Campomarino, Arcora (insediamento villaggio)

Campomarino, Età del Bronzo finale fine

La località Arcora/Difensola si trova su di una piattaforma naturale poco lontano dal mare, delimitata a nord dal vallone Giardino, mentre lungo i margini SE ed E è difesa naturalmente dal costone che la separa dal mare. In base a recenti studi topografici e aereofotogrammetrici, emerge che questo costone corrisponde all’antica linea di costa, e pertanto, in età protostorica, l’abitato di Arcora doveva sorgere su di un altopiano che dominava il mare. Il terrazzo, quindi, occupava una posizione strategica, naturalmente difesa e in grado di assicurare il controllo sul mare e sulla foce del Biferno, fiume che, probabilmente solo in alcuni tratti, era navigabile e permetteva la comunicazione con l’immediato entroterra. Il sito è oggetto di scavi archeologici da parte della Soprintendenza del Molise dai primi anni ’80. Gli scavi hanno permesso di datare l’abitato ad un arco cronologico che va dall’Età del bronzo finale al VII secolo a.C., e comunque non oltre l’età arcaica, dal momento che non sono presenti dati relativi ai secoli successivi, né rioccupazione del sito in età medievale o moderna. Sono state riconosciute due fasi principali di occupazione, la prima tra VIII e VII, e l’altra tra VI e V secolo a.C. L’area di scavo è stata divisa in due settori chiamati “Zona A” e “Zona B”. Queste due zone corrispondono a due nuclei abitativi distinti, di cui, però, sono ancora da chiarire i rapporti di relazione che li coinvolgono. È chiamata zona A l’area situata nella parte sud-occidentale della piattaforma, mentre, zona B quella ai margini del costone parallelo alla linea litoranea. È stato indagato anche lo spazio intermedio tra le due zone abitative, quello maggiormente utilizzato durante l’ultima guerra, e che risulta privo di emergenze archeologiche significative. Quest’area doveva essere destinata a uso comune, e, probabilmente, riservata ad attività domestiche, come agricoltura e allevamento. La prima zona è la più antica, infatti, è stata datata al periodo tra l’Età del Bronzo finale e la prima Età del Ferro, mentre, la zona B, è ascrivibile al VII secolo a.C. Le capanne della zona A risultano maggiormente sconvolte dalle arature e mezzi meccanici, per tanto appaiono meglio leggibili gli strati più antichi. Dall’andamento delle buche per pali si deduce che la pianta delle capanne era di forma rettangolare con abside su uno dei lati più corti. Il piano interno delle capanne risulta scavato nel terreno vergine di circa 30 – 50 m, in modo da essere più basso rispetto al piano di calpestio esterno. In un caso, nella parte esterna dell’abside sono stati rinvenute tracce di caolino sottoforma di granuli bianchi, con funzioni di impermeabilizzazione. È documentata la scelta di due tipologie pavimentali, diverse per l’interno o l’esterno delle abitazioni. Infatti, il pavimento che si trova all’interno delle capanne è costituito da un battuto di argilla cotta, al di sotto del quale, a contatto con il terreno vergine, è stata notata la presenza di una sorta di “sottopavimento”, realizzato con lastre di pietra e ciottoli. La superficie esterna alle abitazioni è formata da un pavimento in terra battuta formato da ghiaia e ciottoli mescolati a ossa animali frantumate, relative a resti di pasto, e frammenti ceramici, per lo più di impasto grossolano. Nel piano interno erano ricavate fosse per l’alloggiamento di grandi vasi, ritrovati in situ, e, di solito, si trovavano disposti lungo tutto il perimetro interno dell’abitazione. Questi contenitori ceramici, per lo più grandi dolia, erano senza dubbio destinati allo stoccaggio di prodotti di genere alimentare. Infatti, al loro interno sono stati recuperati una grossa quantità di semi carbonizzati, relativi soprattutto al Triticum dicoccum, ma anche alla Vicia faba, la fava, al Hordeum vulgare, l’orzo, e a semi di acini d’uva selvatica. All’interno di una delle capanne è stata messa in luce una serie di fornelli stabili ricavati da muretti di argilla, che erano disposti intorno a piccole fosse, scavate al di sotto della quota pavimentale. In generale, in base agli strati di crollo, disposti lungo i margini, si ricavano dati sulle tecniche e i materiali utilizzati per la costruzione degli elevati. Infatti, per tutte le capanne sono documentate tracce di frammenti di intonaco, costituito da argilla depurata mista a paglia, che serviva a rendere i muri impermeabili. L’intelaiatura dei muri, costituita da pali infissi nel terreno, canne e paglia misti a fango, secondo la tecnica detta “a graticcio”, è leggibile dalle tracce in negativo conservate sui frammenti di intonaco del rivestimento esterno delle pareti, rinvenuti negli strati di crollo. Per il tetto, fatto di frasche e strame, invece, è attestato l’uso di uno strato di argilla, che serviva a renderlo impermeabile. Le capanne appaiono allineate tra loro e con l’ingresso orientato a E/SE, almeno per le fasi più antiche, dal momento che negli strati relativi alle fasi più recenti si nota una sovrapposizione di capanne con orientamento diverso. Nella zona B, invece, è documentata la presenza di una struttura difensiva, almeno per il tratto parallelo al mare, ma che, probabilmente, doveva continuare anche nel settore nord-occidentale. La fortificazione era costituita da un fossato ampio e poco profondo e da una palizzata, visibile nel terreno dalla presenza di buche per palo rinforzate da pietre. In fase con le buche per palo e con il fossato si rinvengono tracce di fuochi, che sono state messe in relazione con il complesso difensivo. I saggi eseguiti nella zona B hanno segnalato la presenza di un’unica struttura, di ampie dimensioni – lunga circa 40 m – e incassata nel terreno. Il suo pavimento è irregolare e formato da ciottoli, ossa e frammenti di ceramica frantumati insieme. L’andamento di questa struttura segue quello del costone, cioè ha un orientamento NE-SO. A ridosso di questa struttura è venuta in luce la sepoltura di un bambino, orientato SE-NO, deposto in posizione rannicchiata, e provvisto di corredo che ha permesso di datare la tomba al VI a.C. Inoltre, è stata segnalata la presenza nella zona di una fornace per ceramica, che lascia supporre la produzione in loco, elemento che, unito ai numerosi pesi da telaio rinvenuti, conferma l’esistenza di un gruppo di artigiani specializzati. La ceramica rinvenuta negli strati relativi alle abitazioni, è ascrivibile al tipo di impasto, di fattura grossolana, per i grandi contenitori; di argilla depurata, di tipo daunio; di impasto nero lucido per le forme da mensa. I materiali metallici, generalmente in bronzo, rinvenuti nello scavo sono in numero inferiore rispetto ai reperti ceramici, e generalmente appartengono a oggetti di ornamento personale, come anelli, braccialetti e fibule. Provengono dal sito anche parte di una spada di bronzo “a lingua di presa”, ascrivibile al “tipo Montegiorgio”, ricorrente nel Bronzo recente. Di particolare interesse, è un frammento fittile pertinente a un modellino di capanna , tipo diffuso in ambiente laziale durante l’Età del Bronzo. Provengono dallo scavo anche alcune figurine fittili antropomorfe e zoomorfe In base ai dati emersi dallo scavo si ricava che il sito viene abbandonato nel periodo tra VI e V secolo a.C., per motivi che sono ancora ignoti. Le cause dell’abbandono, probabilmente, sono da mettere in relazione con lo sviluppo di altri centri costieri

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'