La Grande Piramide e la Sfinge

positivo, post 1860 - ante 1870

Il positivo all'albumina è incollato su supporto secondario di cartoncino

  • OGGETTO positivo
  • SOGGETTO Archeologia - Egittologia
    Architettura - Archeologia egiziana - sec. 26. a.C
    Egitto - Governatorato di Giza - Grande Sfinge
    Fotografi - Regno Unito - Sec. 19. - Frith, Francis <1822-1898>
    Architettura - Complessi monumentali - Necropoli di Giza
    Egitto - Governatorato di Giza - Grande Piramide
  • CLASSIFICAZIONE DOCUMENTAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO, FOTOGRAFIE ARTISTICHE
  • ATTRIBUZIONI Frith, Francis (1822-1898): fotografo principale
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Biblioteca dell'Accademia Albertina di Belle Arti
  • LOCALIZZAZIONE Accademia Albertina di Belle Arti di Torino
  • INDIRIZZO via Accademia Albertina, 6, Torino (TO)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE La fotografia in esame è stata ripresa da Francis Frith tra il 1856 e il 1860 durante uno dei viaggi in Egitto che lo portò a girare lungo il Nilo dal Cairo fino ad Abu Simbel (BIBH: AAB_0012). Si tratta di una stampa all’albumina tratta da un negativo su lastra al collodio umido, che mostra “La Grande Piramide e la Sfinge”. CONTESTO. Il positivo appartiene alla Raccolta Luigi Belli, come testimoniato dal timbro con il relativo monogramma, LB, presente sul verso del supporto secondario. Luigi Belli (Torino, 1848-1919), è stato scultore e professore di scultura all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino dal 1885 al 1915 (BIBH: AAB_0015). Questa raccolta, che consiste di circa 70 positivi su carta, è stata messa insieme da Luigi Belli e da lui utilizzata per fini didattici. I soggetti raffigurano principalmente vedute architettoniche e sculture (BIBH: Ibidem). Dopo la sua morte, la raccolta fotografica, che era stata custodita presso l’aula del docente presso l’Accademia Albertina, diviene oggetto di una contesa con gli eredi, conclusasi probabilmente nel giugno 1922 (BIBH: Ibidem). DESCRIZIONE. All’interno di questa raccolta, sono presenti 4 positivi di Francis Frith (v. NCTN: 0100442253; 0100442255; 0100442256). Presentano tutti un numero ms. a caratteri fotografici sul supporto primario nell’angolo inferiore sinistro. Come apprendiamo dalla scheda redatta dal Victoria and Albert Museum relativa ad un altro positivo con lo stesso soggetto (BIBH: AAB_0021), le stampe di Frith sono state offerte al V&A dalla casa editrice “F. Frith and Co.” intorno al 1953 e, grazie alla corrispondenza relativa all’acquisizione, sappiamo che i positivi erano conservati presso la F. Frith and Co. entro classificatori in ordine numerico. La numerazione serviva per recuperare agilmente il negativo corrispondente, alla stregua di quanto facevano altri fotografi editori (si pensi ai Fratelli Alinari, Brogi, ecc.). Tale numerazione, come confermato dalla dott.ssa Julia Skinner, Photo Library Manager della The Francis Frith Collection, venne iscritta sul negativo dalla casa editrice “F. Frith and Co.” stessa e non da Francis Frith in persona (quelle scritte di pugno dal fotografo stesso presentano la firma in corsivo con una scrittura molto sottile, a volte corredata da un numero e/o dall’anno). Frith fondò la casa editrice nel 1860, quando si rese conto dei profitti che potevano scaturire dalla pubblicazione e vendita delle sue immagini (BIBH: AAB_0011). A riprova di quanto detto in merito alla numerazione delle lastre, notiamo che una copia dello stesso positivo custodita presso The J. Paul Getty Museum, datata 1857, (BIBH: AAB_0017), nonché altri positivi con soggetti relativi allo stesso viaggio la cui datazione è attribuita nel primo caso al 1857, mentre nel secondo tra il 1858 e il 1859 (BIBH: AAB_0013, AAB_0014), non presentano questo numero sul recto dell’immagine. In considerazione della presenza di questo numero nel positivo in esame, ritengo che possiamo attribuire una datazione post 1860. Per quanto riguarda la descrizione del soggetto del positivo in esame, possiamo leggere direttamente le parole di Frith per un altro scatto alla Grande Piramide e alla Sfinge (BIBH: AAB_0014, vol. 1, c. 21): “Il giorno e l'ora nella vita di un uomo in cui ottiene per la prima volta una veduta delle «Piramidi», è un tempo che va avanti per molti anni a venire; si avvicina, per così dire, alla presenza di un'immortalità che si è vagamente mescolata ai suoi pensieri fin dall'infanzia, ed è stata per lui