La Pietà. Compianto sul Cristo morto

dipinto,

Opera a olio su tela, conservata in cornice intagliata, dipinta e dorata

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Scarsella Ippolito Detto Scarsellino (1550 Ca./ 1620)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo del Monte di Pietà
  • INDIRIZZO Corso Giuseppe Garibaldi, 45, Forlì (FC)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto è stato offerto alla Cassa dei Risparmi di Forlì nel 1993 dalla forlivese Elide Casadei Lelli Rossi, nella cui collezione si trovava da alcuni decenni. L'opera venne acquistata dall'ente bancario insieme alla tela, di medesima proprietà, raffigurante "La dea Teti" di Antonio Balestra, per evitarne la dispersione sul mercato milanese, a cui i dipinti erano già destinati. "La Pietà" era accompagnata dall'expertise di Giuliano Briganti (comunicazione scritta non datata, Archivio Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì), che l'attribuiva al ferrarese Ippolito Scarsella, detto lo Scarsellino (Ferrara, 1550- 1620). Ultimo tra i grandi protagonisti del Rinascimento ferrarese, l'artista occupò una posizione rilevante nel panorama della cultura figurativa emiliana tra Cinque e Seicento. "Avvalendosi, infatti, del cromatismo veneto- radicato a Ferrara fin dai tempi del Garofano e del Dosso-, riuscì a eludere la frattura fra il vecchio e il nuovo secolo- anticipando, in certo senso, la riforma antimanierista dei Carracci- e fu in grado di giungere anche a soluzioni protobarocche" (Novelli 1997, p. 27). Decisivo per la formazione del pittore fu il soggiorno giovanile a Venezia, dove per quattro anni frequentò la bottega di Paolo Caliari, il Veronese, tanto da guadagnarsi l'epiteto di "Paolo de' Ferraresi" ed ebbe modo di studiare dal vivo la pittura calda e vibrante dell'ultimo Tiziano, esperienze che gli permisero di superare in chiave cromatica l'accentuato formalismo e l'eleganze grafiche del manierismo parmense, divulgato a Ferrara da Girolamo da Carpi, che aveva caratterizzato i suoi esordi. Tornato in patria, godette di una buona fama, non solo locale, attestata dalle molteplici commissioni di pale d'altare e da numerosi dipinti, a soggetto mitologico o religioso, per la destinazione privata, di cui l'opera in esame è un esempio. Nella produzione matura si conformò ai rigori della Controriforma, riecheggiando nelle proprie opere i moduli severi di Bartolomeo Cesi o quelli malinconici ed enfatici di Ludovico Carracci, senza però arrivare mai a sacrificare le sue brillanti qualità cromatiche di derivazione veneziana. Giudicata nel catalogo della Quadreria forlivese da Giordano Viroli opera "piuttosto recente" dell'artista (La tradizione rinnovata 2006, p. 270), la cui prima attività appare ancora da chiarire data la mancanza di riferimenti cronologici precisi, la tela era datata nella perizia di Briganti all'epoca del primo soggiorno di Scarsellino a Venezia, collocato tra il 1570 e il 1576. Un forte senso di drammaticità pervade questo "Compianto sul Cristo morto", la cui composizione riprende al centro la "Pietà" di Michelangelo in San Pietro, rileggendola però in chiave veneta, secondo un procedimento culturale tipico dello Scarsellino. La collocazione a ridosso del primo piano del dramma sacro permette al pittore di concentrarsi sulle emozioni dei diversi personaggi, vividamente espresse a partire dai visi accostati di Madre e Figlio, il cui dolore trova amplificazione nell'ambiente naturale, particolarmente sterile e brullo intorno alla massa scura del manto della Vergine e oppresso da un cielo nero che incombe sul primo piano. Sullo sfondo, però, l'atmosfera sembra rasserenarsi: il cielo che si illumina all'orizzonte e l'ampia veduta cittadina che si dispiega placida in lontananza, sono già allusione all'imminente Resurrezione di Cristo, che conferirà una nuova speranza di vita all'umanità
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800690225
  • NUMERO D'INVENTARIO 02001026
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • DATA DI COMPILAZIONE 2022
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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