Piana di San Martino (sito pluristratificato)

Pianello Val Tidone, post 1650 a.C - ca 1691

Il sito conserva testimonianza di diverse fasi di frequentazione e di occupazione, pertinenti a due periodi ben distinti. Un primo periodo è riconducibile a epoca pre-protostorica, con testimonianze databili all’età del Bronzo e all’età del Ferro, un secondo è iniziato in età tardoantica e si è articolato lungo l’arco di tutto il Medioevo con attestazioni di frequentazione anche in tempi moderni. Oltre alle evidenze emerse a seguito degli scavi, si possono osservare altre attestazioni di frequentazione come le numerose rocce con tracce di fori per palificazioni e di gradinate scalpellate nella pietra, visibili tra la vegetazione boschiva. Per quanto al momento non siano stati realizzati una mappatura e uno studio organico di tutte queste evidenze, la loro disposizione lungo i limiti dei versanti naturali che definiscono il pianoro sommitale del Monte S. Martino, consente d’ipotizzare che si tratti dei resti del sistema difensivo dell’antico abitato. La fase pre-protostorica è testimoniata da un’ingente quantità di reperti, per la maggior parte ceramici, rinvenuti sia in un saggio sulle pendici settentrionali del pianoro sia all’interno della stratigrafia del sito pluristratificato di età tardo antica e alto medievale. La giacitura caotica dei reperti nel terreno eroso e ridepositato e la decontestualizzazione di quelli individuati sul pianoro hanno inizialmente consentito uno studio di natura crono-tipologica, che ha portato all’individuazione di due distinti orizzonti cronologici, il più antico riferibile al Bronzo Finale e uno più recente databile all’età del Ferro. Solo in una limitata porzione del sito indagata in profondità, si sono rinvenuti strati e buche di palo riconducibili all’occupazione del pianoro in queste prime fasi. L’analisi dei dati acquisiti e lo studio dei materiali consentono di ipotizzare che l’area sia stata oggetto di frequentazione, proprio per la sua posizione strategica, già nel Bronzo Medio e Recente, quindi nel Bronzo Finale. A partire dal VI sec. a. C. è testimoniata una nuova fase di vita, confermata dalla presenza di bucchero, di ceramica a stralucido e di ceramica depurata etrusco-padana. Alla Seconda età del Ferro si datano alcune olle ovoidi e situliformi con decorazioni a incisione o a impressione sulla spalla. L’insediamento oggetto d’indagine sul pianoro, attestato da strutture murarie pertinenti a diversi edifici, è riconducibile a diverse fasi di occupazione che, dall’età tardo antica, si distribuiscono su un ampio arco cronologico fino all’età moderna. I settori indagati (Saggio 1, Saggio 4, San Martino Piccolo e San Martino Piccolo Base) offrono dei focus su singole porzioni dell’insediamento. Il Saggio 1 interessa un’ampia area collocata al centro del pianoro principale, dove sono emersi strutture e piani riconducibili a un settore a destinazione abitativa. Sigillati da uno strato databile alla fine del primo millennio sulla base dei materiali contenuti, sono tornati alla luce i resti di ambienti, che si articolano intorno ad una probabile area aperta. Gli ambienti sono delimitati da muri, costruiti con pietre legate con malta e disposte a formare paramenti esterni regolari, colmati da pietre e legante in disposizione caotica. I muri di questa fase, databili in età tardo antica (fine IV-inizi V sec. d. C.), presentano trincee di fondazione regolari, talora ricavate nella roccia affiorante. All’interno dei vani sono emersi piani pavimentali caratterizzati inizialmente dall’utilizzo della semplice terra battuta, poi sostituiti da strati di terra e pietre costipate. A questa prima occupazione si data una cisterna a pianta rettangolare, suddivisa in due vani da una parete dotata di un arco passante a tutto sesto (h. max. 1,45 mt.). Uno strato di cocciopesto impermeabilizzante riveste le pareti e il fondo, la copertura era costituita da una volta a botte, il cui crollo ha sigillato la struttura. Uno dei due vani interni ha restituito, sopra al crollo di parte del rivestimento, tracce di una rioccupazione per fini abitativi. Con la destinazione abitativa di questo settore del villaggio tardoantico si accorda anche la presenza, in prossimità del vano 3, di una struttura con fondo realizzato con un doppio strato di tegole, forse interpretabile come un forno per la tostatura dei cereali, o