salita al calvario resurrezione e crocifissione. salita al calvario resurrezione e crocifissione

dipinto post 1500 - ante 1525

Trittico mistilineo di ignoto pittore di Anversa del XVI secolo, dipinto ad olio su tavola

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Ignoto Pittore Fiammingo (scuola): pittore
  • LOCALIZZAZIONE Museo Regionale Accascina
  • INDIRIZZO Viale della Libertà, 465, Messina (ME)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Proveniente dalla chiesa di Santa Chiara, cappella reale in epoca aragonese, il trittico ripropone un modello ricorrente nella produzione devozionale fiamminga, trovando particolare adesione per il repertorio trattato presso la committenza di Ordine francescano. L’impaginazione sebbene permeata da stilemi della pittura olandese di fine quattrocento mostra orientamenti più evoluti e coesi nel modellato chiaroscurale riconducibili ai manieristi di Anversa del primo ventennio del sec. XVI, che ripropongono volutamente taluni brani o aspetti di primitivo gusto goticizzante. I piani narrativi, che contrassegnano esemplari largamente diffusi fanno capo al Maestro del 1518, identificato dal Marlier (1966) con Jan van Dornicke (Tournai 1470 - Anversa 1527). L’artista creò un’importante bottega ad Anversa frequentata da molti allievi e collaboratori, tra i quali Pietre Coeck che divenne suo genero ed erede della fiorente attività. Un esempio da cui il nostro trae ispirazione è il trittico della Cappella del Santissimo Sangue a Bruges riferito al Maestro del 1518 (Faggin, 1968). L’articolazione iconografica sviluppa in sequenza le immagini della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, distribuendo il racconto nelle tre tavole. Nel battente iniziale l’incontro con la Veronica di Gesù che sale al calvario non è presente nel dipinto di Bruges, mentre la Crocifissione nella parte centrale e la Resurrezione nell’anta finale seguono lo stesso svolgimento narrativo. Affinità si colgono anche nella costruzione dell’ambiente che pone in evidenza la monumentalità architettonica di una fortezza nel riquadro iniziale, il praetorium, allargando poi la veduta verso una città attorniata da mura con torri e campanili, che gradualmente diminuiscono di dimensione per lasciare la vista ad uno sfondo esclusivamente naturale immerso in un’atmosfera sospesa e rarefatta. Nel trittico messinese i colori pacati di una vegetazione dalle sfumature azzurrine si armonizzano con le tonalità cerulee di uno specchio d’acqua e con il tenue chiarore del cielo. Si avverte una totale immersione in un paesaggio che si apre ad una più ampia spazialità dalla linea alta dell'orizzonte, che induce lo sguardo verso uno scorcio di infinito in corrispondenza simbolica del Crocifisso che instilla una sensazione di pace e serenità. L’elaborazione pittorica, pur mostrando un’evidente dicotomia tra natura silente e tumultuosa descrizione degli avvenimenti, trova nell’uniformità della luce soffusa una significativa soluzione al superamento del palese contrasto. L’indefinibile luminosità aerea crea un percorso univoco tra i diversi scenari, senza alcuna dissidenza tra il realismo dei toni ombrosi sorti al fatale trapasso e gli albori che riportano al momento della Resurrezione. Sembra che la stessa natura, al di là della repertoriale ambientazione, inviti alla riflessione e suggerisca un messaggio di ritrovata riconciliazione divina verso il mondo e con l’umanità. Vibrazioni che incitano alla introspezione e all’ampiezza mentale per creare un ponte tra la realtà umana e il trascendentale. Infatti, alla convulsa e tragica narrazione dei primi piani gremiti e affollati di personaggi e cavalli, dove si avvertono le emozioni espresse in grida, pietà, indifferenza, pianto, dolore, rimpianto, paura, si contrappone una diradata visione su una vallata che introduce figure lontane, distanti dal fragore e inserite nella temporanea dimensione di tranquillità acquisita al passaggio della morte del Cristo verso una nuova ed eterna vita. Le stilizzate raffigurazioni del dipinto messinese, risolte con virtuosismo compendiario di rapidi ed espressivi tocchi, rappresentano armigeri a cavallo in compagnia di un segugio che inducono all’idea di una scena di caccia, mentre nella tavola con la Resurrezione la medesima tecnica definisce le tre mirofore che si recano al sepolcro per profumare il corpo dell’Estinto, ignare dell’accaduto evento. La stesura dell’opera sebbene riproponga il retaggio di alcuni aspetti formali ravvisabili nella rigidità di forme, come nella figura del Cristo e nello svolazzamento del perizoma, nelle linee spezzate e aggrovigliate dei panneggi è altresì dominata da una eleganza espositiva rivolta alla ricercatezza del dettaglio. Il preziosismo del decoro, incline al gusto per la definizione miniaturistica, delinea con precisione calligrafica e incisività di lumeggiature i tessuti broccati degli abiti, le raffinate acconciature, le pregiate armature. La tendenza al dettaglio si sofferma con scrupolosa indagine alle espressività, evidenziate da fluide velature. La texure pittorica risulta nelle parti integre vibrante e omogenea nella esecuzione del chiaroscuro, mentre in quelle deteriorate emerge la grafia del disegno preparatorio, a tratto sottile e tono scuro, che segna la costruzione delle zone d’ombra dei volti. L’attenzione a descrivere il coinvolgimento emotivo dei personaggi scende nella resa del particolare ravvisabile, ad esempio, nell'impercettibile realizzazione di tre trasparenti lacrime di dolore sul volto di Giovanni. Alla stessa maniera l’uso degli arnesi evidenzia una forte componente gestuale che connota ruolo e sensibilità dei soggetti, come ad esempio la lunga scala, utilizzata per innalzare le croci, incornicia tra i pioli la testa calva dell’uomo che la sostiene nel trasporto, facendo emergere la diversità con gli astanti muniti tutti di copricapo e isolandolo nel suo indifferente mutismo con derivanti spunti caricaturali da Quinten Metsys. Alla stessa maniera il martello mostrato dal soldato come strumento di trionfo, mette in evidenza la rabbia tracotante, gridata a squarciagola, in contrapposizione all’umiltà del Cristo che guarda la Veronica con composta sofferenza e accettazione del dolore. Uno sguardo che risponde al gesto gratuito della tenerezza e della pietà della donna con la ricompensa del suggello del suo Santo Volto. Il patetismo dell’Ecce Homo, in riscontro alla cerchia di esecuzione del Maestro del 1518 e all’esigenza spirituale-culturale della committenza francescana, trova affinità con la malinconica espressione dei Santi Paolo e Giacomo del trittico con Adorazione dei Magi della Galleria Regionale di Palermo, proveniente dalla chiesa di San Francesco. Così il particolare intreccio delle gambe del Cristo Risorto che si innalza nel cielo, quasi a voler danzare sulla morte, ricorda il pas de deux, eseguito dalla figura del San Paolo nello stesso dipinto, ricondotto ai modi del celebre stilista di Anversa (Collobi Ragghianti, 1990)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Ente pubblico territoriale
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 1900382942
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Centro Regionale per l'Inventario e la Catalogazione
  • ENTE SCHEDATORE Museo regionale
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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