consolidato. E ancora, nell’Archivio di Stato di Fano sono conservati documenti ancora più antichi, a iniziare da una pergamena datata 11 luglio 1173. A confermare il radicamento della manifestazione, tra i tanti si possono citare due elementi riferiti ad epoche differenti: l’esistenza del nome proprio di persona Carnevale più volte registrato in manoscritti del 1343, 1344 e 1348; la creazione a partire dal 1871 di un organismo preposto specificamente alla sua gestione, la Società della Fortuna per i divertimenti carnevaleschi, la cui eredità è stata raccolta dal moderno Ente Carnevalesca” (Tosi, 2020). Caratteristica peculiare del Carnevale di Fano è il getto dei dolciumi. La prima testimonianza di questa usanza risale al 1710, quando secondo il Vescovo dell’epoca le ragazze da marito hanno cominciato a tirare confetti a chi loro piace per essere corteggiate. Si tratta di una tradizione che ebbe successo sin da subito perché, nel 1720, tra le altre proibizioni, viene imposto il divieto di tirar confetti nei luoghi sacri. Nel 1872 viene concesso solo il lancio di confetture buone, quelle di Benis, con il divieto di lanciare altro che possa arrecare danno come terra, aranci o altri pomi. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, le cronache riferiscono che venivano lanciati, oltre ai confetti, anche fiori sciolti o a mazzetti, pratica che venne abbandonata dopo la seconda guerra mondiale. “Il primo documento che dimostra la presenza di carri durante il Carnevale di Fano risale al 1711; in quella occasione, come scrive il Vescovo dell’epoca: “si ammaniva una bella e sontuosa mascherata di zitelle più dell’anno passato, e senza mascara ancora, e con Carri, Musici, istromenti e huomini ancora framischiati con le dette zitelle in officio di mazzieri, schiavi neri, e bianchi”; evidentemente erano utilizzati per il divertimento carnevalesco i carri adibiti agli usi quotidiani per il trasporto di persone e cose” (Tosi, 2020). In varie edizioni del Carnevale di fine Ottocento appaiono maschere sempre più complesse che sfilano su carri e carrozze. Nell’edizione del 1898 sfilano carri allegorici e carrozze mascherate insieme al concerto e cominciano a partecipare anche carrozze provenienti da lontano, prima da Pesaro e poi anche da Senigallia. Le sfilate degli inizi del 1900 si caratterizzano dalla presenza di carrozze che rappresentavano utensili da casa e animali. Lo sviluppo maggiore dei carri allegorici si ha a partire dalla metà degli anni Venti del Novecento e le allegorie trattano i temi più vari ma non si parla di politica fino al 1939, quando lo scoppio della guerra mondiale ne determinò la sospensione per ripartire nel 1947. “Con lo sviluppo economico degli anni successivi anche i carri allegorici diventano sempre più complessi ed imponenti, grazie all’attività dei maestri costruttori, tra i primi il maestro Fucci, autore anche del “Vulon”, la maschera che diventerà quella ufficiale del Carnevale di Fano” (Tosi, 2020). Con la ripartenza del Carnevale dopo il conflitto mondiale si comincia ad usare il traino meccanico dei carri. Le maschere pescano dal mondo dello spettacolo e dello sport con intenti educativi e sono realizzate da gruppi di quartiere, associazioni e soprattutto dalle scuole. A partire dalla seconda metà del 1900 le manifestazioni carnevalesche crescono. Ciò porta a raddoppiare il numero delle sfilate che a partire dal 1960 si svolgeranno anche nella domenica che precede il martedì grasso, una tendenza all’aumento che avrà ulteriori sviluppi nel decennio successivo quando le sfilate saranno portate a tre, come avviene tutt’oggi. Durante il Carnevale di Fano, in ognuna delle tre domeniche, i carri sfilano per viale Gramsci per tre volte. Il primo giro è quello di presentazione dei carri che, guidati dal pupo, avanzano sul viale accompagnati da musiche e coreografie. Finito