come un silos oggetto di incendio. Una fase di occupazione di età gota è indiziata da alcuni strati di ripavimentazione degli ambienti e dell’area esterna, che hanno restituito materiali datanti quali un quarto di siliqua con il busto dell’imperatore Atanasio (recto) e il monogramma di Teodorico (verso) e un 15 nummi di Teodato. Alla fine dell’età gota si riscontra il crollo delle strutture, e in seguito si assiste a un riutilizzo delle stesse per la costruzione di case in materiale deperibile. Le case avevano struttura portante costituta da pali in legno, indiziati dalla presenza di buche di palo prevalentemente in corrispondenza degli incroci tra i muri o lungo il loro perimetro interno; le strutture murarie preesistenti sono state parzialmente smontate fino a lasciare una sorta di zoccolo di circa 50 cm.. Le pareti erano realizzate con elementi vegetali rivestiti in argilla. Dagli strati di vita associati alle buche di palo, sono stati recuperati reperti inquadrabili cronologicamente in epoca longobarda, tra cui contenitori in ceramica comune integri, due elementi ornamentali per cintura in osso lavorato e decorato da teste stilizzate di rapaci, attrezzi in ferro quali falcetti, asce, scalpelli, un piccone, anelli di grandi dimensioni, una sega e un filo a piombo. Questa fase è sigillata da uno strato di crollo connotato dalla presenza di argilla concotta e carboni, tali da indurre a ipotizzare un diffuso incendio. Un rinvenimento eccezionale, avvenuto in un’area esterna aperta, è una colonna dell’altezza di mt. 2,50 circa, in marmo grigio chiaro con venature di colore grigio scuro tendente al blu, completa di collarino. I dati relativi al suo ritrovamento non permettono di precisarne né la cronologia, né le modalità di utilizzo, la lavorazione accurata induce a ipotizzarne la provenienza da un diverso edificio, forse quello presente nel saggio 4. Una serie di sepolture a inumazione prive di corredo, attesta la presenza di un’area di necropoli che nelle diverse fasi ha assunto contorni e estensione diversa, fino ad occupare buona parte del settore del Saggio 1 in un periodo successivo alla fine del primo millennio. Una decina di mt. più a nord, in prossimità del limite nord-occidentale del pianoro principale, nel saggio 4 sono stati riportati alla luce i resti di un edificio costruito utilizzando blocchi squadrati di pietra locale, legati con malta. La pianta, di forma quasi quadrata, mostra un profilo esterno molto semplice, mentre è maggiormente articolata all’interno. L’edificio reca testimonianza di diverse fasi edilizie, che pur rispettando in larga massima lo sviluppo planimetrico esterno, hanno comportato totali mutamenti di asse. In una delle fasi, ancora da circostanziare cronologicamente, si colloca l’edificio absidato orientato dotato di sette absidi o nicchie, ricavate nello spessore dei paramenti murari perimetrali. In corrispondenza dell’abside principale, sul lato est, è conservato in posto un grande blocco di pietra sagomato, che costituì probabilmente il piano di appoggio per un altare. In posizione a esso antistante sono stati rinvenuti i basamenti di due colonne (o pilastri), forse destinati a sorreggere il sistema di copertura. L’edificio interpretabile, almeno in questa fase, come chiesa è stato costruito in parte sfruttando il sottostante banco di roccia naturale, in parte obliterando i resti di un edificio precedente, del quale si sono conservate solo esigue tracce, pertinenti alla fondazione di un muro e alcuni tratti di pavimentazione in cocciopesto. Diverse tombe non ancora scavate sono state individuate lungo il versante che scende immediatamente a nord dell’edificio e altre a sud e a ovest. Sul lato est è presente un affioramento roccioso, che reca numerose tracce di lavorazione, tra cui una sorta di vasca sub-rettangolare, di cui non è stato ancora possibile determinare con certezza né la datazione, né la funzione, ma che potrebbe essere stata realizzata già in epoca protostorica e successivamente riutilizzata. Procedendo ulteriormente verso est, il pianoro si eleva bruscamente lungo un costone roccioso che conduce al settore denominato S. Martino Piccolo, costituito da una propaggine su cui sorge un edificio, di cui restano strutture murarie riconducibili a almeno tre macrofasi. Un primo edificio a pianta rettangolare è stato trasformato in una seconda struttura con il lato orientale