Continenza di Scipione. Scipione l'Africano restituisce una prigioniera al promesso sposo

dipinto,

Dipinto a olio su tela, conservato in cornice di legno intagliata e dorata

  • OGGETTO dipinto
  • ATTRIBUZIONI Gandolfi Gaetano (1734/ 1802)
  • LUOGO DI CONSERVAZIONE Palazzo del Monte di Pietà
  • INDIRIZZO Corso Giuseppe Garibaldi, 45, Forlì (FC)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Nel dipinto viene illustrato l'episodio leggendario narrato da Tito Livio nella sua opera "Ab Urbe condita" (libro XXVI, 50) e poi ripreso da Petrarca nel poema epico "Africa" (IV, 375-388). Esso mostra la grande umanità e lo spirito clemente di Scipione l'Africano, generale romano che, nel corso della seconda guerra punica, dopo aver conquistato la città spagnola di Nuova Cartagine (209 a.C.), ricevette come bottino di guerra un'avvenente fanciulla. Venuto però a sapere che la ragazza era già promessa al giovane Allucio, Scipione la rese al fidanzato senza profittare di lei, dando così prova dell'integrità morale dei romani. Il condottiero è rappresentato seduto su un podio, coperto da un tendaggio verde, mentre ricongiunge i due promessi sposi: il giovane principe celtiberico, dal capo coronato e coperto da un mantello foderato di ermellino, stringe a sé l'amata, mentre Scipione sembra invitarlo ad unirsi ai soldati romani, accalcati su una nave che solca il mare sullo sfondo, per combattere i cartaginesi. I genitori della fanciulla si avvicinano da sinistra, accompagnati dai servitori che portano monili e monete d'oro come riscatto per la giovane; Scipione sceglierà, in un ulteriore gesto di magnanimità, di conferire l'oro allo sposo come dono di nozze. Il dipinto, siglato e datato sul verso "G. G. f. 1787", è da attribuire a Gaetano Gandolfi (San Matteo della Decima, 1734- Bologna, 1802), come già indicato da Prisco Bagni (1992), che per primo lo pubblicò e poi confermato da Donatella Biagi Maino (1995). Il soggetto, exemplum virtutis tra i più apprezzati dall'arte accademica di fine Settecento, era già stato affrontato dall'artista bolognese in un'altra versione imponente, seppur di dimensioni minori rispetto al dipinto di Forlì (cm 194 x 269), conservata, insieme al suo pendant, ugualmente moralizzante e raffigurante " Coriolano e la madre", presso la Pinacoteca Nazionale di Bologna: in passato datata agli anni Novanta del Settecento, la tela bolognese fu retrodatata da Biagi Maino al 1784 circa, ponendosi dunque come immediato precedente per l'opera della Fondazione forlivese (Biagi Maino 1995, p. 387, n. 159). Della tela della Pinacoteca felsinea si conservano inoltre altre due versioni di formato ridotto, risalenti alla medesima epoca: nella prima, caratterizzata da una stesura estremamente vibrante e da un audace colorismo, è stato riconosciuto il bozzetto preparatorio (Bologna, collezione privata); la seconda (Marano di Castenaso, collezione Molinari Pradelli), che invece manca di immediatezza e freschezza, viene considerata una replica d'autore di tale studio preparatorio, ad uso del collezionismo privato (ib, pp. 387- 388, nn. 158, 160). Gli elementi fondamentali della scena furono mantenuti da Gandolfi nella successiva versione ora a Forlì, ma con sostanziali cambiamenti nella disposizione compositiva: soprattutto le figure dei due giovani protagonisti, divise nella tela bolognese dall'imponente figura del generale romano che si ergeva fra di loro assiso sul podio, guadagnarono nella seconda versione il centro della scena, venendo rappresentate da Gandolfi strette in un abbraccio dai toni melodrammatici. L'unica figura che venne riportata pressocché identica, seppur invertita di lato, fu il personaggio in primo piano chino a versare monete, rimando alla pittura di Veronese e Federico Barocci, che si ritrova costantemente nell'attività del pittore. Rispetto alla precedente rappresentazione del tema, connotata da un'enfasi ancora barocca, Galdolfi inoltre offrì in questa seconda versione un'interpretazione del soggetto storico più pacata e aulica, bloccando i personaggi in pose teatrali ed eloquenti e mostrando tutta la sua abilità nell'orchestrazione delle luci, nella resa preziosa dei particolari e nella raffinatezza delle tinte dagli accordi delicati. Il risultato fu una tela di grande effetto, abitualmente considerata più convincente rispetto alla prima redazione del tema. Il dipinto proviene dalla collezione forlivese dei marchesi Albicini ed è stato acquistato dalla Cassa dei Risparmi di Forlì nel 1977 dai fratelli Mazzoni, eredi della casata nobiliare. I Mazzoni, dovendo affrontare le notevoli spese per il restauro degli apparati decorativi di Palazzo Albicini (tra cui il dipinto di Carlo Cignani rappresentante l'"Aurora") e avendo già ricevuto per la tela di Gandolfi un'offerta da un privato bolognese, ne proposero l'acquisto all'ente bancario locale, per evitare che un dipinto di così alto valore lasciasse Forlì
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà privata
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800690214
  • NUMERO D'INVENTARIO 02001008
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini
  • DATA DI COMPILAZIONE 2022
  • ISCRIZIONI verso - G. G. f. 1787 - a impressione -
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

ALTRE OPERE DELLO STESSO AUTORE - Gandolfi Gaetano (1734/ 1802)

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'