il primo giro inizia il secondo con il rito del getto dei dolciumi e, in conclusione della giornata, c'è il giro della luminaria. Alla fine della terza giornata, per concludere il Carnevale, vengono lanciati i fuochi d'artificio. Il carro che chiude il corteo è quello della Musica #Arabita# (arrabbiata). La nascita dell’attuale Musica #Arabita# risale al 1923 quando alcuni cittadini ripresero antiche tradizioni. La tradizione vuole che alla fine dell’Ottocento vivevano a Fano due fazioni: i nobili ed i ricchi proprietari terrieri da una parte, gli operai ed i marinai dall’altra. Queste due fazioni si escludevano a vicenda. Nelle serate di gala in particolare i primi si dilettavano ad ascoltare opere musicali nei salotti pianoforte mentre i plebei ne erano esclusi. Fu proprio per l’esclusione del popolo da quei salotti, ma soprattutto per l’insofferenza del volgo per quella musica gentile e melodica che si ebbe la prima reazione. “Nacque così la Bidonata, una specie di complesso che traeva ritmi alla meno peggio da pentole, barattoli e bidoni. Ma quei giovani che percuotevano quelle strane casse armoniche, non avevano una disciplina e si curavano solo di satireggiare i delicati strumenti dei nobili. Fu così che sorsero i violini a sonagliera, i cembali di latta, i corni e cornette fatti con tubi di ferro. Ma a poco a poco, il gruppo di questi spensierati si assottigliò tanto che ad un certo punto si dissolse completamente. Proprio nel 1921, però, accadde che alcuni giovani ripensassero al passato e pensassero di far rivivere l’allegra tradizione. Al principio fu un periodo di stenti; poi, il gruppo si potenziò e quindi passò a rallegrare con i suoi ritmi tutte le città della Regione e poi a quelle internazionali. E così la Musica #Arabita# si sviluppò, adunò nuovi elementi, si organizzò al punto di portare in ogni festa, in ogni sagra, gioia e buonumore” (Tosi, 2020). “Per realizzare il carro allegorico, si comincia col disegnare, in modo più o meno particolareggiato, il bozzetto che servirà da modello per il pupo che si vuol costruire. I cantieri del Carnevale di Fano sono divisi, all'interno, da costruzioni in muratura chiamate "forni". Si tratta di ambienti alti 3,5 m, larghi 3 e lunghi 7. Nel loro interno si trovano due pali conficcati nel pavimento di cemento, ed è proprio su questi che si costruisce la sagoma del pupo mediante un'ossatura di legni inchiodati fra loro. Alcuni carristi, per meglio sostenere la creta, avvolgono la testa ed il corpo di tale struttura con reti metalliche, mentre altri piantano nei legni numerosi chiodi. L'argilla, che proviene dalla Fornace di Cuccurano, è costituita da "mattoni" che misurano, approssimativamente, cm. 38x24 e cm 5 di spessore, del peso di kg 10 l'uno, formati da due strati sovrapposti di kg 5. Essa viene posta sulla struttura, ovviamente a mano, e poi battuta, calzata con mazzoli di legno costruiti artigianalmente. A questo punto il pupazzo viene diviso con una serie di lamine metalliche, conficcate nell'argilla, in due o più sezioni. Tale accorgimento serve per staccare le varie parti di cartapesta dopo che si saranno asciugate. Ultimata la modellazione, sul pupazzo viene applicato - a pennello o spruzzato da un'apposita macchinetta - uno strato di scagliola liquida (tipo di gesso fine), necessario ad isolare la creta, che è umida, dagli strati di carta incollata che successivamente vi verranno calcati e che, se stessero a contatto con essa, farebbero più fatica ad asciugarsi. Si prepara la colla di farina e si tagliano i giornali. Per quanto riguarda la colla, il procedimento, di norma, è questo: si versa un pacco da kg 1 di farina in un secchiello con un po' d'acqua e la si scioglie con le mani in modo che non formi grumi; in un recipiente di metallo, in genere un normale bidone di pittura da kg 30, si versano circa 20 litri d'acqua e quindi lo