absidato e paramenti murari possenti, realizzati mediante l’utilizzo di grandi blocchi di pietra scalpellati, squadrati e posti in opera adattando il sottostante banco di roccia naturale. Una descrizione di maggior dettaglio è proposta nella relativa scheda CA. Ai piedi delle rocce su cui sorge l’edificio di S. Martino Piccolo, verso ponente, nel settore denominato S. Martino Piccolo Base è presente un altro edificio, delimitato a ovest e a sud da due muri, tra di loro perpendicolari edificati utilizzando blocchi di pietra di grandi dimensioni squadrati e scalpellati. I lati nord ed est sono definiti dal banco di roccia naturale. Anche questo edificio presenta diverse fasi riconoscibili sia da ripristini delle tessiture murarie, sia dalla stratigrafia individuata all’interno e all’esterno. Alcuni elementi, tra cui due monete bronzee riconducibili agli ultimi secoli di vita dell’Impero Romano inducono a supporre che la prima fondazione sia avvenuta in età tardoantica. All’interno dell’edificio è stata recuperata una serie di attrezzi metallici in gran parte in ferro: un’ascia, scalpelli, numerosi coltelli, un’ingente quantità di chiodi e di borchie, serrature e chiavi, ganci pertinenti a bauletti, una staffa, fibbie di grandi dimensioni, catene da camino, palette, una bilancia completa di piatti, una grande pentola in pietra ollare. La presenza di questi reperti, che suggeriscono di datare il crollo della struttura al basso medioevo, consente di ipotizzare che l’ambiente avesse anche funzione di deposito

  • OGGETTO sito pluristratificato
  • MISURE Circonferenza fianchi: 25275.84 mq
    Lunghezza: 195 mt mq
    Larghezza: 480 mt mq
  • LOCALIZZAZIONE Pianello Val Tidone (PC) - Emilia-Romagna , ITALIA
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Se da un lato le fonti riportano poche testimonianze utili a ricostruire la storia della Piana di S. Martino, dall’altra le notizie relative a Roccapulzana, offrono un quadro più definito. Studi su documenti conservati presso l‘archivio della Cattedrale di Piacenza hanno consentito di ricostruire le vicende dall’alto Medioevo all’epoca moderna. Le più antiche attestazioni dell’esistenza del sito identificato con il toponimo Ponziano o Castro Ponziano, risalgono IX sec. Il primo documento, datato 801, riporta le disposizioni di Alerissio per la salvezza della sua anima e precisa che i suoi beni ubicati nelle località di Casturzano e Nandolessi sono assegnati alla chiesa dei Santi Fermo e Rustico, le cui proprietà sono poste in locus ubi dicitur Pontjano. Nell’816 da Castello Pontiano, proviene Adelperto, testimone ad una donazione nella vicina località di Morasco ad opera di Walperto, a favore della nipote Lea. Il culto di San Martino, ricordato dall’attuale denominazione del sito, è menzionato in una cartula venditionis del 1033, con la quale Cuniza, di legge longobarda, vende a Paterico-Amizone, il fundo Ponziano. La professio legis di Cuniza riconduce a un’antica origine longobarda della famiglia. Il testo precisa che il castro era circondato da un muro e dotato di una torre e di una cappella dedicata ai Santi Giorgio e Martino. L’ubicazione del castro è confermata dalla menzione di pertinenze dislocate nella media valle del Tidone. La cartula è pubblicata da Bougard, che propone anche l’identificazione di varie località citate alle attuali località di Valle, Groppo, Corticelli, Strà, Gabbiano, Morago, Tassara, Monte Aldone e Rocca d’Olgisio. Poco dopo Gherardo, prete di S. Maria in Gariverta, vende a Teodosio, la Rocca d’Olgisio e nel 1037 questi la donò al monastero di San Savino di Piacenza con una ventina di paesi e castelli, tra cui Rocca Pulzana. Almeno da questo momento il destino di Roccapulzana sembra legato a quello della Rocca d’Olgisio secondo quanto riportato dagli storici locali. Il monastero di San Savino ne mantenne le proprietà fino al 1297, quando ne decise la cessione a Raimondo di Pietratigia e a Umberto di Campremoldo. Nel 1326 Dondazio, Paolo e Bronzio Della Rocca tenevano la Rocca d’Olgisio per conto della Chiesa. Azzone Visconti tentò di impadronirsene inviando un esercito al comando di Manfredo Landi, ma fu sconfitto per l’intervento degli ufficiali del papa di stanza a Piacenza. Nel 1351 Bernabò Visconti, con l’approvazione dello zio Giovanni, arcivescovo di Milano, riuscì finalmente ad acquistare la Rocca d’Olgisio da Paolo e Bronzio Della