Necropoli di Chiavari- STRATO F (luogo di attivita' produttiva salina)

Chiavari,

La necropoli dell’età del Ferro si impostava su due strati distinti, G e F, precedenti all’impianto del sepolcreto. In particolare lo strato F ha restituito migliaia di frammenti ceramici di impasto (cocciopesto), da subito distinti da quelli delle urne cinerarie dagli scopritori e attribuiti dagli stessi alla prima età del Ferro (Lamboglia 1960, p.120). In occasione di successive revisioni di questi materiali, dapprima Renato Scarani e Roberto Maggi individuarono analogie tra il materiale dello strato F e quello dei castellari della fine dell’età del Bronzo di Zignago e di Uscio (Scarani 1975; Maggi et alii 1983). A questi studi seguì quello più approfondito di Beatrice D’Ambrosio (D’Ambrosio 1987), la quale inquadrò definitivamente il materiale degli strati G e F tra il Bronzo Recente e il Bronzo Finale. La studiosa, analizzando la documentazione elaborata in corso di scavo (giornali di scavo, planimetrie e sezioni) evidenziava la lacunosità di questa in relazione allo strato F (D’Ambrosio 1987, p.10) e pubblicava una pianta di distribuzione dello strato dalla stessa considerata non esaustiva (D’Ambrosio 1987, p. 10 e fig. 1). Lo stesso Lamboglia, d’altro canto, sin dalla I campagna rivelava che lo strato di cocciopesto non si potè esplorare e ricuperare con la dovuta completezza (Lamboglia 1960, p.120). L’accumulo di reperti ceramici dello strato F, considerati da Lamboglia coevi alla necropoli, venne dallo studioso interpretato come un riempimento artificiale (cocciopesto), posto in opera utilizzando scarti di fornace asportati da un sito non lontano allo scopo di drenare l’area e installare la necropoli su terreno asciutto (Lamboglia 1960, p.120-122). Negli studi più recenti, la constatazione della quasi totale assenza di classi di materiali tipici di un abitato (macine, fusaiole, ceramica fine, scorie di fusione ecc.), supportata dall’evidenza che alla fine dell’età del Bronzo, periodo cui i reperti vanno attribuiti, il mare arrivava nei pressi del sito (Del Soldato 1988), hanno indotto ad interpretare questo come approdo (D’Ambrosio 1987; D’Ambrosio, Maggi 1987; Maggi 1998; Maggi c.s.). Risulta preponderante la presenza di olle ovoidi o cilindro-ovoidi di impasto rosso-bruno spesso decorate con cordoni plastici orizzontali o file di impressioni sotto l’orlo, con superfici sommariamente steccate, cui si associano, seppur in limitata quantità, vasi biconici e ciotole/tazze con decorazione di tipo protovillanoviana, fornelli fittili, a volte di grandi dimensioni, sia a piastra rialzata sia a piastra piana, coperchi ed ollette ad orlo rientrante (calderoni). L’osservazione dei tipi ceramici attestati, messa in relazione alla descrizione degli strati di provenienza, richiama contesti di recente scoperta. Si tratta di siti databili al Bronzo Finale e Primo Ferro che occupano principalmente le aree costiere medio-tirreniche tra la Toscana e la Campania ubicati lungo la fascia litoranea, in zone lagunari o in prossimità di risorse idriche prospicienti il mare. Questi complessi, caratterizzati dalla presenza di accumuli di frammenti ceramici riferibili a grandi contenitori di forma cilindro-ovoide, per lo più olle con cordoni plastici, sono comunemente denominati “giacimenti di olle ad impasto rossiccio”; questi, che si trovano sulla riva marina nelle immediate vicinanze di aree di focolare, sono stati messi in relazione ad insediamenti a destinazione produttiva specializzata. Si tratterebbe di siti in cui le condizioni erano tali da consentire uno sfruttamento intensivo delle risorse del mare ed in particolare è stata ipotizzata la produzione di sale ottenuto per ebollizione, la salagione del pesce o comunque la trasformazione del pescato (Di Fraia, Secoli 2002; Belardelli, Trucco, Vitagliano 2008, con bibliografia precedente; Benedetti, Capuzzo, Fontana, Rossi 2010; Livadie, Arcuri, Sacarano, Verrore 2010). Gli accumuli descritti da Lamboglia, quasi privi di sedimento terroso, possono essere quindi interpretati come possibili scarichi analoghi a quelli documentati nei “giacimenti di olle ad impasto rossiccio” (Barbaro, Campana, Chella, c.d.s)

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