Euclide e i suoi discepoli

dipinto, 1838 - 1838

Euclide, chinato e intento a tracciare segni di compasso su una lavagna, è attorniato da un gruppo di discepoli

  • OGGETTO dipinto
  • MISURE Altezza: 193 cm
    Larghezza: 163 cm
  • ATTRIBUZIONI Bandini Enrico (1806 Ca./ 1888)
  • LOCALIZZAZIONE Parma (PR)
  • NOTIZIE STORICO CRITICHE Il dipinto è la prima prova di profitto che Enrico Bandini, pensionato a Roma,inviò al Corpo Accademico parmense nell'ottobre del 1838 (Atti 1825-1838 c. 383). Il pittore, allievo di Giovanni Tebaldi, si era aggiudicato il Gran Premio di Pittura del 1836 con "L'uccisione di Pompeo Magno", dipinto oggi conservato in Galleria Nazionale (Musiari 2001 pp. 89-90). La vittoria, come di consueto, fruttò allo studente ormai trentenne un soggiorno formativo di diciotto mesi a Roma, con l'obbligo di produrre due saggi, una copia e un dipinto d'invenzione, da sottoporre al giudizio accademico. Bandini assolse il primo impegno confrontandosi con il grande Raffaello vaticano, come farà peraltro qualche anno dopo Enrico Barbieri. Scelta apprezzatissima da un' Accademia che, saldamente ancorata al gusto classicista, individuava nell'arte dell'Urbinate i valori assoluti della cultura figurativa. Il pittore si concentrò su un brano della Scuola di Atene, quello in primo piano, a destra del riguardante, con Euclide e i suoi discepoli, brano identificato dal corpo docente parmense, al momento dell'esame della prova, come "lo stupendo gruppo in cui vi è figurato Archimede". La copia semplifica il particolare raffaellesco nell'architettura di fondo di cui elimina i bassorilievi nelle specchiature Il recente intervento di restauro, di cui rende conto una puntuale e dettagliata relazione tecnico-scientifica (De Vita 2014), ha rivelato interessanti aspetti del procedimento esecutivo. Bandini realizzò la copia in presa diretta riportando a grafite, con scrupolosa precisione, l'impianto architettonico del particolare raffaellesco, riservando invece sommarie linee di disegno alle figure, costruite abbastanza liberamente e con numerosi pentimenti. L'abbondante estensione della tela oltre i margini del figurato e soprattutto la presenza dell'imprimitura almeno su uno dei lati debordanti testimoniano un iniziale progetto compositivo più ampio, poi ridotto in fase d'esecuzione. Il collaudo accademico fu decisamente favorevole: "Nella dipintura fu lodata massimamente la scelta, la mole dell'opera, la diligenza, il mantenuto carattere del potente Urbinate, le tinte e tutto quanto concorre all'efficacia della copia." Giudizio entusiasta che premia innanzitutto, come si diceva, l'opzione del modello, indulgendo sugli esiti formali: la nettezza dei contorni, le campiture cromatiche piuttosto piatte producono un'impressione di statica bidimensionalità che tradisce ad evidenza la morbidezza plastica dell'originale. Si trattava d'altra parte di un confronto impegnativo il cui risultato rivela comunque nel copista la capacità di gestire la complessa struttura dell'immagine. Se si considera anche il secondo saggio di pensionato (cfr. scheda n.), che non ottenne un giudizio del pari elogiativo, non possiamo non concludere che le prove migliori, in certi casi eccellenti, di Bandini rimangono affidate alla ritrattistica, la quale costituisce la parte più cospicua del catalogo ad oggi noto di questo artista. I ritratti del giudice Godi e della moglie (Collezione privata), quello del cugino Tommaso (Pinacoteca Stuard) sono, come quello, dubitativamente attribuitogli, di Giovanni Cornacchia in Galleria Nazionale (Loda 2001 p. 91), immagini di notevole potenza espressiva che aggiornano il tradizionale purismo classicista di quegl'anni con intense "sprezzature romantiche", mostrando indubbi valori plastici e luministici. La copia parziale della Scuola di Atene fu esposta al pubblico, nel Palazzo del Giardino, nel 1839 (Mecenatismo collezionismo 1974 p. 32), confluendo poi nella Regia Pinacoteca (Pigorini 1887). Da questa fu ceduta, con la valutazione di lire 200 e insieme ad altri dieci dipinti, al Regio Istituto di Belle Arti nell'agosto del 1893 (Inventari 2 cass. 246), con un attribuzione ad Enrico Barbieri: un refuso che a lungo sottrarrà al Bandini la paternità del dipinto (Regio Istituto d'arte "P. Toschi, schede Copertini 1929;Ricognizione inventariale al 30 giugno 1941).Nell'Istituto didattico erede dell'Accademia, le due copie del Raffaello vaticano, quella in oggetto e La Disputa del Sacramento di Barbieri, entrambe assegnate a quest'ultimo, troveranno posto nella sala dei quadri del Museo (Inventari 4 cass. 248, Inventario sec. XX; Museo del Regio Istituto d'Arte 1929).Una collocazione privilegiata che conferma il tenace interesse della cultura accademica per la copia, omaggio alla grandezza di un passato glorioso, messo a disposizione dei giovani artisti quale modello insuperato. Questo indipendentemente dalla qualità della riproduzione
  • TIPOLOGIA SCHEDA Opere/oggetti d'arte
  • CONDIZIONE GIURIDICA proprietà Stato
  • CODICE DI CATALOGO NAZIONALE 0800447020
  • ENTE COMPETENTE PER LA TUTELA Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Parma e Piacenza
  • ENTE SCHEDATORE Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Parma e Piacenza
  • DATA DI COMPILAZIONE 2014
  • LICENZA METADATI CC-BY 4.0

ALTRE OPERE DELLO STESSO AUTORE - Bandini Enrico (1806 Ca./ 1888)

ALTRE OPERE DELLO STESSO PERIODO - 1838 - 1838

ALTRE OPERE DELLA STESSA CITTA'