Rocca. Il territorio passò quindi ai beni della Camera Ducale milanese che, pur mantenendone i diritti, l’affidò in feudo ai Dal Verme. Alcune visite pastorali riportano brevi notizie sull’Oratorio di San Martino. La prima risale al 2 settembre 1573, effettuata dal vescovo Burali: viene visitato un oratorio «Divi Martini», in località Rocca Pulzana. L’oratorio, che ha un reddito annuo di ottanta lire, presenta una «recta structura» costruita «lapidibus quadratis», ossia blocchi di pietra locale ben lavorati e legati da sottili strati di malta, come del resto conferma il dato archeologico. Una parte dell’edificio però «indiget reparatione»: viene dunque impartito l’ordine che entro due mesi l’oratorio sia sistemato, ristrutturato e anche degnamente custodito. Sono queste le prime testimonianze scritte dirette che attestano l’esistenza e l’utilizzo di una struttura religiosa, ancora in uso nei secoli XVI e XVII. La seconda visita pastorale risale al 26 agosto del 1579, ordinata dal vescovo Giovan Battista Castelli. Viene descritta brevemente la condizione in cui si trovava la struttura, un oratorio «sub nomine Sancti Martini, situm in monte alpestri», utilizzato per celebrare la messa in onore del Santo una volta l’anno. Vi si trovava un altare definito «inabile et non aptum» ad una celebrazione liturgica decorosa e degna e di altri due altari minori in uno stato di conservazione estremamente degradato. Sopra all’altare principale, in prossimità della riva scoscesa, un arco di sostegno della copertura a volta che riportava tracce di decorazioni «qui egent restauratione»” e di interventi conservativi, essendo gli strati pittorici «decrustati». Si viene inoltre informati che «adsunt etiam duae aliae capellae, sine altaribus et sine titulis, de quorum una est imagine Beatae Verginis depicta»; l’altra cappella non ha decorazioni e è del tutto scrostata. Nell’oratorio compare un sacrario sul lato destro dell’altare maggiore, costruito sopra una colonna e «Adest vas acquae benedictae in forma quadrangolari constructum et in pariete oratoris defixum». La copertura dell’intera struttura era voltata, la pavimentazione era prevalentemente in pietra
  • TIPOLOGIA SCHEDA Siti archeologici
  • INTERPRETAZIONE I dati relativi alla frequentazione della Piana di S. Martino consentono di evidenziare come, dopo sporadiche tracce di frequentazione già nel Neolitico e nel corso del Bronzo Antico, Medio e Recente (2300- 1200 a.C.), il popolamento del sito divenne più consistente nel Bronzo Finale (1200- 900 a.C.). Questa fase è caratterizzata da materiali riconducibili alla cultura protoligure, che documentano l’esistenza di capanne abitate da pastori-agricoltori, la cui economia era legata all’esercizio della caccia, dell’agricoltura e soprattutto della pastorizia, con conseguenti attività di lavorazione del latte e filatura e tessitura della lana. Le attestazioni dell’età del Ferro, databili a partire dal VI secolo a.C., sono inquadrabili in ambito culturale ligure, anche se non mancano indizi di contatti con altre genti, come indicano in particolare alcuni frammenti ceramici di origine etrusco-padana e, per un periodo successivo (II-I sec. a.C.), un lacerto di armilla in vetro color porpora e una dramma insubre, con testa di Diana efesina, di matrice celtica. Il sito s’inquadra nel territorio piacentino in una rete d’insediamenti databili all’età del Bronzo Recente e Finale e all’età del Ferro in ambito appenninico occidentale. I ritrovamenti di età preromana indicano il delinearsi di un’area a connotazione culturale ligure, in cui si riscontra, lungo le valli appenniniche, l’esistenza d’insediamenti in grado di garantire un esteso controllo visivo e una maggiore difendibilità. Lo studio di forme e motivi decorativi evidenzia riscontri nei repertori della Liguria di Levante, del Piemonte meridionale, e della Toscana settentrionale. I confronti tra reperti dal Piacentino e dalla Garfagnana sono evidente spia di un’importante direttrice che tramite l’entroterra spezzino collegava il versante emiliano con quello ligure e toscano, fino ai centri dell’Etruria settentrionale. Meglio indagate e quindi ancor più significative, sono le testimonianze del secondo periodo d’insediamento riconducibili a un villaggio fortificato che, per essere meglio compreso, deve essere inserito nel contesto circostante. La particolare geomorfologia del territorio