La festa di Sant'Antonio Abate ad Ateleta (AQ)
Su gentile concessione dell'autrice dell'immagine
Sveva Mannella, Il fuoco di Sant’Antonio in Piazza Carolina , 2020, fotografia digitale
Ad Ateleta in occasione della festa di Sant’Antonio Abate si allestiscono due grandi falò, uno nella parte bassa del paese (Piazza XX Settembre) e l’altro nella parte alta (Piazza Carolina). La festa è costituita da alcuni elementi caratteristici, che hanno avuto differenti evoluzioni nel corso del secondo Novecento: la benedizione degli animali, la sfilata delle maschere a cavallo (la festa di Sant’Antonio coincide con l’inizio del tempo di Carnevale), l’allestimento dei fuochi rituali. Con la progressiva dismissione delle attività agropastorali la benedizione degli animali, un tempo riservata agli animali di allevamento, è stata progressivamente riservata agli animali da compagnia.
La sfilata a cavallo, caratterizzata dalla partecipazione ampia e spontanea della comunità, tende oggi a ridursi ed è curata dal Comitato Festa di Sant’Antonio Abate e dalla Proloco; partecipano alla sfilata coppie mascherate a cavallo; la maschera rievoca costumi settecenteschi e ottocenteschi, e forse quest’uso è da ricondursi alla celebrazione della fondazione del comune, avvenuta nel 1811 ad opera di Giuseppe De Thomasis, commissario di Gioacchino Murat. Mentre fino al secondo dopoguerra le coppie erano composte esclusivamente da uomini (pur rappresentando un uomo e una donna), dagli anni Sessanta anche alle donne viene permesso di partecipare alla sfilata.
Permane l’allestimento dei fuochi rituali, ma la raccolta del legname è curata dal Comune e dalla Proloco, mentre in passato i fuochi erano allestiti dai gruppi di quartiere e la raccolta della legna era affidata ai ragazzi del paese.
È stato invece del tutto sospeso, dalla fine degli anni Settanta, il rituale del “maiale di Sant’Antonio” (localmente “j’ purchitt’ de Sant’Antonio”): nei mesi di settembre-ottobre veniva scelto un maialino, poi lasciato libero di girare nel paese e nutrito da tutta la comunità perché potesse ingrassare; questo maialino veniva poi venduto all’asta e il ricavato serviva ad organizzare la festa. Perché questo maialino fosse riconoscibile e potesse dunque circolare liberamente per il paese, si provvedeva a tagliargli il lembo di entrambe le orecchie: le fonti orali raccolte rilevano che la protesta di gruppi di animalisti, in seguito alla diffusione di un documentario RAI (C. A. Pinelli, A. M. Cirese, Le Indie di quaggiù, 1978), hanno impedito il mantenimento di questa usanza, mai più ripresa in seguito.