pozzo, privato, Pozzo del Monastero degli Olivetani (prima metà SECOLI/ XVII)

Lecce, 1633 - 1633

Localizzato al centro del primo dei due chiostri del monastero, il pozzo-baldacchino è strutturato come una sontuosa architettura barocca in miniatura, il pozzo non fu concepito solo come un elemento funzionale alla vita quotidiana, ma anche come un luogo ad alta concentrazione simbolica; la sua decorazione è metafora dell’acqua e dei suoi benefici a vantaggio dei prodotti della terra. L’impostazione strutturale non può che riportare alla memoria quella dello splendido baldacchino monumentale della Basilica di San Pietro a Roma, opera del celebre architetto Gian Lorenzo Bernini; medesima è infatti la forma spiraliforme delle colonne, dette «salomoniche», ma di dimensioni notevolmente ridotte. Diversa è anche la scelta degli elementi naturalistici che decorano le spire delle colonne, a Roma tralci di lauro mentre a Lecce tralci di vite che rimandano al tema eucaristico. Le quattro colonne salomoniche, poggiate su basamenti quadrati e scolpiti a rilievo solo sulle facce esterne, sorreggono un ricchissimo fregio con cornice decorato a motivi fitomorfi e recante l’emblema dell’Ordine olivetano, al di sopra del quale una cupola ottagonale, simbolo della volta celeste, è sovrastata dal coronamento a forma di mitra, il solenne copricapo dei vescovi della Chiesa cattolica. Originariamente raccordati tra loro, i piedistalli su cui sono innestate le colonne sono ornati, sui due lati esterni, da una serie di rilievi scultorei a tema acquatico che oscilla tra sacro e profano. Più volte rappresentata è la figura di Posidone, dio del mare e personificazione delle acque primordiali, e quella del delfino, scolpito su tre delle otto facce dei piedistalli, figura simbolo della Terra d’Otranto, ma anche della Resurrezione di Cristo. Su una delle facce del primo basamento è rappresentato Posidone con il tridente che cavalca un delfino; accanto, sullo sfondo, un albero di pino, sacro al dio in quanto forniva il legno per la costruzione delle navi. Sull’altro lato, un delfino con coda vegetale è cavalcato da Tritone, figlio di Posidone, che soffia la buccina, un antico strumento musicale a fiato, qui in forma di conchiglia. Le immagini scolpite sul secondo piedistallo rappresentano, da un lato, una figura antropomorfa con coda di delfino che suona una cetra, uno strumento a corde risalente all’età classica; sull’altra faccia è illustrata la vicenda della figlia di Oceano, Anfitrite, che rifugiatasi da Atlante per sfuggire a Posidone, è scoperta da un delfino che la rende al dio perché diventi sua sposa. Sul terzo piedistallo tre figure, forse la prefigurazione delle tre Grazie, intrecciano una danza sulla superficie dell’acqua, mentre sulla faccia adiacente, un putto cavalca un festone sostenendo con una mano una coppa. Sull’ultimo piedistallo, trasportata da un carro a forma di conchiglia, è Galatea, spesso associata alla dea Fortuna. Accanto, una giovane figura con una mano rovescia il contenuto di un’urna e con l’altra sostiene uno scorpione, simbolo di morte e rigenerazione. Originariamente il pozzo, oggi obliterato, era collegato al grande ipogeo del monastero profondo 20 metri, il quale, essendo uno spazio naturalmente refrigerato, veniva utilizzato principalmente come contenitore delle derrate alimentari e delle cisterne d’acqua, tra cui una costituita ad anelli concentrici che la purificava dalle impurità; quest’ultima era anche sfruttata dai monaci nei mesi estivi come meta per trovare refrigerio dalla calura, diventando per l’occasione un vero e proprio ninfeo privato

LUOGO DI CREAZIONE

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