inconsciamente una forma essenziale e bella, e il mistero più maestoso mai creato dall'uomo. «Le Piramidi» per eccellenza (poiché ce ne sono molte di grandezza inferiore nelle vicinanze, come quelle di Saccara e Dashour) sono situate quasi di fronte al Cairo, circa sei miglia a ovest del fiume. In acque basse il viaggio dalla moderna città di Gezeh, attraverso palmeti e campi di mais e lupini, è piacevole. Le Piramidi sono quasi completamente a vista, e sembrano rimanere sempre alla stessa distanza dall'occhio, anche fino a quando non ci si avvicina sotto di esse, quando la loro vastità diventa improvvisamente opprimente. Esse sorgono su un altopiano finemente elevato di arenaria, sui cui declivi si trovano molte pittoresche tombe rupestri, facenti parte della necropoli della vicina città di Menfi, ora segnata solo da enormi tumuli. La necropoli è costituita in parte da tombe di questa natura, in parte da pozzi interrati, in parte da massicci mausolei, e si estende per molti chilometri ai margini del deserto, intorno al più grandioso dei suoi sepolcri, le Piramidi. Si ritiene che queste piramidi siano i più antichi (come certamente sono tra i più potenti e duraturi) monumenti dell'arte umana nel mondo. La più grande fu costruita durante il regno di Shufa (il Cheope degli scrittori greci), e quindi possiede un'antichità di non meno di quattromila anni; ma sebbene così tanto sia stato accertato dalla testimonianza dei geroglifici contemporanei, la storia dell'erezione della struttura è conservata solo (o forse pervertita) nelle tradizioni registrate da Erodoto, Diodoro e altri. Tra i molti fatti notevoli registrati da questi autori se ne può citare uno, che 360.000 uomini furono impiegati nel lavoro per vent'anni. La sua base è di 746 piedi, la sua altezza di 450 piedi; copre un'area di circa dodici acri, uno spazio che è spesso – per amore di un'immagine ben nota - confrontato con quello quasi uguale occupato da Lincoln's-Inn-Fields. La seconda Piramide (detta di Belzoni, di cui si darà in seguito un'illustrazione) conserva ancora una porzione dello strato di calcare levigato di cui era originariamente rivestito tutto l'esterno. E la Grande Piramide è stata terminata allo stesso modo, sebbene nessuna di queste pietre sia rimasta, essendo stata probabilmente rimossa nel corso delle estese spoliazioni effettuate durante il regno dei Califfi, per procurare materiale da costruzione per l'allora nascente città del Cairo. A Gezeh ci sono tre principali piramidi, e altri resti interessanti che ripagheranno ampiamente la ricerca: come la strada lastricata che probabilmente portava dal fiume, i resti di templi e passaggi - ora principalmente sotterranei - che portano a chissà dove, e alcuni dei quali sono costruiti o rivestiti con massicci blocchi di alabastro e granito. La Sfinge, la cui base è stata più o meno scoperta negli ultimi anni, è di nuovo quasi interamente nascosta dalla sabbia trasportata alla deriva e l'ingresso di un tempietto - eseguito nella roccia arenaria tra le sue zampe anteriori - è, di conseguenza, non più visibile. Il profilo, […], è davvero orribile. Immagino di aver letto dei suoi lineamenti belli, calmi, maestosi; lascia che il mio lettore lo guardi e dica, se non è d'accordo con me, che difficilmente potrebbe essere stato, anche nei suoi giorni più prosperi, se non estremamente brutto. Non sarò tenuto a fornire dettagli sulle esplorazioni che sono state fatte di volta in volta all'interno delle Piramidi; basti dire che sono stati, ad intervalli di molti secoli, aperti e di nuovo chiusi. Belzoni e il colonnello Yyse sono stati i due esploratori di successo dei tempi moderni; il primo mostrò tatto e perseveranza meravigliosi nel riaprire la seconda Piramide, ma non fu ricompensato da nessuna scoperta molto importante: la sua unica camera centrale conteneva un sarcofago affondato nel pavimento. Che questi edifici fossero destinati principalmente a sepolcri è opinione pressoché universale”. (BIBH: AAB_0014, vol. 1, c. 23). BIOGRAFIA: Francis Frith nasce il 7 ottobre 1822 a Chesterfield, nel Derbyshire, e muore a Cannes il 25 febbraio 1898. Nel 1850, dopo aver lavorato presso un’azienda di posate e come droghiere all’ingrosso, apre insieme ad un socio uno studio fotografico a Liverpool, Frith & Hayward. Tre anni più tardi diviene uno dei membri fondatori della Società Fotografica di Liverpool. Tra il 1856 e il 1859 compie alcuni viaggi in Medio Oriente in cui scatta fotografie utilizzando tre