si pone sul fuoco; quando l'acqua comincia a bollire si fa colare la mistura (per evitare i grumi sarebbe meglio filtrarla con una calza da donna) e contemporaneamente si mescola con un bastone. Allorché la colla sale si spegne il gas. L'indice della sua riuscita, più o meno buona, è dato dalla viscosità al tatto. In genere, qui a Fano, i pupi vengono ricoperti da uno strato composto da 4 fogli di carta di rivista incollati uno sopra l'altro, e poi, come rifinitura, di un secondo strato composto da 2 fogli di giornali quotidiani. Per quanto riguarda le riviste, sono preferibili quelle con carta non patinata, in quanto essa assorbe meglio la colla; lo strato da 4 fogli, che deve essere il più robusto, è formato dalle riviste, e non dai quotidiani, proprio perché la carta delle prime è più spessa e compatta di quella dei secondi. Terminata la fase della calcatura il pupo è pronto per essere asciugato. Secondo alcuni quest'ultimo è il procedimento migliore, in quanto consente alla colla di tirare, di solidificarsi durante la notte. Il forno viene fatto, di norma, con 8 stufe a gas, sistemate su 4 aste metalliche mobili: 4 parabole asciugano il davanti, 4 il dietro. Terminato il forno (il pupo è ben asciutto quando, tastandolo con le mani, si sente che la forma si è staccata dal modello) le lamine che servivano a sezionare il pupazzo vengono staccate e, con cautela, si procede a "tirar giù" le parti essiccate. Queste vengono appoggiate per terra: il loro interno, ancora umido, si deve asciugare da solo. Per non farle deformare, alcuni carristi usano fissarle con punti metallici su fogli di compensato; questi punti vengono dati su quella parte di carta che era debordata sulle lamine e che già di per sé contribuisce a far sì che la forma non tenda a curvarsi verso il suo interno. L'operazione successiva, una volta che le parti del pupo siano del tutto asciutte, è quella del montaggio. Preso un "murale" (piccolo travicello di legno largo cm 8 e spesso cm 3,5) alla sua sommità si inchioda un pezzetto di compensato; si prende la parte anteriore del pupo, ponendo l'interno della testa sul compensato che ha il compito di sostenerla, e quindi si fissa la cartapesta con dei chiodini, sotto cui si mette un pezzettino di cartone perché il chiodo non laceri la carta, o con dei punti metallici. È preferibile, per ragioni di robustezza, che il murale centrale sia disposto "a coltello", che si presenti, cioè, non in senso frontale ma in sezione. Per ciò che concerne il numero dei legni (i "rigoletti") occorrenti per l'intelaiatura interna, non vi è una regola precisa, ovviamente, ma si procede a seconda di come è fatto il pupo, se cioè ha le gambe unite o divaricate, se le braccia sono slanciate o unite al corpo, ecc. In genere, per quanto riguarda la testa, si mettono due legni frontali che puntano la cartapesta da tempia a tempia e da guancia a guancia, più altri due in senso longitudinale che puntano, uno dalla fronte, l'altro dal mento, alla corrispondente parte posteriore della testa. Fissato il davanti, si procede all'applicazione della parte posteriore. L'orlo ingrappettato viene quindi tagliato via e, man mano che si procede in tale operazione, si fa un taglio nella parte posteriore del pupo, si introduce il becco della cucitrice e si cuciono le due parti. Per una maggior robustezza e tenuta delle cuciture si usa ingrappettare un pezzetto di cartone all'interno del pupo nel punto dove avverrà la cucitura” (Deli)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Modulo informativo
  • AUTORE DELLA FOTOGRAFIA NE
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 11-ICCD_MODI_7081065408961
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ancona e Pesaro e Urbino
  • ENTE SCHEDATORE Comune di Fano
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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