martirio di San Torpè
dipinto,
1754 - 1769
Costanzi Placido (1702/ 1759)
1702/ 1759
Tempesti Giovanni Battista (1729/ 1804)
1729/ 1804
Dipinto di forma rettangolare raffigurante al centro, in secondo piano, S. Torpè inginocchiato, con le braccia aperte e gli occhi rivolti al cielo in direzione di un angelo recante la palma e la corona, simboli del martirio; accanto al santo è rappresentato il boia, che si appresta ad ucciderlo con la spada. In primo piano alcuni astanti assistono all'evento: esso si svolge all'aperto, all'interno di una cornice naturale dalla quale emerge, in secondo piano a sinistra, un tempio pagano
- OGGETTO dipinto
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ATTRIBUZIONI
Costanzi Placido (1702/ 1759): esecutore
Tempesti Giovanni Battista (1729/ 1804)
- LOCALIZZAZIONE Pisa (PI)
- NOTIZIE STORICO CRITICHE Secondo Sainati (1884, p. 3), il "giorno 23 d'Aprile dell'anno volgare 68" il Santo, che pur avendo ricoperto "un luminoso uffizio" a Roma alla corte di Nerone era ritornato a Pisa per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani, fu decollato" a Grado in vicinanza del mare", avendo rifiutato di adorare le divinità pagane. Il dipinto era stato originariamente commissionato, nel giugno 1748, a Pompeo Batoni che inviò a Pisa pochi mesi dopo un bozzetto, aspramente criticato "da S(igno)ri Cav(alie)ri dilettanti" ai quali pareva "alquanto scarso di figure, e queste alquanto abbozzate". Ne fu così richiesto uno ulteriore al quale il pittore lavorò saltuariamente finché, dopo un nutrito scambio epistolare, comunicò, nel gennaio 1754, di volere abbandonare l'incarico. La commissione passò così il 16 dicembre dello stesso anno al Costanzi, previo esame del modello, spedito poco prima da Roma. Alla morte del pittore, il 2 ottobre 1759, il dipinto e un "abbozzo in tela" rimasero nello studio, come si legge nell'inventario "dei beni del defunto redatto il 10 ottobre [...] dal notaio Nicola Ferri". Poiché l'opera non era stata terminata e restava difficoltoso fornirne una valutazione, soltanto nel 1761 gli eredi, "dietro pagamento di 100 scudi" cui vanno sommati i 100 già assegnati al Costanzi come caparra, si impegnarono a restituirla (secondo i documenti e la ricostruzione di SICCA 1990, pp. 270, 281-282, nota 102; cfr. anche SICCA 1993-1994, pp. 53-54); giunta a Pisa il 3 luglio di quell'anno, la tela fu esposta al pubblico giudizio nella chiesa di San Ranierino per decidere se si dovesse condurre a termine oppure collocare così com'era in Duomo. Le "due opposte posizioni" risultarono di fatto equilibrate nella decisione finale di affidarne il completamento a Giovan Battista Tempesti che era stato allievo del Costanzi a Roma (sull'intera questione cfr. CIARDI 1990, pp. 122-123, 146, nota 74); il pittore pisano, sulla scorta del bozzetto, "portò a compimento 'la testa del martire e la gloria'" (FROSINI 1984, p.152), dopo di che, nel 1769, il dipinto fu sistemato nella navatella. Il più compiuto recupero della pittura primoseicentesca d'ambito carraccesco definisce la posizione del Costanzi rispetto alla cultura originatasi a Roma, tra Sei e Settecento, sull'esempio del Maratta. È difatti evidente, per un verso, la coerenza del gusto che lega la produzione del pittore all'opera del Chiari (si confronti il dipinto pisano col "Miracolo di S. Francesco di Paola", Roma, San Francesco di Paola), d'impronta similmente classicizzante seppure esemplato più direttamente su testi raffaelleschi e analogo nell'impianto compositivo, stabilito sulle due grandi masse di figure digradanti sul primo piano che introducono la scena centrale, arretrata. Eppure in esso le superfici risultano diversamente lavorate, come frante da pennellate minute, con riflesso nella qualificazione del tono emotivo, sensibilissimo e quasi trepidante. Lo stacco deciso che distingue le due opere testimonia dell'attenzione con la quale il Costanzi guardò al Domenichino, recuperandone il gusto per stesure più ferme, per le forme nitidamente disegnate: si considerino come utile termine di paragone gli affreschi eseguiti nella chiesa di Sant' Andrea della Valle a Roma, anche per il modo col quale l'ampiezza degli sfondi garantisce la risonanza dei gesti. Il riferimento comune alla cultura emiliana spiega d'altra parte affinità e assonanze delle soluzioni formali che appaiano il Costanzi ad Aureliano Milani (basti considerare il dipinto raffigurante "I martiri scillitani", Roma, Santi Giovanni e Paolo), nel quale il gusto di accentuare l'intensità drammatica del fatto arricchendone la rappresentazione di notazioni in margine trova confronto nel "Martirio di S. Torpè": si veda la figura femminile sulla destra che impedisce la vista al fanciullo. Un simile amalgama di cultura rende ragione del ruolo che il Costanzi assunse, a Roma, quale riformatore in senso classicizzante del "rococo mannerism" originato sulla traccia dei suoi stessi maestri, Luti e Trevisani (secondo l'interpretazione di CLARK 1981, pp. 58-59). Un bozzetto dell'opera è conservato a Pisa, Museo Nazionale di San Matteo; la copia eseguita a inizio Ottocento da Lussorio Bracci Cambini (Pisa, San Donnino), per le significative varianti che presenta rispetto al modello e "al quadrone del duomo", "riporta una redazione preparatoria oggi scomparsa, [...] più ampia ai lati" (secondo BURRESI, RENZONI 1992-1993, p. 93)
- TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
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CONDIZIONE GIURIDICA
proprietà privata
- CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900665699
- ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno
- ENTE SCHEDATORE Opera Primaziale Pisana
- DATA DI COMPILAZIONE 1995
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DATA DI AGGIORNAMENTO
2007
- LICENZA METADATI CC-BY 4.0