diverse macchine fotografiche: una stereoscopica e due di grande formato (con negativi di 20x25 e 40x50 cm). Al rientro dei viaggi, stampava le fotografie e le riuniva in libri illustrate. Nell’Introduzione del primo volume del libro “Egitto e Palestina”, la cui data di pubblicazione è attribuita tra il 1858 e il 1859 (BIBH: AAB_0014, vol. 1), Frith spiega le sue intenzioni: “È mia intenzione, se la mia vita sarà risparmiata, e se la presente impresa avrà successo, presentare al pubblico, di volta in volta, le mie impressioni di terre straniere, illustrate da vedute fotografiche. Ho scelto, come inizio dei lavori, le due terre più interessanti del globo, l’Egitto e la Palestina. Se il carattere della Penna per la severa veridicità fosse irreprensibile come quello della Macchina fotografica, quali immagini grafiche potrebbero dipingere insieme! Ma non ci aspettiamo da un viaggiatore "la verità, tutta la verità, e nient'altro che la verità". […] Nessuno che abbia mai fluttuato in un dahibieh [probabilmente “dahabieh”, una barca che si usava per navigare il Nilo] sosterrà che qualsiasi libro esistente sul Nilo trasmette "verità grafica". […] Non esiste un sostituto efficace per il viaggio effettivo; ma è mia ambizione provvedere a coloro ai quali le circostanze vietano quel lusso, rappresentazioni fedeli delle scene a cui ho assistito, e mi sforzerò di fare della semplice veridicità della macchina fotografica una guida per la mia penna”. […] Solo un fotografo lo sa - solo lui può apprezzare la difficoltà di ottenere una vista soddisfacente nella fotocamera: i primi piani sono particolarmente perversi; distanza troppo vicina o troppo lontana; la caduta del suolo (BIBH: ivi, c. 9) la presenza di qualche muro di mattoni o altro oggetto comune, che un artista semplicemente ometterebbe; alcune o tutte queste cose (con molte altre di carattere simile) sono la regola, non l'eccezione. Ho pensato spesso, quando mi sposto per una posizione per la mia macchina fotografica, all'esclamazione del grande meccanicista dell'antichità: "Dammi un fulcro per la mia leva e muoverò il mondo". Oh che immagini faremmo, se potessimo comandare i nostri punti di vista!” (BIBH: ivi, c. 10). Prosegue con la descrizione delle difficoltà incontrate con la ripresa al collodio umido: “Gravissime furono anche le difficoltà che dovetti superare nel lavorare il collodio, in quei climi caldi e secchi. Quando (alla Seconda Cateratta, mille miglia dalla foce del Nilo, con il termometro a 110° [43°C] nella mia tenda) il collodio effettivamente bolliva quando lo versavo sulla lastra di vetro, quasi disperavo del successo. Gradualmente, però, superai questa ed altre difficoltà; ma soffrii molto durante tutto il viaggio per il duro lavoro reso necessario dalla rapidità con cui ogni stadio del processo deve essere condotto in climi come questi; e dall'eccessiva sudorazione, conseguente al caldo soffocante di una piccola tenda, dalla quale ogni raggio di luce, e di conseguenza ogni soffio d'aria, era necessariamente escluso” (BIBH: Ibidem). Nel 1860, decide di intraprendere un nuovo progetto, ovvero fotografare tutte le città e i villaggi del Regno Unito, e, visto il successo editoriale delle sue fotografie che venivano pubblicate all’interno di lavori di società editoriali affermate, decide di fondare la casa editrice F. Frith & Co. Alla sua morte la famiglia proseguì l’attività, che chiuse definitivamente nel 1971. Lo stesso anno, Bill Jay, storico della fotografia, rendendosi conto dell’importanza nazionale di questo archivio, riuscì a convincere Rothmans di Pall Mall ad acquistarlo. Nel 1975, John Buck, dirigente di Rothmans, diede vita al "The Francis Frith Collection" e due anni più tardi acquistò l’intero archivio, iniziando a gestirlo come propria attività. (Biografia tratta da varie fonti: AAB_0020, AA_BIB_7, AAB_0014, vol. 1, AAB_0011, AAB_0012)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Fotografia
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico non territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0100442254
  • NUMERO D'INVENTARIO f.192
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la citta' metropolitana di Torino
  • ENTE SCHEDATORE Accademia Albertina di Belle Arti
  • DATA DI COMPILAZIONE 2021
  • ISCRIZIONI sul supporto primario: recto: in basso a sinistra - "1918" - F. Frith and Co.'s (1860-1971) -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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