ha offerto al sito, oltre a una naturale protezione grazie ai ripidi pendii, anche la presenza lungo tutto il crinale di affioramenti rocciosi che si sono prestati alla creazione di un sistema di difesa testimoniato dalla presenza di numerosi fori per palificazioni e di gradinate scalpellate nella roccia. Le testimonianze di questo periodo riconducono a un insediamento fortificato d’altura, il cui impianto, ascrivibile alle ultime fasi dell’impero romano d’occidente sulla base dei reperti rinvenuti, trova una ragione d’essere nelle esigenze di difesa del territorio in un periodo d’instabilità, e in una conseguente riattivazione di percorsi viari di età pre e protostorica. I reperti fino ad ora individuati testimoniano particolarmente le fasi tra la fine del IV e gli inizi del V sec. e riportano alle dinamiche belliche tra Goti e Bizantini durante la guerra greco-gotica e lo scontro tra Bizantini e Longobardi. La tipologia delle strutture riscontrate con la presenza di una grande cisterna, capace di garantire una certa autonomia anche nell’impossibilità di raggiungere in sicurezza i torrenti e le valli contermini, e di vie d’accesso obbligate e munite, suggerisce d’ipotizzare sulla Piana di San Martino un insediamento confrontabile con quei castelli di prima generazione promossi con finalità strategiche dall’autorità statale in collaborazione con le comunità locali, a partire dagli inizi del V sec. d.C. Eccezionale per il contesto è il rinvenimento di 5 pesi monetali, individuati all’interno di un’ara artigianale riferibile alla presenza di un fabbro. La casa in legno dove si svolgeva l’attività del fabbro ha restituito una serie di oggetti in ferro che riportano ad una datazione in età longobarda. Gli oggetti sono riconducibili ad attività economiche come il taglio e la lavorazione del legname, incentrate sullo sfruttamento delle risorse del bosco, mentre minore è la presenza di attrezzi legati alla lavorazione della terra. Per quanto concerne l’età longobarda, è evidente un legame con il monastero di S. Colombano a Bobbio, testimoniato da recenti ritrovamenti di laterizi riconducibili a tale contesto. La distruzione delle case longobarde in legno e argilla sulla Piana di S. Martino sembra stata determinata da un incendio improvviso. La vocazione difensiva, cui si deve l’origine dell’insediamento, è confermata dalla toponomastica dell’abitato di Roccapulzana, che ha raccolto in epoca tardomedievale e moderna l’eredità dell’insediamento, privilegiando la prossimità con la via che conduce da un lato a Rocca d’Olgisio, dall’altra al torrente Chiarone. Il toponimo è attestato nei documenti d’archivio a partire dall’816 d.C., quando castello Pontiano è citato come luogo d’origine di un testimone di una donazione dell’816 nella vicina località di Morasco. Un documento del 1033 ricorda presso il fundo Ponciano, la presenza del Castro e di una cappella dedicata ai SS. M…, Giorgio e Martino. Potrebbe trattarsi di una presenza coincidente con la seconda evangelizzazione del territorio piacentino avvenuta, soprattutto per quanto riguarda i territori della montagna, grazie all’opera dei monaci bobbiesi. Dopo la fine del primo millennio sembra che la frequentazione dell’antico insediamento sia limitata a ragioni religiose, collegate all’esistenza della chiesa. Le fasi bassomedievali di frequentazione del sito non sono ancora del tutto note, ma il perdurare del culto presso la chiesa sembra attestata da una placca bronzea, a forma di ogiva, che reca l’effigie di una Madonna in trono con il Bambino in braccio. Un’iscrizione, conservata parzialmente, che corre sul limite esterno del pezzo, consente di ricollegare il manufatto al santuario di Santa Maria de Rocamador. Un significativo numero di monete attesta una frequentazione dal XII al XVI secolo con nominali emessi da città come Piacenza, Milano, Como, Genova e Urbino. Questi dati sono suffragati nei resoconti delle visite pastorali tra il 1573 e il 1691, da cui risulta che la chiesa era ancora officiata in occasione di alcune festività religiose
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800677055
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Parma e Piacenza
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Parma e Piacenza
  • DATA DI COMPILAZIONE 2019
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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