luogo con evidenze di frequentazione paleosuolo

Ceglie Messapica, PERIODIZZAZIONI/ Preistoria/ Paleolitico

Le prime indagini archeologiche condotte nel 1999 all’interno della grotta permisero di comprendere come essa si articolasse in due camere, denominate Settore Ovest e Settore Est, collegate da un piccolo ambiente intermedio, e si estendesse per una superficie totale di 110 metri quadrati. Ci si accorse ben presto di quanto questo sito fosse importante da un punto di vista archeologico, paleoecologico e paleoambientale nell’ambito del lontano Pleistocene superiore. Infatti, al suo interno sono stati messi in luce due livelli principali, come poi fu confermato nel corso di esplorazioni successive: uno di questi può essere interpretato come paleosuperficie frequentata da animali, di cui è stato riprodotto un calco attualmente esposto presso il Museo Archeologico e di Arte Contemporanea di Ceglie Messapica, l’altro invece reca evidenti tracce di frequentazione umana. Sono proprio i diversi resti animali ritrovati sulla prima paleosuperficie e riferibili alla specie Crocuta crocuta, ovvero alla iena maculata, che sarebbe vissuta nella cavità tra 60000 e 40000 anni fa, ad aver dato il nome al complesso carsico brindisino. Tuttavia, è stato verificato come questa stessa paleosuperficie, da cui provengono circa 4300 resti fossili pertinenti a diverse specie animali, fosse stata frequentata anche da altri carnivori (volpi, lupi) e come la cavità fosse stata occupata seppur saltuariamente dall’uomo. Pertanto gli archeologi nutrirono alcuni dubbi sull’ipotesi inizialmente formulata, secondo la quale la cavità sarebbe stata adoperata principalmente come tana delle iene, come indicherebbe per l’appunto il nome dato alla grotta. Le indagini di scavo condotte in tempi più recenti hanno ampliato lo stato delle conoscenze sulla stratigrafia delineata nella cavità. In particolare è emerso come il settore occidentale, dal quale proviene il più alto numero di resti ossei, sia stato colmato da un accumulo di detriti (rocce clastiche) tramite due sorgenti: un piccolo inghiottitoio posto in alto e un grande cunicolo laterale che si scorgeva verso Nord, inizialmente erroneamente interpretato come ingresso alla cavità. Il settore occidentale si distingue per tipo di formazione dal settore orientale, colmato da depositi di tipo vulcano-clastico, identificati come prodotti piroclastici dei Campi Flegrei riferibili probabilmente a due eruzioni precedenti l’Ignimbrite Campana (evento esplosivo di grande magnitudo). Essi sigillano in alto e in basso la paleosuperficie con resti ossei e la fermano in un arco di tempo esteso tra 60000 e 40000 anni fa, mentre nel settore occidentale il livello fossilifero è compreso tra 60000 e 20000 anni fa. In quanto ai resti animali documentati nei due settori si distinguono complessivamente uccelli, rappresentati da scarsi resti, micromammiferi in ridotto numero, numerosi resti fossili di lepre e ancora più corposi resti di volpe, seguiti da ossi di iena maculata associati a numerosissimi coproliti (feci fossilizzate), da più rari resti di lupo e di gatto selvatico. Modestamente presenti sono altresì i resti di cavallo selvatico, decisamente maggiormente presente rispetto all’asino europeo, accanto a numerosi resti di daino moderno e di grande bovino (uro), mentre si contano pochi esemplari di cinghiali, caprioli e cervi. Proprio sul fondo della cavità occidentale, a 50 centimetri più in alto rispetto alla paleosuperficie relativa alla frequentazione animale, furono delineate le tracce di attività antropica testimoniate dalla presenza di una vasta area di focolare, con numerosi carboni e scarsi resti di fauna in parte combusti, risalente, secondo le datazioni effettuate, a circa 20000 anni fa. Sulla base dei dati raccolti sino ad ora, le ossa animali, per lo più conservate in frammenti, in alcuni casi in parziale connessione anatomica, raramente interi o quasi, sembrano talvolta accumularsi in determinate porzioni della cavità, in conseguenza in parte di fenomeni legati al trasporto idrico, in parte perché intenzionalmente qui lasciati dai predatori e/o dall’uomo per il consumo: moltissime ossa non a caso presentano evidenti tracce attribuibili specialmente a predatori carnivori, mentre quelli combusti sono senza alcun dubbio riferibili alla frequentazione umana. Tuttavia, la presenza di carnivori all’interno della cavità non sembra essere dovuta esclusivamente alla loro cattura operata da parte dell’uomo. La presenza di lupo, volpe e iena, anche rappresentati da individui giovani, non recanti segni di macellazione sugli elementi post-craniali, avvalorano al contrario l’ipotesi di un uso della grotta di Tana delle Iene come tana o riparo delle stesse specie, che si alternavano al suo interno, oltre ad una minore e forse episodica frequentazione umana in tempi talvolta differenti

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