nascita di Maria Vergine

dipinto, 1752-1753

Dipinto di forma rettangolare raffigurante al centro la Madonna in braccio a S. Anna e intorno ancelle. Sullo sfondo imponenti architetture; due putti nella parte superiore del quadro osservano la scena

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tela/ pittura
  • MISURE Altezza: 4.17 m
    Larghezza: 5.72 m
  • ATTRIBUZIONI Giaquinto Corrado (1703/ 1766)
  • LOCALIZZAZIONE Pisa (PI)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il 15 luglio 1752 la Congregazione della Vergine di sotto gli Organi ordinò l'esecuzione del "quadro grande da collocarsi nella [...] Cappella della S(antis)sima Vergine secondo il buon gusto, piacere, e pensiero" dell'arcivescovo Francesco Guidi; il dipinto arrivò a Pisa nell'aprile dell'anno successivo (come si ricava dai documenti pubblicati da SICCA 1990, pp. 270,281, nota 100). Il fatto che non fosse direttamente "acquistato dall'Opera" spiega come "nei registri delle spese di essa [...] non ve ne sia ricordo", mentre l'Operaio allora in carica, Francesco Quarantotto, curò soltanto "la sistemazione della parete" dove fu collocato (CASTELFRANCO 1934, p. 588). L'opera mostra la capacità del Giaquinto di dissimulare, sotto l'apparente facilità di lettura, la reale complessità dei referenti culturali assimilati. Il rapporto con la cultura romana di primo Settecento, con il Trevisani e, in misura maggiore, con il Luti, determina gli effetti di dissoluzione della compattezza delle superfici, come frante da minuti tocchi di luce, e definisce il modo col quale le figure risultano "calligrafate con orli di lume quasi fosforescente" (RUDOLPH 1982, p. 5). I soggiorni successivi alla corte sabauda avranno contribuito all'evoluzione in senso pienamente rococò della pittura del Giaquinto, per la componente razionalizzante che, nelle opere in particolare di Carle van Loo, si individua in quello che all'immagine è sempre riconosciuto di artificioso; la standardizzazione dei tipi fisici cui risponde la limitazione drastica nella varietà delle espressioni, la semplificazione delle strutture compositive, a gruppi di figure accostate così da lasciare più ampio spazio al fondale, e la frequenza con la quale passano, assai simili, da un'opera all'altra, trovano la controparte nella maestria con la quale la tecnica, nutrita dei più vari apporti, definisce la qualità preziosa delle superfici. L'opera (tela, m 4,17 x 5,72) mostra la capacità del Giaquinto di dissimulare, sotto l'apparente facilità di lettura, la reale complessità dei referenti culturali assimilati. Il rapporto con la cultura romana di primo Settecento, con il Trevisani e, in misura maggiore, con il Luti, determina gli effetti di dissoluzione della compattezza delle superfici, come frante da minuti tocchi di luce, e definisce il modo col quale le figure risultano "calligrafate con orli di lume quasi fosforescente" (RUDOLPH 1982, p. 5). I soggiorni successivi alla corte sabauda avranno contribuito all'evoluzione in senso pienamente rococò della pittura del Giaquinto, per la componente razionalizzante che, nelle opere in particolare di Carle van Loo, si individua in quello che all'immagine è sempre riconosciuto di artificioso; la standardizzazione dei tipi fisici cui risponde la limitazione drastica nella varietà delle espressioni, la semplificazione delle strutture compositive, a gruppi di figure accostate così da lasciare più ampio spazio al fondale, e la frequenza con la quale passano, assai simili, da un'opera all'altra, trovano la controparte nella maestria con la quale la tecnica, nutrita dei più vari apporti, definisce la qualità preziosa delle superfici. D'altra parte la verosimiglianza della rappresentazione è garantita da quanto di ancora barocco permane nel modo col quale la duttilità del pigmento assicura un'identica animazione vitale a figure e cose, e che costituisce il fondo solimenesco della cultura del Giaquinto. La sorta di naturale scorrevolezza della materia appare rattenuta dal filtro costituito dall'elaborazione propriamente culturale e tecnica; l'intensità emotiva dell'immagine tende a coincidere col suo stesso contenimento nelle forme codificate che ne permettono la rappresentazione. A questo punto si coglie il senso dell'affinità, costantemente rilevata, della pittura del Giaquinto col melodramma metastasiano (sulla questione cfr. STRINATI 1993, pp. 13-32). In entrambi i casi, difatti, la qualità propriamente patetica del tono emotivo, tutt'altro che legata alla descrizione di uno stato affettivo, consiste nell'impossibilità di fornirne un'espressione che non sia nel contempo finzione, teatro, legata com'è a un bagaglio di convenzioni dato come irrinunciabile, fatto natura. Esistono numerosi bozzetti in relazione al dipinto, due conservati a Roma (Collezione Villafalletto), un terzo a Pa- lermo (Galleria Nazionale della Sicilia); un altro, assai simile a quest'ultimo, "venduto nel 1955 dalla galleria Pardo di Parigi, ricomparve poi ad un'asta di Christie's del 21 giugno 1968, lotto 81". Se in un quinto, ora alla Pinacoteca Comunale di Montefortino, "la scena continua ad essere" ambientata in un interno, in due ulteriori (rispettivamente a Oxford, Christ Church e a Firenze, Uffizi), la composizione si avvicina progressivamente alla redazione definitiva. Infine, un disegno per "il gruppo di Gioacchino ed Anna è stato venduto da Sotheby's il 41uglio 1975, lotto 147" (sulla questione cfr. SICCA 1990, p. 281, nota 101)
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0900665546
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno
  • ENTE SCHEDATORE Opera Primaziale Pisana
  • DATA DI COMPILAZIONE 1995
  • DATA DI AGGIORNAMENTO 2007
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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