Cristo morto sorretto da due angeli. Cristo in pietà tra due angeli

dipinto,

Dipinto a olio su tavola, conservato in cornice di legno decorata con pastiglia dorata

  • OGGETTO dipinto
  • MATERIA E TECNICA tavola/ pittura a olio
  • ATTRIBUZIONI Palmezzano Marco (1459-1463/ 1539)
  • ALTRE ATTRIBUZIONI Carrari Baldassarre
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo del Monte di Pietà
  • INDIRIZZO Corso Giuseppe Garibaldi, 45, Forlì (FC)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE L'opera, presumibilmente un oggetto devozionale a uso domestico di cui si ignora la collocazione originaria, non appare né firmata né datata. Fu acquistata nel 1979 dalla Cassa dei Risparmi di Forlì con il titolo "Cristo morto sorretto da due angeli". Il dipinto, di proprietà del marchese Paolo Dal Pozzo D'Annone, era corredato da una perizia di Carlo Volpe (datata 2/4/1979, Archivio Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì) che vi riconosceva la mano di Marco Palmezzano, in una fase ancora giovanile del suo percorso artistico (ultimo decennio del Quattrocento). In seguito tuttavia Giordano Viroli (1991) preferì assegnare la tavola a Baldassarre Carrari e datarla verso il 1510, riscontrandovi degli elementi formali e stilistici lontani dalla produzione di Palmezzano: il pronunciato chiaro-scuro dei corpi, il particolare modo di spruzzare di luce le fronde degli alberi, la forma del viso e delle mani di Cristo e la particolare caratterizzazione disegnativa gli sembrarono infatti più tipiche di Carrari, in un momento comunque di accentuata vicinanza a Palmezzano. L'approfondimento critico circa la figura di Marco Palmezzano, reso possibile dalla mostra monografica tenutasi a Forlì nel 2005-2006, ha spinto però Andrea Donati (in La tradizione rinnovata 2006) a tornare al parere iniziale di Volpe, collocando il dipinto nella prima maturità di Palmezzano, in un momento di forte dipendenza dall'arte veneziana, soprattutto di Giovanni Bellini. Più dura e aspra appare infatti per Donati la maniera di Baldassarre Carrari, caratterizzata da incarnati ruvidi, da forme anatomiche legnose e compresse, da un disegno sommario e in generale da una mentalità troppo rigida per assimilare in profondità il modello di Bellini e restituirlo con una resa qualitativa paragonabile a quella espressa nell'opera in esame. Lo dimostra il confronto con dipinti noti di Carrari, come la cimasa raffigurante la "Pietà" conservata a Ravenna o "La deposizione di Cristo" della Pinacoteca di Forlì, opere in cui alla versione moderna, intimista e potentemente spirituale di Bellini, si contrappone invece un attardato espressionismo di matrice nordica, mediato dall'arte ferrarese. Più vicina alla cultura figurativa di Palmezzano appare invece la tavola in esame, in cui già Volpe aveva riscontrato nel paesaggio la presenza di motivi umbri, romani e melozzeschi, mentre veneziana gli appariva l'iconografia della Pietà, la tipologia e l'atteggiamento dei personaggi sacri. Ampiamente diffuso in area adriatica, il tema della Pietà, in cui Cristo è offerto alla contemplazione dei fedeli, estrapolato dalla narrazione evangelica e destinato a un rapporto ravvicinato con il fedele (l'immagine tagliata al livello delle ginocchia immette il corpo di Cristo dentro lo spazio fisico dello spettatore), fu affrontato da Palmezzano in più occasioni, sia nella versione classica del Cristo morto seduto sulla lastra tombale, sia nella variante dell'Imbalsamazione del corpo di Cristo. In entrambi i casi il forlivese guardò a motivi e suggestioni venete, e più specificatamente belliniane, dal punto di vista sia iconografico che stilistico. L'allievo di Melozzo ebbe infatti probabilmente modo di studiare dal vivo, forse al ritorno da Roma o da Loreto, la celebre tavola con "L'imbalsamazione di Cristo", che fu cimasa della pala di Pesaro, eseguita da Giovanni Bellini intorno al 1475, invenzione iconografica che verrà riproposta dal forlivese in più occasioni come coronamento dei propri dipinti d'altare: la pala di Matelica (1501), la cimasa già nel Duomo di Forlì (1506, Londra, National Gallery), la tavola del Museo Civico di Vicenza (all'inizio del Cinquecento). Precedenti belliniani (si veda la "Pietà" del Museo Correr o quella del Museo Civico di Rimini) sottendono anche alla versione in esame della Pietà con il Cristo sorretto da angeli, che appare attestata in Palmezzano in altre due tavole firmate e datate rispettivamente al 1510 ( Parigi, Louvre) e al 1529 ( Venezia, Ca' d'Oro), mentre ne esiste anche una variante senza angeli conservata a Vienna (Liechtenstein Museum). Ancora discusso dalla critica è il problema dei rapporti tra Palmezzano e l'ambiente lagunare. Le testimonianze documentarie sembrano attestarne la presenza a Venezia nel 1495, ma il contatto con la laguna sembra essere stato qualcosa di ben più che episodico, tanto da andare a influenzare, non solo i repertori iconografici del pittore forlivese, ma anche lo stile e l'evoluzione della sua tecnica pittorica: con il sopraggiungere del nuovo secolo, infatti, Palmezzano passa, grazie al contatto con la cultura veneta, dall'uso esclusivo della tempera alla miscelazione di leganti oleosi. Ciò induce a sospettare una frequentazione non superficiale, ma diretta e continuativa della pittura di laguna. Donati ha notato infine come nell'elaborazione della tavola di Palmezzano emerga anche un'eco della versione del tema offerta da Francesco Francia nel 1490 nella cimasa della pala Felicini (Pinacoteca Nazionale di Bologna): simili sono infatti la posa del Cristo e dei due angioletti che sorreggono il corpo, soprattutto di quello di destra. Considerando le altre versioni del tema, la "Pietà" della Fondazione forlivese sembra essere la prima della serie cronologica, ipotizzando per essa una datazione a ridosso della fine del Quattrocento, momento di massima immersione per il forlivese nella cultura veneta; termine postquem per la sua realizzazione potrebbe essere il 1495, data in cui Palmezzano terminò gli affreschi della cupola della cappella Feo nella chiesa di San Biagio a Forlì: i due angioletti della "Pietà" infatti, caratterizzati da pose statuarie e sguardo assorto, hanno un'aria familiare con quelli raffigurati nei pennacchi della cupola della cappella forlivese
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800690218
  • NUMERO D'INVENTARIO 02001009
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

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